SILENZI
Silenzio al posto del chiasso feroce intorno alla morte di Welby
Silenzio al posto delle ciance natalizie che coprono di rumori il mistero di un Dio che si fa carne
Silenzio al posto dei bilanci che declinano la fine dell’anno
Silenzio al posto di finanziarie, manovre, guerriglie parlamentari
Silenzio al posto del rumore dei pacchi scartati
Silenzio al posto dei film di Natale
Silenzio al posto di ogni parola sprecata
E, ancora,
silenzio che cade come rugiada su ogni affanno e intemperia
silenzio su luci, riflettori e ribalte
su immagini, in bianco e nero e a colori
e sulla pubblicità.
Silenzio di cuori sotto un cielo tempestato di oro notturno
di veglie dell’anima in cerca dell’Amore che tutto magnifica
Solo allora, forse, saremo.
BABBI NATALI.
Ecco, di nuovo è Natale.
Malgrado la finanziaria di Prodi, di cui la Littizzetto non vuole una copia perché – giustamente – non ha il caminetto (e neppure noi), in giro si vede il solito parapiglia legato ai consumi.
Le strade bloccate dal traffico, i negozi imbottiti come cheeseburger, le insegne colorate appiccicate sui muri o appese ai fili sulle nostre teste, la gente che gira con valigie di pacchi…
E poi i babbi Natali che quest’anno fanno tendenza, i pupazzetti attaccati a una scala che vengono appesi fuori dalle finestre (somigliano sinistramente ai fantocci impiccati che i neofascisti di casa Pound sparpagliano in giro nelle loro manifestazioni…), ti seguono con lo sguardo ovunque tu vada.
Non riesci a non sospirare, anche quest’anno. Perché si tratta, come sempre, della solita kermesse comandata, delle palle festive (e non si tratta di quelle natalizie) che addobbano inutilmenete l’unica cosa che conta davvero, a Natale. Cioè lo stare insieme, in famiglia.
Il resto è solo enfasi, eccesso.
Come al solito, puntuali come la guardia del Papa, ci avvertono della crisi, dell’inflazione, dei Bot e dei Botti, eppure – accidenti – ogni anno a Natale si spende e si spande.
Perfino le librerie, malgrado le tradizionali diserzioni del pubblico, in questi giorni sono così affollate da farci perfino sembrare un paese che legge.
Bene bene.
Ma dimentichiamo, come ogni anno, lo spirito autentico di un evento sacro diventato consumo. Anzi, religione del consumo.
Per quanto Ratzinger sia un papa "duro", e non susciti certo simpatie, qualche giorno fa ci ha qualcosa su cui riflettere.
Ci ha ricordato che l’unico vero dono che dovremmo fare è noi stessi.
Ma dato che è l’unica cosa realmente difficile da regalare, ecco che preferiamo correre nei negozi per un profumino o un reggiseno di seta, per una bambola parla-canta-cammina-falapipì o un set di penne dorate.
Donare sé stessi è sacrificio. E non è affatto gratis. Costa tanto. Il resto, è luna park.
Però questo luna park è così bello che preferiamo continuare girare sull’otto-volante.
Del resto, è il nostro babbo Natale da adulti. Quello dei "babbi" della Vodafone, o di Paris Hilton che ci suggerisce "Maeilio cuambiave no?".
E’ il babbo Natale dei Gospel da panettone. Quello delle bottiglie infiocchettate, dei cioccolatini dorati formato super-famiglia, degli sconti Sky…
Non abbiamo mai smesso di crederci, a babbo Natale. Neppure da adulti.
Senza di lui, del resto, la religione del consumo cesserebbe di esistere…
Far dono di sè? E chi ci pensa?
Eppure, eppure chissà, se invece di passare a 3 e ai videofonini usassimo gli sbiascicati consigli di Paris Hilton per un altro tipo di metamorfosi?
Maeilio cuambiave no?
LA TV DEL CIPPALIPPI
"Una cippa lippa", direbbe la Ventura col suo solito piglio oxfordiano. Peccato che anche lei sia finita sotto l’indice di Lippi, che stranamente da indice di ascolto si è trasformato – potere della metamorfosi – in dito accusatore. Sul banco degli imputati: la televisione. Quella "cattiva televisione" che lamentava Popper.
Novello Torquemada, epurator-Lippi lancia i suoi strali (o stralci?) contro la televisione-spazzatura, amante delle risse e della volgarità.
Dal suo sito casa Lippi invita tutti a partecipare alla sua iniziativa (www.claudiolippiunminuto.com) che chiede agli italiani di fare un minuto di silenzio contro l’abuso di demenze televisive.
Già già. Peccato che proprio lui, fino alla lite con gli autori di Buona Domenica che non hanno accolto le Sue contestazioni riguardo alla ormai "storica rissa" Mussolini-Sgarbi (della serie: la coratella contro il risotto al tartufo), se ne è andato sbattendo le porte e autopromuovendosi paladino d’assalto contro la mediocrità.
Ma non si vergogna un po’, il Lippa Lippa? Fino all’altro ieri ci ha devastato con le sue idiozie (sì, proprio quelle che ora critica) fomentando il declino inarrestabile dei pomeriggi di Buona Domenica capeggiati da quel trombone di Costanzo che, se possibile, ha dato il colpo di grazia alla già difficile, e pericolante, situazione domenicale a cui, con le "palle costernate" – e scusate il linguaggio ma siamo in tema – il telespettatore cercava di sopravvivere fuggendo dai "Ciao, da dove chiami?" di Mara Venier.
Eccolo, il colpo di grazia. Costanzo, e Lippi insieme a lui, ha per anni promosso la televisione delle demagogie, delle veline-cretine, dei ragazzi "Amici" e brufolosi che sculettano dopo il diplomino preso alla scuola della De Filippi (ma dove sono finiti con la nuova domenica di Paola Perego? li hanno deportati in massa?), del pubblico ola-dipendente (e deficiente), dei siparietti all’italiana, dei buchi da serratura, dei falsi buonismi, dei veri imperialismi (televisivi), dei Costantini e dei Danielini.
Lippi c’era. Eccome se c’era. Per anni ha fatto il finto tonto spalleggiando Costanzo e la sua corte dei miracoli, accogliendo gli evasi dalla casa del grande Fratello, dimensandosi e canticchiando, raccontando barzellette che non facevano ridere…
Poi c’è un cambio di vertice, e l’orfanello di Costanzo, come sempre accade, viene riciclato nella nuova Domenica condotta – ahimé – da Paola Perego. Pettegola quanto Alfonso "Signorina" (l’omosessuale esperto di moda e mode che volentieri si spaparanza nei salotti domenicali), determinata quanto la zarina Maria, la Perego riesce nell’impossibile: uccidere un morto.
Nel senso che riesce a peggiorare la già disperata, senza speranza, situazione domenicale su cui Costanzo è passato per anni come un napalm su un campo di margheritine.
Lippi all’inizio della nuova versione domenicale ci sta. Schifo per schifo va bene. Ma poi, quando lo staff non gli dà l’udienza che merita, si incazza, gira i tacchi, e si butta nella battaglia a favore di un ripristino della qualità.
Ci vuole una bella faccia tosta. Gli altri coglioni, giù a sostenerlo: da Iva Zanicchi a Minimun, da Timperi a Frizzi. Beh, doppia faccia tosta con triplo salto carpiato, visto che il sostegno non viene certo dai "geni" della televisione, da quelli che ci hanno aiutato nel restituire dignità alla "più amata dagli italiani" (che non è la Cuccarini ma è proprio lei, la Signora Televisione).
Non è poco credibile che uno che si azzuffa – in un evidente gioco di potere – con il suo staff se ne vada decidendo di combattere proprio quello che ha alimentato? Non mi risulta nessuna folgorazione sulla via di Saxa Rubra. No, anche a comprimere il cervello in uno sforzo di fantasia, San Claudino non ce lo vedo.
Nella Lettera agli italiani, lui vorrebbe, con il fervore di un apostolo, convertire il popolo di stolti – che ha rimbecillito per anni – svegliandoli, chiamandoli "alle armi" con il silenzio in protesta del mondezzaio televisivo.
Chi sputa nel piatto in cui ha appena mangiato o è un rivoluzionario o è un furbone. Lippa Lippi appartiene alla seconda categoria (alla prima, appartiene al massimo l’1% della popolazione).
Al massimo bisognerebbe chiamare qualcuno ad aiutarlo nella causa che lancia contro sé stesso, facendolo costituire contro l’associazione a delinquere che si è macchiata di circonvenzione degli incapaci. Imputato: Lippi. Pubblico Ministero: Lippi. Associati: Lippi. Perché l’incapace è proprio lui, che per anni se ne è stato bello seduto, con il suo sorrisino da ebete, nel salottino domenicale. E che se ne è fottuto della cattiva televisione (i soldi fanno tacere).
Bel fenomeno di pentitismo. Davvero.
Va bene che ora abbiamo l’indulto, ma passare indenni dopo la truffa (la presunta conversione) è un po’ troppo. L’omertà è una violazione. Almeno così mi risulta. La partecipare all’associazione a delinquere, perché tale fa apparire la banda di Buona Domenica, è una violazione.
Un pentimento vero richiede tempo, silenzio, riflessione. il contrario di questa boutade ridicola.
Tra l’altro, ci viene il sospetto che sia l’Ego ferito a parlare, e non la coscienza dell’uomo.
Insomma, ci convince questo brusco cambio di direzione? Macchè. Una cippa lippi…
PIU’ LIBRI PIU’ LIBERI?
Si è conclusa Domenica la quinta edizione di Più libri Più liberi. Benissimo. Roma ospita la piccola e media editoria italiana in una fiera che cresce visibilmente ogni anno.
Diversa dal Salone di Torino, è più intima, meno globalizzata (per fortuna non ci sono le grandi concentrazioni editoriali, qui).
Grande fermento, vivacità. Gli stand sono presi d’assalto dai visitatori che trottano nei corridoi. E comprano perfino.
Una domanda, però.
L’editoria è in crisi, giusto? E lo è, malgrado i dati incoraggianti lanciati ogni tanto (ma sono solo ruttini di cicala in un deserto disabitato).
Come mai allora aumentano le pubblicazioni e le case editrici?
Accidenti, ogni anno ne nascono e muiono almeno trecento.
E sempre ogni anno, almeno 7.000 libri vengono inseriti nel mercato.
Moltissimi, fra questi, finiscono al macero dopo il reso della libreria (c’è il conto vendita, in questo settore).
Si fanno troppi libri, in Italia. Perché nel nostro paese il 50 per cento delle persone non legge neppure tre libri all’anno.
Ripeto: neppure tre libri all’anno. A che serve, allora, continuare a insistere nell’aumentare i titoli da lanciare? O nell’aprire case editrici?
Mah.
Purtroppo viviamo il grande equivoco della sacralità del libro, posto sull’altare divino al posto di altri lavori più rozzi . (A proposito, ieri sera in tv hanno dato la seconda parte del pessimo, atroce film "La sacra famiglia". Però anche un ateo dovrebbe domandarsi come mai Giuseppe, che cresce nientepopodimeno che il figlio di Dio, era un umile falegname).
Come a dire: fare l’editore "è fico", dà lustro.
Alcuni ne hanno fatto un’avventura straordinaria. Qualche nome romano? Voland. Minimum fax.
Altri però trincerano il loro ego e il loro narcisismo intellettuale dietro "il far libri".
Sapete una cosa, però? Non si diventa intelligenti solo per aver letto qualche libro in più degli altri.
Purtroppo la lettura – e la pubblicazione dei libri – agevola spesso la presunzione e comprime la coscienza.
Cioè tutto il contrario di ciò che questo mondo dovrebbe alimentare.
Per questo argomento rimando a un vecchio editoriale.
Poi ci sono i redattori, che spesso sono pagati malissimo, con stipendi da terzo mondo. Alcuni ci speculano, e promuovono feste e tour vari invece di aumentare la paga del povero redattore.
Purtroppo fare più libri non sempre significa dare maggiori stipendi, ma solo aumentare il lavoro.
E proliferano le case editrici a pagamento, che speculano sulle ansie di pubblicazione degli aspiranti scrittori, che non sono mai – peccato – aspiranti lettori.
Infatti tutti scrivono ma non leggono. Ve lo dice la sottoscritta che ha guidato per anni un’agenzia letteraria.
Questo contribuisce a ingolfare un settore già difficile.
Più sano, e più utile per tutti, promuovere realmente una sana didattica della lettura.
Recuperando il povero libro dalle grinfie di insegnanti parrucconi e distanti che ci hanno magari fatto odiare la lettura, al liceo come all’università.
Che l’hanno resa sterile, l’hanno ingabbiata negli schemi preconfezionati da esame, l’hanno "accademizzata" dando l’estrema unzione alle meraviglie del linguaggio che danno il famoso "brivido alla spina dorsale" di cui parla Nabokov.
Ecco, bisogna imparare a recuperare quel brivido. Quello stupore.
Il tremore davanti alla meraviglia di una storia e del linguaggio con cui è raccontata.
Per far questo occorre un passo indietro.
Meno libri, più educazione alla lettura.
Non basta leggere. Bisogna anche imparare a leggere per farne un fatto di coscienza e non di sterile erudizione da sfoggiare come un pavone nelle occasioni professionali o mondane.
Ecco, allora, forse, saremo più liberi.
E ne abbiamo davvero tanto, tanto bisogno…
SILMARILLON E LA MALINCONIA
Finalmente on line il nuovo numero di Silmarillon.
Il tema del dossier è Malinconia e creatività.
Un grazie particolare al blogger Kusanagi che ha contribuito con un articolo sulle suggestioni malinconiche di Tim Burton.
Un altro ringraziamento profondo a Claudio Lanzi, presidente-editore di Simmetria, che come sempre ci guida nel mondo degli etimi in un viaggio alla radice delle parole. E che ci regala l’articolo filosofico sulla Melanconia I, la celebre incisione di Dürer.
E un ringraziamento anche a Daniela D’Angelo, giovane editor e redattrice di adozione romana che ha offerto una escursione sulle valenze creative della malinconia.
Silmarillon è un esperimento particolare perché non aderisce a una corrente ideologica nè si schiera aprioristicamente. Cerca di essere un’indagine libera, senza "padroni", nel mondo della società, della cultura, della letteratura. Di oggi come di ieri.
Non è facile, in un mondo sempre più schierato che rifiuta il confronto con l’ambiguità, le intersezioni, le zone grigie fra il bianco e il nero.
Noi proseguiamo, grazie anche all’aiuto di blogger e amici che ci regalano gratuitamente i loro articoli.
Infatti Silmarillon è scaricabile in PDF. Non costa nulla.
Proseguiamo nel nostro impegno invitando chiunque, anche i nostri amici del Mulino, a contribuire con articoli, recensioni, idee.
Il web non è solo giungla, calderone, magma informe.
É anche qualità, dono agli altri di ciò che si pensa o si sa.
Noi sappiamo fare riviste culturali. O, quantomeno, ci proviamo.
In questo spirito di offerta e di condivisione, speriamo che la nostra comunità cresca piano piano.
Un caro saluto a lettori e scrittori.
Francesca
MODERNE INQUISIZIONI
MODERNE INQUISIZIONI
Il processo del secolo.
Il popolo degli Stati Uniti d’America contro l’orsetto Winkie
Il giudice prese posto e guardò grave l’orsacchiotto.
- Signor Winkie, – disse austero, – è accusato dei seguenti crimini -. A capo di ogni imputazione batteva il martelletto.
Terrorismo.
Crack.
-Tradimento.
Crack.
-Cospirazione per rovesciare l’esercito degli Stati Uniti.
Crack.
-Aver fornito sostegno a un’organizzazione terroristica straniera.
Crack!
-Possesso di componenti da cui si può facilmente assemblare un ordigno distruttivo come una bomba.
Crack!
-Centoventiquattro accuse di tentato omicidio.
Crack!
Crack, crack, crack eccetera.
(Clifford Chase, Winkie)
Geniale, bizzarro, struggente, il romanzo di Chase, uscito nel mese di Novembre per i tipi di Einaudi Stile Libero, è un libro bellissimo.
Racconta la storia di Winkie, un orsetto che all’improvviso si anima, prende vita, per ritrovarsi in un mondo feroce, ottuso, reso stupido dalla paura.
Quei trenta centimetri di pelo vengono imprigionati, interrogati, trascinati in tribunale in una modernissima caccia alle streghe in cui la strega è lui, Winkie. Scambiato dapprima per una femmina (la signorina Winkie), ricucito dalle mani pazienti di una donna delle pulizie che nella sua permanenza in ospedale, dopo la cattura, si rivela l’unica ad aver capito che si tratta solo di un povero, innocente orsetto di pelouche. "Nei giorni seguenti Winkie cominciò a stare meglio. Non perdeva più imbottitura. Sedeva sul letto e guardava la televisione. Quando un dottore di gran fama notò la cucitura rosa, disse ai suoi tirocinanti: – Sembra che l’operazione sia andata bene.".
Insomma, la storia ironica ma allo stesso tempo drammatica di Winkie diverte, turba, commuove.
Come quando Winkie rivive i periodi in cui era un orsetto felice, amato e coccolato da Ruth e in seguito, con il passare degli anni, dai suoi stessi figli. Tuttavia la vita di un orsetto è molto triste: a un certo punto viene abbandonato perché si diventa grandi. O perchè i bambini sono anche volubili, sadici, a volte feroci.
Nel disperato bisogno d’amore di Winkie, che vuole solo essere preso in baccio e premuto stretto stretto contro il petto, è racchiusa la metafora del bisogno profondo di ognuno di noi.
Tutta la storia di Winkie è una metafora.
Questa vicenda fiabesca, inquietante, solleva volutamente un quesito sull’arroganza dell’uomo, sulla sua cecità davanti al "diverso" ritenuto una minaccia alla norma codificata., estesa a giudizio universale.
Già, perchè è difficile non leggere nel romanzo anche una satira sulla in-giustizia americana, sui mezzi sommari, perfino stupidi, con cui si affronta la guerra al terrorismo.
I giudici, i poliziotti e i carcerieri di Winkie sembrano una massa di deficienti allarmati da un pupazzetto di pelouche alle prese con i suoi sentimenti e i suoi dilemmi morali.
Ma è un sorriso amaro, quello che sboccia dalla lettura di queste pagine. Perchè l’estremizzazione grottesca di questa storia straordinaria – che raggiunge le vette del fantastico ma le cui radici sono saldamente affondate sulla terra – è un invito cocente, senza vie di fuga, alla riflessione.
Il povero, commovente Winkie diventa il capro espiatorio delle paure di tutti.
Forse, se imparassimo a guardare meglio con gli occhi del cuore e non con quelli dei nostri fantasmi, scopriremmo tutti gli orsetti Winkie (nella nostra vita e più in generale nel mondo) che non siamo riusciti ad abbracciare.
O che, magari, abbiamo addirittura vestito con gli abiti minacciosi delle nostre paure.
Il romanzo di Chase è difficile da dimenticare.
In un natale spendi-spendi come al solito pieno di panettoni e lenticchie, la storia di Winkie può forse rendere questo evento meno superficiale.
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