COME UNA NUVOLA SULLE ONDE
La vita, insomma, è molto solida o molto instabile?
Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano.
Passerò come una nuvola sulle onde.
(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)
Se l’esistenza di Virginia è passata come una nuvola sulle onde, le sue parole si sono invece fissate sulla carta per sempre.
Sono lì, a nostra disposizione. Meravigliose parole che raccontano storie (nelle quali lei rifletteva parti di sè, che avevano il suo nome, le sue paure, i suoi desideri), si fanno inchiostro per dare corpo a riflessioni mai stupide, mai banali.
Donna intelligente, Virginia. Troppo. E fragile, fragilissima. Quando la depressione la aggrediva sbatteva le sue ali di dolore tutto intorno, come una farfalla davanti alla luce della lampada.
Ma è proprio dalla consapevolezza di questa meravigliosa, terrifica precarietà che spuntò il faro (già, il faro) luminoso che guidava la sua scrittura nei sentieri tortuosi dell’anima.
Un’anima complessa, la sua, appoggiata su una fragilità estrema in cui però lei osava guardare l’abisso profondo di sè.
Ci entrava dentro fino a soffocare, talvolta. La sensibilità si tendeva fino agli estremi dell’universo mentre la pelle respirava dolore.
Ma non fuggiva.
Si attardava in quell’abisso in cui incontrava i mostri ma attingeva anche ai tesori.
Laggiù, dentro di sé, la vita perdeva consistenza e diventava quell’alone luminoso di cui più volte parlò.
E tuttavia senza consistenza non c’è più Terra, solidità. Volare o precipitare dipendono solo dalla forza di sopportare la visione di sè.
Virginia volò. E poi precipitò. Affogò. Scelse di affogare. E magari passò sulle teste degli uomini che invano la cercavano, quel giorno, nel fiume. Invisibile, finalmente libera, passò come una nuvola sulle onde.
PAUSA DA GATTI
Anakin, foto di Alina Padawan
“La probabilità matematica che un gatto faccia esattamente quello che gli va di fare, è una delle certezze scientifiche esistenti”
(Lynn Osband)
“I cani possono avere un padrone. Noi gatti abbiamo dei consulenti. Questo è il presupposto essenziale per una buona relazione tra noi e gli uomini.”
(Celia Haddon)
Insomma, dopo aver visto gli entusiasmi della community gattofila, la padrona del blog non è riuscita a trattenersi. Per una volta, al posto di cultura, letteratura e società, si parla di…Gatti. Piccolo intervallo "musicale"…
LA FAMIGLIA ALLAGATA
La famiglia allagata. Non è un refuso. È la condizione attuale della modernissima famiglia allargata. Siamo arrivati a toccare i minimi storici della decenza. Ci siamo arrivati davvero. Ci siamo arrivati dopo le rivendicazioni delle coppie gay (liberissime di amarsi, per carità, è un diritto che spetta loro; ma un figlio è un altro paio di maniche…il mammo o la babba in tandem possono causare smottamenti in un bambino - e non c’è bisogno di scomodare Lapalisse Crepet per capirlo – dopo le nonne ultrasessantenni che partoriscono il figlio degli antenati, dopo i figli surgelati in cubetti, dopo le banche del seme autenticato, dopo le famiglie degli ex che più ex non si può (affittiamo un caravan?), il peggio era ancora in agguato. Ma ci siamo impegnati e ce l’abbiamo fatta, a superare quella linea, già fragilissima. Ce l’abbiamo fatta.
Lo scopri sfogliando un giornale in cui ti imbatti nell’articolo che parla di Jennie Withers, splendida quarantunenne inglese che decide pubblicamente di cercare un socio in affari. Fin qui, nulla di strano. Ma indovina, indovina qual è l’affare in questione? Un prodotto all’ultima moda, un bene di consumo di prima necessità. Un bambino.
Contentissima della sua geniale trovata, sull’Observer Magazine lei cerca il socio-papà per fare l’affare del secolo. Lancia l’offerta. Prego, avanti il migliore.
In fondo Jennie sa cucinare, ha finito l’analisi senza strozzare sua madre, ha chiuso con le storielle veloci veloci e con quelle, lunghe lunghe, agonizzanti.
Insomma, ora si vuole bene, si è “ricostruita”, ha un lavoro, le stanno simpatici i bambini e ha deciso che deve essere mamma. Perché no?
“Mi piacerebbe essere incinta di qui a un anno. Amo tenere i bambini fra le braccia, annusarli (beh, auguriamoci che non sia una feticista alla Suskind). Domenica mattina ero al bar con un’amica e ci siamo dette: “Non può essere così difficile, no?”.
No che non è difficile, cara la mia Jennie. Ma non ti accontenti, vuoi addirittura il socio: “Credo che un figlio debba essere una joint venture, quindi non voglio ricorrere a un donatore”. Parole tue.
Beh, il marketing aziendale in famiglia finora si era fermato ai conti della spesa, non avevamo mai pensato…alla fornitura, alla produzione “in casa”, con il controllo della materia prima affidato a una società, non a una ditta individuale (come quella delle single si stanno battendo per le adozioni).
Non interessa, a Jenny, che sia gay oppure etero, libero o in coppia (della serie ndo cojo cojo…). L’importante è che dia un supporto finanziario “e abiti nei paraggi”.
Possiamo anche stare tranquilli perché si farà supportare dallo psicoterapeuta in questa avventura da Telefono Azzurro.
Ma siamo matti?? Piantiamola con la certificazione sociale dell’egoismo. I bambini sono doveri, non sono diritti. La famiglia nucleare – oggi praticamente smantellata – non era una bomba a orologeria ma un luogo, pieno di difetti e contraddizioni, che cementava i legami, dava valori, forniva una bussola.
E va bene, va bene modificare i costumi (o meglio, i consumi) ma c’è un limite. C’è un limite a tutto.
Spero che la tua società non finisca quotata in borsa, cara Jennie. Anzi, spero che il notaio il giorno della stipulazione scappi sul Kilimangiaro con la sua amante. Che il tuo socio trovi una società più salutare. Che il tuo psicologo vada in terapia. Spero, cara Jennie, che tu ti renda conto di aver ricostruito te stessa senza aver prima smantellato bene le vecchie fondamenta. Quelle su cui poggia il tuo robusto egoismo.
PAROLA DI ALDA
I nostri grandi amori. Oggi non ne esistono più, si è persa la favola. Telefonini, computer, sms. Mi trovi uno che scriva ancora lettere alla fidanzata, se ne è capace. Gli italiani sono sempre più cretini, malati di padreternismo, egoisti e primitivi. Mi era rimasto Berlusconi, l’unico che mi facesse ridere in un paese che non ride più.
Con la sua caduta è morto l’ultimo pagliaccio d’Italia, aveva una stupidità che incanta.
(Alda Merini, intervista, La Repubblica del 27 agosto 2006)
IO SO
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 16 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di stato) a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine a criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione, antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operittisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le sucide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica la dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
(Pier Paolo Pasolini, estratto dall’intervento sul Corriere della Sera, 14 novembre 1974)
Anche qui, poco da aggiungere. Impossibile non trattenere quel brivido che corre lungo la spina dorsale. Perché di spina dorsale, di midollo, ne aveva da vendere, Pasolini.
E perché la sua "disperata vitalità" gli permetteva anche, oltre alla vita dissennata con la quale si giocava a dadi l’indomani, di scavare, incidere, di graffiare.
In un periodo di Tronchetti Provera (o di Troncato Provera, come recitava in prima pagina, alcuni giorni fa, il brillante – e imbattibile – titolista del Manifesto) e di Prodini stappati, analcolici, il fuoco di Pasolini, a distanza di tanto tempo, è ancora capace di appiccare incendi.
Davanti ai politicanti e ai servetti di questi politicanti, davanti a quegli scardinati intellettuali da Costanzo Show (ora relegato al pomeriggio, se Dio vuole), a quei giornalisti impomatati dell’Italietta che non tramonta mai, l’Italia dei compromessi, degli inciuci, degli anelli di potere, delle servette e dei voltagabbana di circostanza, il vuoto lasciato da Pasolini assume le proporzioni di una galassia.
Se ne è andata l’intelligenza, con lui. Andato via anche il gusto per l’investigazione in cui bisogna sporcarsi le mani, in cui scrivere libri non basta perché sei chiamato a capire cosa succede intorno a te, fuori dal tuo narcisistico fazzoletto di fama.
Per lui l’intellettuale era in prima linea, sempre. Viveva al fronte, ogni giorno.
E oggi? Oggi, di quell’intellettuale vibrante, vitale, non è rimasta traccia.
La lungimiranza di Pasolini ci avrebbe regalato ben altro che libri. Ma il suo sguardo ha smesso di guardare anche per noi, e di parlare dicendo le cose che avremmo voluto dire, pensare.
É successo una notte di trent’anni fa, all’idroscalo di Ostia. La sua voce ha taciuto per sempre, annegata in un mare di sangue.
E c’è qualcuno, ancora oggi, che sa. Che sa. Ma non parla.
LETTERA A UNA GUERRA MAI MORTA
Non c’è bisogno d’esser nazisti per diventare assassini: in nome della democrazia, del cristianesimo, della libertà, si massacra bene quanto in nome del "grande Reich". E se il processo di Norimberga fu un processo legale dovremmo rifarlo: al banco degli accusati mettendo stavolta quei bravi ragazzi, quei bravi genreali che davan l’ordine di non lasciar viva neanche una gallina (si riferisce agli ordini militari nei villaggi Vietcong, n.d.r.).
E tuttavia, tuttavia, il discorso da fare non è sugli americani, è sugli uomini. Sulla guerra e sugli uomini. Sui vari tenenti Calley e sulle loro medaglie di bronzo, sulla loro coscienza intatta.
Sui vari Varnado Simpson, Charles West, Michael Terry, ora bianchi ora neri ora gialli ora pentiti ora non pentiti ma sempre descritti come persone perbene, normalissime, miti, figli rispettosi, padri affettusoi, questi mostri che nons anno d’esser mostri, e al collo portano le crocettine, le medagliette con la Madonna, in tasca portano le fotografie dei parenti, e se ci parli a quattr’occhi ti rubano il cuore, ti dimostrano d’avere sani ideali, e poi una bella mattina di marzo, una mattina di sole, salgono su un elicottero coi loro sani ideali, le loro magliette, le loro crocettine, la loro presunzione di civiltà, e fanno ciò che hanno fatto perchè "tali eran gli ordini".
É il discorso che fo in questo libro. Questo libro che spiega My Lai. Perché quasi niente quanto la guerra, e niente quanto una guerra ingiusta, frantuma la diginità dell’uomo
(Oriana Fallaci, introduzione al libro Niente e così sia)
Non c’è molto altro da aggiungere. C’è solo tanta malinconia per un certo tipo di giornalismo oggi sempre più raro. Un giornalismo, quello della Fallaci "vecchia maniera" (che era anche la più brillante, a nostro avviso) capace di scheggiare le pagine della Storia, di incidere i luoghi comuni, le credenze, insinuandovi il brivido del sospetto. Sospetto che le nostre certezze siano sbagliate, e che la Storia sia riposta nelle mani di un falsario abilissimo.
Se il sonno della ragione genera mostri, come diceva Goya, il sonno dei mostri non sveglia – a volte – la ragione…
Pagina 75 di 83