CO…CO…COCCODE’
Di una lingua amo il suono, il colore, il "sapore"…La nostra è una lingua bellissima, ma spesso ci piace imbrattarla con modi di dire davvero spiacevoli. Che poi diventano mode, stilemi.
Come, per esempio, il prefisso "co", spalmato ovunque. Codipendenza, coproduzione, cocreazione…
E coatto?
Scherzi a parte, l’inflazione del co, che dà un tocco "gallinesco" alle nostre spressioni, si fa sentire (e leggere) ovunque. Oggi, ferma a un semaforo rosso, mi sono imbattuta in una locandina dell’Agenzia Comunale Tossicodipendenze.
La locandina annuncia un convegno dal titolo: Libertà dalle droghe: l’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze ascolta le Scuole, le Università e il mondo giovanile per la co-costruzione del futuro".
Eccolo lì: co-costruzione.
Ma perché? E’ una mania…
Da questo contesto, come da altri contesti innamorati del "co", si evince il fatto che si tratti di un lavoro collettivo, corale. Che riguarda tutti. Ma non c’è bisogno di rendere più brutta la nostra lingua.
Personalmente, ho una decisa antipatia verso questo uso del "co" (forse da quando, in passato, mi è capitato di essere "co-co-co" in un mondo di galletti ruspanti…) che a mio avviso può esserci risparmiato.
Nei libri new age parla sempre di "co-creazione dell’universo" in un invito perenne a partecipare creativamente alla vita. Timore di narcisismi eccessivi? Forse: magari qualcuno, facendo sua ( e seriamente) la battuta di Woody Allen che si crede Dio dichiarando "Beh, a qualche modello dovevo pur ispirarmi", pensa davvero a una solipsitica creazione dell’universo (che, per la cronaca, pare sia già stato creato…)
Insomma, quel "co" mi infastidisce.
Ma si sa, spesso usiamo i linguaggi in modo pigro. E poco convincente.
E che cosa serve per uscire dai soliti schemi?
Ci vuole coraggio….
LETTORI DEL NOSTRO SECOLO
Provate a cercare su Google le immagini correlate alla parola "lettore". Usciranno, insieme a qualche sporadica foto di qualche signore con un libro o un giornale, una miriade di immagini tecnologiche sui vari lettori digitali.
Apre la rassegna una scarpa con lettore incorporato.
Cercavo immagini da collegare a un testo che stavo preparando sulla lettura e sulla scrittura.
E invece mi sono trovata a navigare nelle nuove tecnologie.
Un’esperienza che mi ha fatto riflettere su come cambiano i significati delle parole. Su come cambiano i contesti a cui queste parole rimandano. Senza scomodare la linguistica con specifici riferimenti ai vari "significati" e "significanti", preferisco osservare – semplicemente – come la nostra società sia cambiata radicalmente passando da un "fare" umano (come leggere libri, appunto) a un "fare" meccanico, tecnologico (come leggere Mp3 addirittura infilandoseli in una scarpa).
Il lettore, oggi, per le immagini di Google è principalmente il mezzo metallico con cui ascoltiamo musica e altro, non siamo più noi che vediamo parole.
Curioso, no?
Beh, a me manca il sapore tradizionale, quello dei quadri bellissimi che ritraevano uomini e donne con il loro amato libro sul sofa del salotto (come nel quadro di Fragonard)
Mi manca e penso, con sconcerto, che una società mediatica, mediata, perde il gusto del contatto con la fisicità delle cose, legate a una materia – come la carta – che per fortuna si sgualcisce, sipiega e soprattutto…odora. Non a caso il nostro olfatto è sempre più fragile, assediato da odori artificiali che sembrano "puzze" perfino quando profumano (vi capita mai di nausearvi al passaggio di qualche signora particolarmente "odorosa"che vi mozza il respiro con la sua scia violenta e nauseabonda? a me capita spesso).
Intendiamoci: io lavoro con le nuove tecnologie. Uso internet, collaboro con i siti, faccio una rivista on line e scrivo anche su questo blog. Ma ne conosco i limiti e i pericoli e cerco il famoso "giusto mezzo", integrandolo a faccende più tradizionali. Come i libri, appunto.
Ma i lettori, oggi, sono davvero identificabili – nel significato immediato che diamo alla parola – con gli aggeggi che usiamo per scaricare e ascoltare la nostra musica?
Per Google, sì. E Google è specchio e riflesso della società.
Buffo: se digitiamo la parola "lettrice" escono invece solo figure di donne che, appunto, leggono.
Di fatto, nella nostra cultura, le donne sono le vere lettrici forti. Ancora non sono…lettrici MP3.
Comunque, alla fine ho trovato le mie immagini in mezzo alla selva di proposte tecnologiche.
Ma la prima foto che ho trovato mi ha colpito.
Cercavo la parola "lettore", che relaziono solitamente anche con il pensiero (si legge, si riflette, si stimola, appunto, l’intelletto).
E invece mi trovo con una scarpa.
Una scarpa al posto della testa.
Come a suggerire: oggi pensiamo con i piedi.
UNA DANZA MAGICA
Mi ha sempre affascinato, la danza di Shiva. Non a caso a vent’anni mi comprai una statua in bronzo: potevo ammirare quando volevo la danza magica evocata da questa immagine, la danza di creazione e distruzione degli universi, da danza dei mutamenti perenni.
Mi ha sempre affascinato perché in realtà è così difficile "danzare" il mutamento cercando l’equilibrio nel centro.
Leggiamo sempre belle parole nei manuali o nei trattati, ascoltiamo conferenze o ci guardiamo qualche programma televisivo in cui si celebra con leggerezza la facilità della nostra piccola danza "cosmica" inserita nella grande danza dell’universo.
Non so voi. Io faccio fatica. E non mi va neppure di partecipare a Ballando con le stelle per imparare. Quindi continuo così, da sola, fra inciampi e movimenti " fuori tempo" .
Ma mi chiedo quante di queste persone "illuminate" che propinano agili oscillazioni nel doloroso mondo degli opposti, in quel "divenire" così spiazzante, che rosicchia continuamente le nostre certezze, come fa la marea con la spiaggia, siano in realtà davvero aderenti a quanto sostengono.
Danzare fra il dolore e la gioia, la vita e la morte, la salute e la malattia, il futuro e il passato, la memoria e l’oblio, l’attaccamento e lo sradicamento non è certo facile.
Stasera, immersa nei miei pensieri, a un certo punto mi sono resa conto che quasi avrei desiderato "non respirare". Che il respiro, con quel suo andare su e giù, con quel moto perenne in sincronia con gli opposti, non è solo portatore di vita ma anche, in un certto senso, di "morte". Un pensiero pazzo, forse. Ma avrei voluto godere dell’immobilità in cui tutto cessa, anche ogni nostro respiro. Come se, paradossalmente, l’assenza di respiro avrebbe portato non morte ma "vita". Insomma, non desideravo affatto morire, ma vivere. E’ che a volte, come scriveva saggiamente Pessoa, "siamo vivi ma stiamo morendo" immersi nelle credenze, in una vita in cui tutto, spesso, è "simbolo e ombra".
In fondo, nel ventre della madre era così. Cullati nelle sue acque accoglienti, vivevamo senza respirare.
E invece ci tocca respirare, muoverci, esistere. Meraviglioso e allo stesso drammatico.
Dobbiamo imparare a danzare, e in questa danza troveremo – forse - l’accordo "perfetto".
Ecco perché torno spesso a questa statua. Guardo Shiva. Lui danza. Mi invita ad accettare i mutamenti, suggerisce di danzarli passandoci attraverso.
Continuo a guardarla. Lei danza. E io, io comincio a muovere un timido passo.
ELOGIO DELLA SINTESI
Gentile Signora, se avessi più tempo le scriverei una lettera più breve.
(Voltaire)
Non c’è molto da aggiungere. E’ una frase che, da sola, dice già tutto.
Dovremmo pensare di più all’ineffabile dono della sintesi, in questo mondo di molte parole e pochi pensieri…
CONFIDENZE
E’ bello essere in intimità con il proprio corpo. Parlo di quell’intimità che deriva dalla conoscenza di questo strumento troppo spesso ignorato oppure esaltato, divinizzato.
Nella società del fitness e del magropertutti, le palestre continuano a radunare truppe di uomini e donne che passano ore a fare pesi, una marea umana anestetizzata dallo specchio nel quale, mentre si lavorano i muscoli, lo sguardo annega fra pensieri distratti e perlustrazione di pregi e difetti.
Forse è per questo che lo yoga è diventato una moda. E, come tutte le mode, propina maestri e scuole che fioriscono come funghetti, raduna settarismi e intolleranze, pianifica il business. Fa parte del gioco, purtroppo.
E non mi va, qui, di parlare dell’importanza di una disciplina che è filosofica (e per pochi, pochissimi, spirituale), profonda come gli abissi del mare.
Mi interessa dire una cosa semplice, molto semplice (ma non per questo banale): lo yoga ci aiuta a recuperare un rapporto più autentico con il nostro corpo.
Chi, come me, fa un lavoro intellettuale, è obbligato a inseguire la mente tutto il giorno. Diventa una "testa pensante" che spesso divorzia dal corpo, perfino a insaputa del coniuge.
Era accaduto anche a me, come a tanti. Anni fa, l’incontro con lo yoga. E così, piano piano, ho riconquistato pezzetti di me, mi sono riappropriata di quel territorio che mi appartiene da sempre ma che avevo dimenticato. Ci ho fatto amicizia.
Mi sono resa conto che è uno strumento meraviglioso, fatto di armonie, collegamenti, relazioni con lo spazio e con il respiro.
Ci sono parti del corpo privilegiate dalle nostre attenzioni (seni, deretani, decolleté, ecc) ma in realtà esistono altre aree – magari microscopiche – fantastiche, importantissime malgrado lavorino nell’ombra, dietro le quinte. Sono soldati senza medaglia. Ma sono soldati.
E’ stato straordinario, per me, venire a contatto con la forza dei piedi, con le loro dita che, se ben allineate, ci regalano equilibrio e radicamento al terreno.
O conoscere il polso. E le scapole.
Insomma, un’avventura. Un incontro. Una sfida.
Stai lì, apparentemente immobile mene raltà sei concentrato sul lavoro di ognicenmntro i musoli, pelle, tendini e nervi.
A occhi chiusi, senza specchio, recuperi la percezione del corpo, impari a muoverlo misurandone i limiti e le possibilità. Ma, come dire, è un rapporto "sussurrato", quasi segreto.
E mi piace per questo.
L’ANIMA DELLE COSE
La Pietà è già dentro il blocco di marmo. A me spetta solo il compito di eliminare il superfluo.
(Michelangelo)
Mi ha sempre colpito molto, Michelangelo. Per il suo genio, la sua "follia", la sua capacità di far vivere il marmo estraendone l’anima.
Per il suo gesto che dà vita a ciò che vita non aveva, rendendo pulsanti quelle forme che affiorano come se fossero lì da sempre.
Come se il marmo le avesse solo occultate, come accade con una lapide, con una cella segreta.
So di fare un paragone "profano", ma uso spesso – nel mio lavoro – questa frase e questa immagine.
Lo faccio quando devo spiegare come da un foglio bianco si possa tirare fuori "l’anima" attraverso un gesto davvero creativo che cerca le "giuste parole", quelle che ci attendono e aspettano di essere portate nel mondo visibile.
Non sarà mai raggiungibile, il livello eccelso di Michelangelo. Ma almeno è un’ indicazione, una strada per farci capire cosa significhi trovare l’essenza.
Sembra davvero che quella Madonna, insieme a suo figlio, sia stata da sempre in quel blocco di marmo da sempre. Erano lì, in attesa.
In attesa di quel gesto magico.
C’è sempre magia, nella creazione…
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