UNA DANZA MAGICA
Mi ha sempre affascinato, la danza di Shiva. Non a caso a vent’anni mi comprai una statua in bronzo: potevo ammirare quando volevo la danza magica evocata da questa immagine, la danza di creazione e distruzione degli universi, da danza dei mutamenti perenni.
Mi ha sempre affascinato perché in realtà è così difficile "danzare" il mutamento cercando l’equilibrio nel centro.
Leggiamo sempre belle parole nei manuali o nei trattati, ascoltiamo conferenze o ci guardiamo qualche programma televisivo in cui si celebra con leggerezza la facilità della nostra piccola danza "cosmica" inserita nella grande danza dell’universo.
Non so voi. Io faccio fatica. E non mi va neppure di partecipare a Ballando con le stelle per imparare. Quindi continuo così, da sola, fra inciampi e movimenti " fuori tempo" .
Ma mi chiedo quante di queste persone "illuminate" che propinano agili oscillazioni nel doloroso mondo degli opposti, in quel "divenire" così spiazzante, che rosicchia continuamente le nostre certezze, come fa la marea con la spiaggia, siano in realtà davvero aderenti a quanto sostengono.
Danzare fra il dolore e la gioia, la vita e la morte, la salute e la malattia, il futuro e il passato, la memoria e l’oblio, l’attaccamento e lo sradicamento non è certo facile.
Stasera, immersa nei miei pensieri, a un certo punto mi sono resa conto che quasi avrei desiderato "non respirare". Che il respiro, con quel suo andare su e giù, con quel moto perenne in sincronia con gli opposti, non è solo portatore di vita ma anche, in un certto senso, di "morte". Un pensiero pazzo, forse. Ma avrei voluto godere dell’immobilità in cui tutto cessa, anche ogni nostro respiro. Come se, paradossalmente, l’assenza di respiro avrebbe portato non morte ma "vita". Insomma, non desideravo affatto morire, ma vivere. E’ che a volte, come scriveva saggiamente Pessoa, "siamo vivi ma stiamo morendo" immersi nelle credenze, in una vita in cui tutto, spesso, è "simbolo e ombra".
In fondo, nel ventre della madre era così. Cullati nelle sue acque accoglienti, vivevamo senza respirare.
E invece ci tocca respirare, muoverci, esistere. Meraviglioso e allo stesso drammatico.
Dobbiamo imparare a danzare, e in questa danza troveremo – forse - l’accordo "perfetto".
Ecco perché torno spesso a questa statua. Guardo Shiva. Lui danza. Mi invita ad accettare i mutamenti, suggerisce di danzarli passandoci attraverso.
Continuo a guardarla. Lei danza. E io, io comincio a muovere un timido passo.
ELOGIO DELLA SINTESI
Gentile Signora, se avessi più tempo le scriverei una lettera più breve.
(Voltaire)
Non c’è molto da aggiungere. E’ una frase che, da sola, dice già tutto.
Dovremmo pensare di più all’ineffabile dono della sintesi, in questo mondo di molte parole e pochi pensieri…
CONFIDENZE
E’ bello essere in intimità con il proprio corpo. Parlo di quell’intimità che deriva dalla conoscenza di questo strumento troppo spesso ignorato oppure esaltato, divinizzato.
Nella società del fitness e del magropertutti, le palestre continuano a radunare truppe di uomini e donne che passano ore a fare pesi, una marea umana anestetizzata dallo specchio nel quale, mentre si lavorano i muscoli, lo sguardo annega fra pensieri distratti e perlustrazione di pregi e difetti.
Forse è per questo che lo yoga è diventato una moda. E, come tutte le mode, propina maestri e scuole che fioriscono come funghetti, raduna settarismi e intolleranze, pianifica il business. Fa parte del gioco, purtroppo.
E non mi va, qui, di parlare dell’importanza di una disciplina che è filosofica (e per pochi, pochissimi, spirituale), profonda come gli abissi del mare.
Mi interessa dire una cosa semplice, molto semplice (ma non per questo banale): lo yoga ci aiuta a recuperare un rapporto più autentico con il nostro corpo.
Chi, come me, fa un lavoro intellettuale, è obbligato a inseguire la mente tutto il giorno. Diventa una "testa pensante" che spesso divorzia dal corpo, perfino a insaputa del coniuge.
Era accaduto anche a me, come a tanti. Anni fa, l’incontro con lo yoga. E così, piano piano, ho riconquistato pezzetti di me, mi sono riappropriata di quel territorio che mi appartiene da sempre ma che avevo dimenticato. Ci ho fatto amicizia.
Mi sono resa conto che è uno strumento meraviglioso, fatto di armonie, collegamenti, relazioni con lo spazio e con il respiro.
Ci sono parti del corpo privilegiate dalle nostre attenzioni (seni, deretani, decolleté, ecc) ma in realtà esistono altre aree – magari microscopiche – fantastiche, importantissime malgrado lavorino nell’ombra, dietro le quinte. Sono soldati senza medaglia. Ma sono soldati.
E’ stato straordinario, per me, venire a contatto con la forza dei piedi, con le loro dita che, se ben allineate, ci regalano equilibrio e radicamento al terreno.
O conoscere il polso. E le scapole.
Insomma, un’avventura. Un incontro. Una sfida.
Stai lì, apparentemente immobile mene raltà sei concentrato sul lavoro di ognicenmntro i musoli, pelle, tendini e nervi.
A occhi chiusi, senza specchio, recuperi la percezione del corpo, impari a muoverlo misurandone i limiti e le possibilità. Ma, come dire, è un rapporto "sussurrato", quasi segreto.
E mi piace per questo.
L’ANIMA DELLE COSE
La Pietà è già dentro il blocco di marmo. A me spetta solo il compito di eliminare il superfluo.
(Michelangelo)
Mi ha sempre colpito molto, Michelangelo. Per il suo genio, la sua "follia", la sua capacità di far vivere il marmo estraendone l’anima.
Per il suo gesto che dà vita a ciò che vita non aveva, rendendo pulsanti quelle forme che affiorano come se fossero lì da sempre.
Come se il marmo le avesse solo occultate, come accade con una lapide, con una cella segreta.
So di fare un paragone "profano", ma uso spesso – nel mio lavoro – questa frase e questa immagine.
Lo faccio quando devo spiegare come da un foglio bianco si possa tirare fuori "l’anima" attraverso un gesto davvero creativo che cerca le "giuste parole", quelle che ci attendono e aspettano di essere portate nel mondo visibile.
Non sarà mai raggiungibile, il livello eccelso di Michelangelo. Ma almeno è un’ indicazione, una strada per farci capire cosa significhi trovare l’essenza.
Sembra davvero che quella Madonna, insieme a suo figlio, sia stata da sempre in quel blocco di marmo da sempre. Erano lì, in attesa.
In attesa di quel gesto magico.
C’è sempre magia, nella creazione…
RELAZIONI FELICI
La punteggiatura sembra "piccola" all’interno di un testo ma in realtà è potentissima. La forza non sta sempre nelle cose grandi…
No, non sono impazzita.
L’immagine e le parole sono tratte da alcune slide che sto preparando. Sempre prendendo spunto dalle lezioni (il bello è che i formatori, insegnando, sono i primi a formarsi perché trovano sempre nuovi stimoli e nuove idee), questi giorni sto riflettendo sull’importanza dell’immagine abbinata al testo.
Se la combinazione è felice si genera un’alchimia particolare. Come fare?
A mio avviso, la vera "magia" avviene quando l’accostamento è inusuale (un po’ come succede con gli aggettivi e i sostantivi). Come in questo caso. Yoda diventa il simbolo della forza che accompagna quei puntini meravigliosi che sostengono il ritmo di un testo.
Come lui, come il saggio Jedi, sembrano piccoli ma in realtà "la Forza in loro grande è".
Il matrimonio tra Yoda e la punteggiatura è, appunto, inusuale. Ci si sarebbe aspettato di trovare una sfilza di punti e di virgole, o, più audacemente, un uomo nerboruto. E invece bisogna spingersi ancora più in là, assecondando gli strampalati vagabondaggi della mente associativa.
Trovarci davanti a un’associazione inconsueta, che spiazza l’abitudine alla prevedibilità, genera una "rottura" nell’attenzione, un picco, un’allerta.
Cerchiamo modi originali per comunicare le nostre idee, i nostri contenuti.
Non si tratta di "epater le bourgeois" a tutti i costi (brutto vizio) ma di sforzarci negli accostamenti meno probabili e tuttavia sempre collegati attraverso i percorsi analogici.
Funziona sia con le parole (ne parleremo ancora) che con il loro abbinamento ai testi.
Come nei matrimoni, se si infilano sempre le pantofole e non ci si stupisce un po’, presto ci si annoia.
I rapporti fra parole, e fra parole e testi, seguono le stesse leggi delle nostre relazione umane. Se non ci stupiamo un po’, moriremo di noia. E un giorno "dimenticheremo"….
CREATIVI SI NASCE O SI DIVENTA?
In apparenza può sembrare una domanda “strana”, simile a quella che riguarda la gallina e il suo famoso uovo.
Di fatto, è una questione su cui ci si arrovella e si discute.
Per quanto mi riguarda, penso che creativi… si nasca. Non credo ai manuali spiccioli del tipo “Creativi in un mese e sette giorni e mezzo”, “Come coltivare la tua creatività e farne una piantina da salotto”, “Da oggi basta: sono un creativo!” e via dicendo.
Mi spiego meglio: possiamo affinare la nostra creatività, perfezionarla, lavorarci sopra… Ma non potremo mai diventare creativi se non lo siamo. E’ un po’ come pretendere che una patata si trasformi in una zucchina.
So di mettere in discussione le certezze di molti esperti (che, guarda caso, tengono seminari sulla creatività, scrivono manuali sulla creatività, fanno corsi a destra e manca sulla creatività facendo della creatività un business per…non creativi).
Innanzitutto vorrei chiarire una cosa: essere creativi non è particolarmente “fico”. E’ un talento, un dono naturale come altri. Forse è un elemento raro, questo sì, in una generazione che sempre più si adagia – complice internet – sui copia&incolla.
Ma il vero creativo non ha mai “studiato” da creativo. Nel senso che è qualcosa di cui si è impregnati, qualcosa che nasce nello spazio sottile e misterioso di un’intuizione. Ha a che fare con l’immediatezza, con un guizzo dell’immaginazione che crea qualcosa che prima non c’era. E lo fa, di solito, trovando vie alternative rispetto alla monotonia degli schemi abituali.
La creatività è sempre un atto di "ribellione". Nasce dalla rottura di una qualche norma codificata. Non si può imparare sui libri, esattamente come accade con la scrittura.
Possiamo coltivarla, farla maturare, allenarla. Ma la creatività è un po’ come i geni del nostro corpo: o ci sono, fin dalla nascita (in nuce, ovviamente) o non ci sono.
Certo, dai manuali si possono imparare tantissime “tecniche” delle quali, però, dubito un po’. Sicuramente aiutano, ma non sostituiscono.
Mi sono stupita, ad esempio, nello scoprire che c’è chi, nel mondo della comunicazione, crea disegni per spiegare i concetti e trovare così ispirazione. E costruisce teorie su teorie su come fare al meglio questi disegni. Mi sono resa conto che, per quanto mi riguarda, questi disegni sono già nella mia mente. Non li cerco, stanno lì. Mi aspettano. Nel senso che ragiono per immagini, “sento” per immagini, “pulso” attraverso le immagini (è anche una grande croce, questa, perché le cose del mondo ti attraversano come fossi senza pelle, non mitigate dal recinto della distanza razionale che corre solo sul filo "rassicurante" del ragionamento e delle parole).
Dunque per me è normale creare in continuazione geografie mentali popolate di colori e di immagini. Come è normale abbinare due idee distanti tra loro tramite un percorso associativo del tutto anomalo rispetto alle strade prevedibili.
Non riesco a capire come si possa “studiarlo”, ma evidentemente si può (anche se la cosa non mi convince).
La creatività è figlia di Mercurio, non di Saturno. E’ un’iridescenza improvvisa, imprevista, spiazzante; non è l’analisi metodica, il ragionamento che si attarda.
La creatività… crea, essere creativi significa “unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili" (Henri Poincaré)
Ecco, quel salto “quantico” che permette l’unione di cose diverse attraverso una nuova connessione è un po’, azzardo, come il figlio – terzo elemento – che nasce dall’unione di un uomo e una donna (due elementi).
E’ frutto di un grande mistero, di un seme particolare.
Per quanto riguarda una creazione meno…impegnativa, come quella della creatività nel quotidiano, o del suo farne un mestiere, i misteri, anche se “minori”, rimangono della stessa natura. E’ sempre una piccola creazione, un minuscolo ma significativo arcano.
Genera molta invidia, la creatività. Forse proprio perché è una perla rara. Ma, come dicevo, a ognuno i suoi talenti.
Non è retorica: difficilmente un vero creativo sarà anche ordinato.
Più probabile che annaspi nella sua scrivania, sommerso di carte e cartacce, che esca con il dentifricio in mano al posto delle chiavi di casa, che infili la porta del palazzo sbagliato, che vada dai carabinieri a denunciare il furto di un auto che ha parcheggiato altrove una settimana prima, che davanti alla matematica reagisca come davanti a un plotone di esecuzione…
Non è folclore, ahimé. Certo, conosco veri creativi con atteggiamenti “ingegneristici” che, però, fanno uno sforzo mostruoso (il vero elemento di “verità”, in questi casi, è sempre la loro scrivania da lavoro…).
Ho detto: difficile che un creativo sia ordinato, non impossibile.
Di certo il povero creativo è una mosca bianca nel mondo degli aspiranti creativi (vasto, esattamente come quello degli aspiranti scrittori).
Sicuramente per lui combinare felicemente un’immagine con una parola, o trovare un titolo azzeccato, o ideare una nuova tipologia di biglietto da visita, è quasi un “gioco”.
L’intuizione balena, va afferrata e se ne va, immediatamente. Ma è anche vero che in mille altre cose non brillerà sicuramente.
Ognuno ha i suoi doni, dicevo. Peccato, però, che spesso calpestiamo i nostri tentando disperatamente di impossessarci di quelli degli altri.
“A ciascuno il suo”, diceva Sciascia. Mi sa tanto che aveva ragione…
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