QUESTIONI DI STILE
No ai linguaggi inamidati…
…sì alla creatività.
Chissà perché, quando parlo di linguaggio uso spesso paragoni che hanno a che fare con l’abbigliamento. Forse perché le parole sono come un abito: vanno cucite addosso a quanto vogliamo comunicare. Danno una forma e un colore preciso.
In fondo chi lavora con le parole è un po’ come un sarto.
E’ bello cercare le parole "su misura".
Bisogna stare attenti a non cadere nei linguaggi omologati, noiosi, che ci circondano, accerchiandoci con quei fastidiosi modi di dire sempre uguali. E spesso "inamidati", privi di quel delizioso, anarchico svolazzare di pieghe.
Cercare di usare parole diverse per dire le cose. Ecco, questo è un esercizio molto stimolante.
Troppo spesso i vizi del nostro modo di usare il linguaggio mettono le pantofole all’espressività, le tolgono fiato e vigore.
Insomma, se vogliamo fare i sarti dobbiamo imparare le misure diverse, e specifiche, di ogni forma.
Ma il mondo artigiano sta scomparendo. E questo mondo non ha a che fare solo con il lavoro manuale. Riguarda anche il nostro modo di pensare e di scrivere…
UN SORRISO
Qualche tempo fa, in un giorno malinconico, mi sono regalata un libretto molto divertente: "Il buio oltre le seppie – e altre storie da libreria".
Raduna frasi, battute, scambi tra clienti e commessi delle librerie. Tutto vero, giurano gli autori.
Che sia vero o no, mi è tornato il sorriso…
Mi piace regalarvi qualche piccola "perla", invitandovi a comprare il libricino se volete farvi altri sorrisi …"colti".
BAMBOCCIONI: Può consigliarmi lei? Devo fare un regalo a un adolesente sui venticinque -trent’anni.
PRUDERIE: Mi serve la "Divina Commedia" di Dante, ma in italiano buono, non quello volgare.
SOL DELL’ AVVENIRE: Cliente: Dove trovo "Com’era bello il mio PCI"?
Commesso: Sotto, reparto Informatica
ARIBTER ELEGANTIAE: Avete "Il ritratto di Christian Dior" di Oscar Wilde?
CHE CI FACCIO QUI? Tenete i Moschini?
Scusi?
Quei taccuini neri con l’elastico
IN EFFETTI: In che ordine sono i libri, qui?
Ordine alfabetico per autore
E allora perché vicino a Tolstoji non c’è Tostoevskij?
CON LA P, MAMMA, CON LA P: Mio figlio vuole sapere se esite una raccolta di Dionigi L’aerofagita
PELLI EUFORICHE E TRISTI DESTINI
Il marketing non conosce pudore. E’ uno strumento luciferino nel creare desideri inutili, serpentine tentazioni nate dal nulla che finiscono per diventare i "vuoti a rendere" della nostra consumistica società.
A volte è divertente, però, osservare fin dove si spingono le invenzioni, osservare l’illimitata frontiera su cui si estende la fantasia dei maghi della vendita, degli strateghi del bisogno che non c’è (e che per questo va creato), dei demiurghi del brand che promuovono la rotazione di interi universi.
Ci sono settori particolarmente stuzzicanti per questo tipo di attività. Uno fra tutti, la dermocosmesi. Donne e uomini disposti a fare patti con il diavolo (appunto!) per non invecchiare mai, che, novelli Dorian Gray del nostro secolo si farebbero fare un ritratto (oggi al photoshop) per rimanere immobili, imbalsamati mentre il tempo scorre.
Gli acrobatici inseguimenti del consumatore in questo campo hanno addirittura creato un impatto linguistico cercando nuovi modi espressivi.
Oggi siamo arrivati addirittura alle "rughe di rottura" (nel senso che sono una scocciatura??) di Andy MacDowell, ex attrice e ora placida signora che mette la sua faccia al servizio di L’Oreal e soprattutto alla crema "euforizzante" per la pelle (stessa casa produttrice).
Beh, avete mai visto una pelle euforica?
Magari con i pori tutti dilatati per la felicità che danzano tra ciglia e naso? Oppure impegnati a brindare a suon di prosecco fino a barcollare fra una guancia e l’altra?
Non so, mi spremo le meningi ma non riesco a immaginare una pelle euforica. Immagino invece il triste destino a cui siamo sottoposti, destino di finzioni, di rimbambimenti davanti agli imbonitori del commercio senza ritegno.
Pelle euforica. Che cretinata.
Io non ci sto. Non faccio parte di "quelle che valgono". Almeno, non senso dello slogan di L’Oreal. E voi? Voi valete?
L’INVERNO DEL NOSTRO SCONTENTO
Sarà perché annuso la primavera con molto anticipo (ne avverto già la presenza a gennaio) ma la lunghezza di questo inverno cos’ rigido non mi sconcerta troppo.
Mi piace avvolgermi come un gatto sulla coperta, e fare del divano la mia cuccia nelle sere polari di questi giorni. No, non mi dispiace. Anzi, non ne posso più dei "brrrr che freddo" che circolano – quasi esclusivi – nelle chiacchiere di questi giorni. Tanto appena fa caldo diremo "aaaahhh che caldo" con la stessa puntualissima litania. Sempre a brontolare sul clima, noi.
E poi, se ho freddo mi copro. Se ho caldo, invece, dopo la "danza dei sette veli" non ho più nulla da eliminare…
Guardo fuori, in questa pausa dal lavoro pomeridiano, e sento la bellezza del freddo che sta morendo, la meraviglia di una chiusura che comporterà preso una nuova apertura, ornata di giorni assolati e di mattutine fioriture.
Le giornate che ritardano le ombre in questo periodo sono speciali proprio perché annunciano i prossimi chiarori. E’ nell’attimo fluttuante fra due "stazioni" che si respira un po’ di magia. Più tardi, quando la primavera sarà sbocciata, ci saranno altre bellezze. E godrà anche io, come tutti, dell’aria aperta e dei tepori.
Ma scomparirà il tocco arcano che lentamente, adesso, allunga il giorno e abbrevia la notte.
Insomma, la primavera può ancora aspettare un poco…
CIAO, DA DOVE CHIAMI?
Ricordate il mieloso, televisivo e domenicale "Ciao, da dove chiami?" pronunciato dalle labbrucce espanse di Mara Venier?
Beh, adesso tramite Google è possibile far sapere a chi vogliamo la nostra esatta posizione sul pianeta. Il nuovo servizio si chiama Latitude, e permette – tramite un cellulare o uno smartphone – di informare i nostri amici sul punto esatto nel quale ci troviamo. Non è un po’ troppo?
Insomma, Google gestisce le nostre email, le nostre ricerche, mostra la nostra abitazione sulle sue maps, ora conosce i nostri cellulari e sa pure dove ci troviamo???
A me pare un’esagerazione. Ci stiamo impigrendo. Consegniamo, preda dell’accirdia totale, tutta la nostra vita ai sistemi informatici, addormentando i nostri neuroni che finiranno imbalsamati. Insomma, abbiamo ancora la voce per comunicare la via esatta del ristorante in cui ci siamo dati appuntamento, e comunque probabilmente il nostro amico avrà il suo "timoniere" satellitare, il navigatore che metterà in porto sicura la sua barca che avanza fra i flutti della metropoli.
Piano piano, Google sta diventando il nostro Grande Fratello. Anzi, il Grande Fardello che se apparentemente ci libera in realtà ci rende schiavi.
Io, da parte mia, preferisco che nessuno sappia dove mi trovo a meno che non sia io a comunicarlo direttamente, con la mia voce e la mia sintassi e il mio linguaggio ancora umano.
Non sarà che stiamo diventando delle mummie viventi?
LA TESTA DIETRO LA MASCHERA
Nulla ci tira fuori chi siamo come l’amore.
Ci toglie le mutande, ci mette nudi davanti ai nostri limiti.
Ogni forma d’amore, da quella più nobile ai…calessi che scambiamo per sentimenti.
Perché le emozioni scoprono la pelle, la espongono alle tramontane, scompigliano i processi mentali con cui costruiamo le belle immaginette per i nostri presepi sociali e professionali. Non ci sono più il bue e l’asinello a scaldarci, la tempesta e la neve, niente più pastorello ma un mefistofelico diavoletto che ci punge con i nostri limiti, le nostre storie irrisolte, i nostri mai sopiti fantasmi.
Certo, anche la “pancia” mente, ma è meno furba della testa alla quale tutti ricorriamo, più o meno, per difenderci dalle emozioni che ci mettono in contatto diretto, e crudo, con ciò che siamo. Con le nostre parti più vulnerabili.
La conoscenza intellettuale, mentale, delle cose del mondo ci rende tutti belli, nobili, tutti potenziali “saggi” pieni di pillole da elargire. Ma quella conoscenza che non passa attraverso i pori della pelle, dell’esperienza diretta, non sarà mai realmente interiorizzata, realmente “cellulare”, impressa nelle profondità del nostro essere.
La testa è una grande via di fuga. E’ un grande cuscino su cui ci sediamo per governare il cavallo pazzo delle nostre emozioni, delle nostre “pance” così pericolose e compromettenti.
E se è vero che il centro è il cuore, beh, è più difficile “scendere” dalla testa al cuore che “salire”attraverso la pancia. Infatti la via dal basso verso l’alto è la via dell’albero, del passaggio fino al cielo per discendere di nuovo, ossigenati, dal cielo stesso.
Fare esperienza del mondo ( e non farne mera lettura, analisi e studio) è una cosa terribile. Chiede tanto coraggio.
L’istinto – per esempio – fa paura. Ma se continuiamo a scappare, ci spaventerà ancora di più. Così accade con tutto ciò che le nostre viscere reprimono. Succede con le rabbie, con gli amori incrinati, con i vissuti "scandalosi" che diventano forme di energia che, resa innaturalmente immobile, solida e statica, forma un sasso invsibile, una specie di “cancro” che invade, silente, il nostro corpo altrimenti vibrante.
Non è bello calarsi nel mondo delle passioni. Non è bello percepire i sentieri molteplici delle nostre emozioni, dei de-sideri che – stelle lontane e irraggiungibili – muovono il criceto nella ruota, in eterno, mentre noi non evadiamo mai dalla gabbietta.
Ma soltanto l’esperienza diretta, per contatto, con l’emozione ci permette di tentare di salire su questo cavallo incosciente, che galoppa a destra e sinistra , su e giù, trascinandoci dalle albe della nostra gioia ai tramonti della solitudine, dai nostri cieli assolati agli inferni delle notti più buie.
E così, molti scelgono una vita blindata. Sigillata dalla mente, chiusa alle emozioni, alla pelle, ai sentimenti che impacciano l’adulto meraviglioso che sbandieriamo tirandoci invece fuori paure, invidie, fragilità e gelosie. E tuttavia io preferisco sentire ogni limite, ogni meschinità, ogni irrisolto passato piuttosto che barattare con la mente l’inganno di un perbenismo rubato, di una saggezza scippata da qualche libro o qualche maestro, di maniere composte quanto posticce sedute sopra il tumulo di sentimenti ai quali è stato fatto un bel funerale. Anche la “pancia” è inganno, come inganno può essere l’amore, in cui mille illusioni bisogna attraversare prima di sollevare un velo infinitesimale di “verità”, un velo così sottile che un volo di farfalla lo strapperebbe.
Ognuno di noi ha bisogno di una testa, di una pancia e soprattutto di un cuore.
Ma le difese che costruiamo a volte superano la forza di una muraglia cinese. Difese mentali, corazze contro i sentimenti che agganciano sempre la nostra antica provenienza, i nostri mondi infantili, i nostri genitori che sulle cellule hanno disegnato, insieme a noi, progetti vari per i nostri destini.
Oggi molti uomini e molte donne preferiscono una vita tranquilla, al riparo dalle correnti di ogni tipo d’amore.
Il contatto con l’altro ti sbatte in faccia te stesso, ti tira fuori l’irrazionalità che nessuna ragione riesce a domare. E fa paura.
Le maschere sociali e professionali sono piccole icone perfettamente riuscite.
Ma dietro, dentro, si nasconde un pulsare segreto. Perché tutti, che lo riconosciamo o no, cerchiamo l’amore. Perché tutti sappiamo che da vecchi non conteremo i nostro trofei professionali, effimeri come l’ebbrezza di una bevanda alcolica in una sera d’estate, ma ascolteremo, dentro, la ricchezza degli scambi profondi che siamo stati capaci di avere. Se invece di quella ricchezza trovassimo un deserto, non ci sarà maschera che ci potrà consolare, né mente erudita che ci potrà salvare.
Amare significa mettersi in gioco, esporsi alle proiezioni, agli inganni, alle delusioni. Rendersi vulnerabili anche quando non ne vale la pena (fino scoprire cosa di noi ci ha condotto fino a quel punto, quale parte dimenticata o svalutata) siamo stati costretti a conoscere). È un gioco duro, spietato. Ma ci aiuta a conoscere noi stessi come nessuna lettura e nessun lavoro potranno mai fare. Perché le maschere si sgretolano e rivelano la parte fragile, pulsante, umbratile e meschina che nessuno vorrebbe mai vedere. Ma è accanto a quel “nero” che si scova anche un raggio di verità su noi stessi. Verità che, appena sfiorata, scompare di nuovo nel gioco delle maschere di un carnevale imperituro.
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