Nel folto di noccioli spiccavano le infiorescenze pendule color d’oro pallido, e nei punti indondati del sole gli anemoni boschivi erano completamente schiusi, quasi a proclamare la gioia della vita, proprio come ai bei tempi, quando anche la gente poteva proclamarla. Esalavano un lieve sentore di fiori di melo.
Connie ne colse un po’ per Clifford. Lui li prese per mano e li guardò, incuriosito. " Oh tu, sposa inviolata della quiete"" citò dall’Urna greca di keats. "Mi sembra si convenga assai più ai fiori che ai vasi greci". "Violare è davvero una parola orrenda!" disse Connie. "E’ solo la gente che viola la natura". "Oh, non saprei…le lumahce e creature del genere", disse lui. "Persino le lumache si limitano a mangiarle, le cose, e le api non le violano". Era adirata con lui, che tarduceva ogni cosa in parole. Le violette erano le palpebre di Giunone, e gli anemoni spose involate. Come odiava, Connie, le parole che si frapponevano sempre tra lei e la vita; se c’era qualcosa che faceva opera di violenza, questo qualcosa erano proprio le parole: parole e frasi che succhiavano ogni linfa vitale dalle cose vive".
D.H.Lawrence, L’amante di Lady Chatterley
Mentre riporto il brano del libro che ho appena finito di leggere (e che ho molto amato) guardo fuori dalla porta-finestra del mio studio, dove il limone, l’arancio e il viburno mi fanno compagnia ondeggiando al vento gentile di questa primavera. E’ vero, a volte le parole si frappongono fra noi e la vita, altre volte ne restituiscono invece il sapore mobile, inquieto, colorato come un caleidoscopio.
Doppia valenza. E arcano del linguaggio che sempre si confronta con la vita. A volte vicendo, altre perdendo.
Oggi, tuttavia, se guardo fuori, e osservo le mie piante, non penso né a Giunone né agli anemoni. Penso solo che sono bellissime. Bellissime e basta.