GATTITUDINI
Non c’è niente da fare: i gatti continuano a essere per me fonte di fascino e ispirazione. Il mio gatto Anakin, che mi ha concesso la liberatoria per pubblicare la sua foto nel blog (ben sapendo che sarà ammirato nella sua beata espressione), ormai è un collaboratore fisso. Se ne sta sempre accanto a me, appollaiato sulla tastiera, a fissa dimora esattamente davanti (davanti, non di lato) allo schermo del computer per impedirmi di distrarmi da lui trafficando su quel "coso" orribile che cattura tutta la mia attenzione. E così sono costretta a mille slalom per cercare di sbirciare cosa sto scrivendo con una mano (mentre l’altra è impegnata nei famosi "grattini" sulla testa che tanto piacciono ai gatti) controllandone l’esattezza. Un po’ come quando al cinema, per la solita sfiga, uno spilungone si siede esattamente sulla poltrona davanti alla tua (sulla quale, vista l’altezza non propriamente normanna, tu affoghi) ignorando le vaste distese di poltorone vuote che si innalzano alla sua destra e alla sua sinistra. Il gatto no: lui prende la mira con consapevolezza, deve stare davanti e in nessun altro posto. Deve possedere tutta la tua concentrazione. Pazienza se inciampi nelle parole per un improvviso movimento caudino: il gatto è Re.
Lo sa bene chi ci convive. Ma anche se sono loro a ospitare te nella casa, e non il contrario, anche se ti riducono a brandelli sedie e poltrone, e ti svegliano di notte per gustare un crocchino, e ti portano code mobili di geco in mezzo al salotto (e tu corri a cercare il resto del povero geco sperando non sia troppo tardi), e ti fanno gli assalti quando muori di sonno…beh, malgrado questo e una serie di altri robusti motivi, il rapporto con loro è meraviglioso. Semplicemente, non potrebbero non esserci.
Tanto che a volte ti chiedi come facevi prima, quando non c’erano. E ti sembra impossibile…
PAROLE
Nel folto di noccioli spiccavano le infiorescenze pendule color d’oro pallido, e nei punti indondati del sole gli anemoni boschivi erano completamente schiusi, quasi a proclamare la gioia della vita, proprio come ai bei tempi, quando anche la gente poteva proclamarla. Esalavano un lieve sentore di fiori di melo.
Connie ne colse un po’ per Clifford. Lui li prese per mano e li guardò, incuriosito. " Oh tu, sposa inviolata della quiete"" citò dall’Urna greca di keats. "Mi sembra si convenga assai più ai fiori che ai vasi greci". "Violare è davvero una parola orrenda!" disse Connie. "E’ solo la gente che viola la natura". "Oh, non saprei…le lumahce e creature del genere", disse lui. "Persino le lumache si limitano a mangiarle, le cose, e le api non le violano". Era adirata con lui, che tarduceva ogni cosa in parole. Le violette erano le palpebre di Giunone, e gli anemoni spose involate. Come odiava, Connie, le parole che si frapponevano sempre tra lei e la vita; se c’era qualcosa che faceva opera di violenza, questo qualcosa erano proprio le parole: parole e frasi che succhiavano ogni linfa vitale dalle cose vive".
D.H.Lawrence, L’amante di Lady Chatterley
Mentre riporto il brano del libro che ho appena finito di leggere (e che ho molto amato) guardo fuori dalla porta-finestra del mio studio, dove il limone, l’arancio e il viburno mi fanno compagnia ondeggiando al vento gentile di questa primavera. E’ vero, a volte le parole si frappongono fra noi e la vita, altre volte ne restituiscono invece il sapore mobile, inquieto, colorato come un caleidoscopio.
Doppia valenza. E arcano del linguaggio che sempre si confronta con la vita. A volte vicendo, altre perdendo.
Oggi, tuttavia, se guardo fuori, e osservo le mie piante, non penso né a Giunone né agli anemoni. Penso solo che sono bellissime. Bellissime e basta.
LA “SINCERA VERITA’”
Sarò una rompiscatole con l’italiano, lo ammetto. Del resto, i mestieri che facciamo chi creano una sorta di deformazione professionale che ci porta a notare subito espressioni e situazioni legate al nostro contesto. Il mio è quello delle parole: sono perseguitata dalla mia abitudine a notarle sempre, scritte, parlate (e anche sognate).
Sto sistemando il mio bel terrazzo nuovo per la primavera, e ho chiamato un esperto di piante per farmi consigliare un impianto di irrigazione. Nella nostra conversazione – durata circa mezz’ora – non ha fatto che ripetere, come una litania: "Ti dico la sincera verità".
Sincera verità. Perché, esiste una verità che non sia sincera?
Il fatto di ribadire che questa verità sia "sincera" mi fa sospettare che esista anche un’altra verità…meno sincera. Ma la verità è verità. E basta.
Questa orribile espressione si è insinuata nel nostro linguaggio comune (anche se, pe fortuna, molti di noi non la usano) e fa parte di quei modi di dire non solo sbagliati ma anche antipatici. Perlomeno a me.
Non so, le sue sincere verità erano troppe. E forse non troppo sincere. Vi dico la verità: mi sa che chiamerò qualcun altro. E questa sì che è sincera.
PARTIRE DA SE’
Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia il mio inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Se invece pongo due punti di appoggio, uno nella mia anima e l’altro là, nell’anima del mio simile in conflitto con me, quell’unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.
(Martin Buber)
Che dire? Iniziare una domenica con questo pensiero è faccenda piuttosto impegnativa.
Rimbocchiamoci le maniche, allora…
CO…CO…COCCODE’
Di una lingua amo il suono, il colore, il "sapore"…La nostra è una lingua bellissima, ma spesso ci piace imbrattarla con modi di dire davvero spiacevoli. Che poi diventano mode, stilemi.
Come, per esempio, il prefisso "co", spalmato ovunque. Codipendenza, coproduzione, cocreazione…
E coatto?
Scherzi a parte, l’inflazione del co, che dà un tocco "gallinesco" alle nostre spressioni, si fa sentire (e leggere) ovunque. Oggi, ferma a un semaforo rosso, mi sono imbattuta in una locandina dell’Agenzia Comunale Tossicodipendenze.
La locandina annuncia un convegno dal titolo: Libertà dalle droghe: l’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze ascolta le Scuole, le Università e il mondo giovanile per la co-costruzione del futuro".
Eccolo lì: co-costruzione.
Ma perché? E’ una mania…
Da questo contesto, come da altri contesti innamorati del "co", si evince il fatto che si tratti di un lavoro collettivo, corale. Che riguarda tutti. Ma non c’è bisogno di rendere più brutta la nostra lingua.
Personalmente, ho una decisa antipatia verso questo uso del "co" (forse da quando, in passato, mi è capitato di essere "co-co-co" in un mondo di galletti ruspanti…) che a mio avviso può esserci risparmiato.
Nei libri new age parla sempre di "co-creazione dell’universo" in un invito perenne a partecipare creativamente alla vita. Timore di narcisismi eccessivi? Forse: magari qualcuno, facendo sua ( e seriamente) la battuta di Woody Allen che si crede Dio dichiarando "Beh, a qualche modello dovevo pur ispirarmi", pensa davvero a una solipsitica creazione dell’universo (che, per la cronaca, pare sia già stato creato…)
Insomma, quel "co" mi infastidisce.
Ma si sa, spesso usiamo i linguaggi in modo pigro. E poco convincente.
E che cosa serve per uscire dai soliti schemi?
Ci vuole coraggio….
LETTORI DEL NOSTRO SECOLO
Provate a cercare su Google le immagini correlate alla parola "lettore". Usciranno, insieme a qualche sporadica foto di qualche signore con un libro o un giornale, una miriade di immagini tecnologiche sui vari lettori digitali.
Apre la rassegna una scarpa con lettore incorporato.
Cercavo immagini da collegare a un testo che stavo preparando sulla lettura e sulla scrittura.
E invece mi sono trovata a navigare nelle nuove tecnologie.
Un’esperienza che mi ha fatto riflettere su come cambiano i significati delle parole. Su come cambiano i contesti a cui queste parole rimandano. Senza scomodare la linguistica con specifici riferimenti ai vari "significati" e "significanti", preferisco osservare – semplicemente – come la nostra società sia cambiata radicalmente passando da un "fare" umano (come leggere libri, appunto) a un "fare" meccanico, tecnologico (come leggere Mp3 addirittura infilandoseli in una scarpa).
Il lettore, oggi, per le immagini di Google è principalmente il mezzo metallico con cui ascoltiamo musica e altro, non siamo più noi che vediamo parole.
Curioso, no?
Beh, a me manca il sapore tradizionale, quello dei quadri bellissimi che ritraevano uomini e donne con il loro amato libro sul sofa del salotto (come nel quadro di Fragonard)
Mi manca e penso, con sconcerto, che una società mediatica, mediata, perde il gusto del contatto con la fisicità delle cose, legate a una materia – come la carta – che per fortuna si sgualcisce, sipiega e soprattutto…odora. Non a caso il nostro olfatto è sempre più fragile, assediato da odori artificiali che sembrano "puzze" perfino quando profumano (vi capita mai di nausearvi al passaggio di qualche signora particolarmente "odorosa"che vi mozza il respiro con la sua scia violenta e nauseabonda? a me capita spesso).
Intendiamoci: io lavoro con le nuove tecnologie. Uso internet, collaboro con i siti, faccio una rivista on line e scrivo anche su questo blog. Ma ne conosco i limiti e i pericoli e cerco il famoso "giusto mezzo", integrandolo a faccende più tradizionali. Come i libri, appunto.
Ma i lettori, oggi, sono davvero identificabili – nel significato immediato che diamo alla parola – con gli aggeggi che usiamo per scaricare e ascoltare la nostra musica?
Per Google, sì. E Google è specchio e riflesso della società.
Buffo: se digitiamo la parola "lettrice" escono invece solo figure di donne che, appunto, leggono.
Di fatto, nella nostra cultura, le donne sono le vere lettrici forti. Ancora non sono…lettrici MP3.
Comunque, alla fine ho trovato le mie immagini in mezzo alla selva di proposte tecnologiche.
Ma la prima foto che ho trovato mi ha colpito.
Cercavo la parola "lettore", che relaziono solitamente anche con il pensiero (si legge, si riflette, si stimola, appunto, l’intelletto).
E invece mi trovo con una scarpa.
Una scarpa al posto della testa.
Come a suggerire: oggi pensiamo con i piedi.
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