Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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UN TAXI DRIVER ROMANO

 

 

I tassisti sono un popolo strano. Almeno qui a Roma, sono spesso un po’ "cafoncelli", arrgoganti, pronti a passarti avanti fregandosene delle precedenze. E sono furbi, furbissimi, specie quando ti fanno fare dieci kilometri in più scegliendo la strada più lunga o trafficata. Per fortuna non prendo spesso il taxi, io. Specie da quando, qualche anno fa, un giovane tassista che fece una improvvisa inversione di marcia laddove non era consentito rischiò di uccidermi: mi schiantai col motorino sul suo taxi cavandomela però solo con un gomito rotto e qualche contusione. Ma lui, furbo e cialtrone, modificò la dinamica dell’incidente (sotto shock io salii a bordo della sopraggiunta ambulanza prima di attendere l’arrivo – pachidermico- della polizia) a suo uso e consumo. E così dovetti fargli una causa per ottenere giustizia (si va avanti solo con "le cattive",  a quanto pare).

L’altro giorno, invece, sono salita a bordo di un taxi e mi sono trovata davanti un insospettato signore. Destinazione: Termini. Di solito i tassisti chiacchierano del più e del meno, con quell’allegria ciarliera che contraddistingue il carattere di molti romani. Lui invece, un tranquillo signore di una sessantina d’anni, a un crocevia mi mostra una strana nuvola in cielo. "Guardi che bella forma". Verissimo: la nuvola, a cavallo del vento che quel giorno aveva spazzato via la pioggia degli ultimi giorni, si arrampicava sui palazzi del Vaticano da dove, ebbra di curve e gravida di un biancore abbagliante, osservava la città ai suoi piedi. E poi lui ha iniziato a raccontare di come oggi la nostra corsa sfrenata ci impedisca di osservare i dettagli. Sono d’accordo: il recupero della lentezza ci farebbe un gran bene. E questo signore continuava a parlare del perduto tempo, quello che in questa vita troppo breve viene rapito dal consumo ossessivo di giornate convulse, epilettiche, votate a un corri corri generale in cui alla fine, la sera, non resta nulla, solo tante vaghe impressioni, più fragili di quelle di un sogno. E così dormiamo ogni giorno, mentre un tassista percorre la città  osservando la metropoli drogata dal "fare". Poi ha tirato fuori alcuni foglietti sparsi e me li ha consegnati. "Sono piccoli pensieri che scrivo ogni giorno". Che buffo, senza sapere che il mio mestiere, oltre a scrivere, è quello di leggere le parole altrui, mi ha consegnato alcuni brani del suo piccolo tesoro cartaceo. Un po’ sorpresa e imbarazzata ho posato lo sguardo sui fogli. Impressioni poetiche, dettagli lirici rubati fra una corsa e un’altra, odi d’amore e meditazioni filosofiche sul senso di un’esistenza fuggevole alla ricerca del senso occulto che giace dietro la patina della materia.

Un linguaggio semplice eppure profondissimo, in cui si avvertiva la frequentazione di alcune letture classiche, in cui echeggivano odi scolastiche assorbite con attenzione e rigore.

Gli ho fatto i miei complimenti. Sinceri. E ho pensato a come è buffa la vita. A come due persone, in un breve tratto di strada comune, possano condividere sensazioni lontane dalla solita superficialità. Quel quarto d’ora mi ha regalato un incontro particolare, che porto nel cuore.

Penso a quell’uomo, al suo taxi pieno di foglietti evasi dalla prigionia del lavoro. E alla sua capacità di trasformare una corsa in un breve momento di scambio e apertura. Con il suo fare confidente ma allo stesso tempo rispettosamente distaccato (sembrava quasi un signore uscito da un romanzo dell’Ottocento) mi ha conquistato.

Gli sono grata per quella corsa fuori dal solito schema.

No, non sono tutti uguali, i tassisti. C’è anche chi non parla del tempo o del calcio. C’è anche chi ti regala pezzi di nuvole…