O LA BORSA O LA VITA
Chiariamo subito una cosa: io di finanza non m’intendo. E non m’intendo troppo neanche di economia, di new economy, di politiche economiche e finanziarie mondiale.
Ma una cosa credo di averla: la testa. E un po’ mi informo, come tutte le persone curiose.
E mi sembra assurdo lo stupore globale che lega Tokyo a New York, Londra a Barcellona.
Forse perchè nessuno ha mai considerato che il magnifico, pluripremiato sistema occidentale potesse un giorno andare in crisi. Perchè la maggior parte di noi lo ha considerato un po’ come fa con le malattie più brutte: remotamente possibile ma certamente evitabile.
E’ questo il vero vizio di forma della situazione. Credere, ingenuamente, che il Denaro presunto generasse altro Denaro presunto, in un gioco (gioco, appunto, e quando si gioca si può anche perdere, si può perdere tutto) di scambi continui in un mercato virtuale in cui il denaro giocato non corrispondeva alla reale liquidità a disposizione.
Una vetrina maestosa, sostenuta dalle banche e dai governi politici che ne hanno fatto il pilastro del nsotro sistema mondiale. Bel sistema.
E’ vero, nei giochi di Borsa conta soprattutto la fiducia. Fiducia nell’espansione, nel fatto che le cose andranno bene. Fiducia nei mercati e nell’economia.
Questa fiducia religiosa ha alimentato il pianeta credendo a una sorta di verità…non rivelata.
Aderendo a dogmi, liturgie e acefale devozioni che neanche davanti all’evidenza di un mondo che dal 2001 ha accelerato la sua discesa verso l’inferno mostrando tutte le crepe di un Occidente che si credeva inviolabile.
Ma l’Occidente, la Borsa, le poliche sono fatte dagli uomini. E sbagliano, gli uomini. Accidenti se sbagliano.
Ma non è bastato vedere che il Titanic aveva sbattuto contro un inceberg, si è creduto di tappare la falla con una striscia di nastro adesivo.
Finché sotto la pressione di un sistema globale basato sull’esaltazione di un denaro immateriale, sulle speculazioni, sulle astuzie e sugli sfruttamenti non è scoppiato.
Mi sorprende la faccia tosta di Berusconi (ma potrebbe tranquillamente essere quella di Weltroni, se avesse pensato lui, da Capo del Consiglio, queste castronerie) che rassicura gli italiani dicendo che "noi siamo in salvo", che le nostre banche sono sicure.
E’ come dire che se il cancro ha aggredito la nostra testa i piedi possono stare invece tranquilli.
Minchiate. Non puoi esser parte di un sistema pulsante globale, esserne legato e condizionato a livello micro e macroscopico per poi tagliarti fuori e dichiararti autonomo all’improvviso.
Il sistema economico-finanziario è come un grande corpo vivente di cui gli stati occidentali (e non solo) sono le parti anatomiche. Non si può amputare una gamba e pretendere di farla camminare da sola, senza la testa.
Preferirei l’onestà. Preferirei che ci dicessero, realmente, che siamo tutti nella merda (perchè anche chi non ha investito in Borsa risente ovviamente di questo tsunami internazionale che avrà ripercussioni serissime sulla vita di tutti).
Io non sono uno di quei geni della finanza. Ma da anni sono sempre stata convinta di una cosa: che l’unica cosa saggia da fare, per chi può permetterselo, sia comprarsi un fazzoletto di terra e una casetta. Perché fra un po’ sarà quello, e non il titolo bancario, il vero bene da possedere. Sarà l’unica cosa reale, tangibile, di cui avremo bisogno. E sarà in via di estinzione, braccata da cementi e inquinamenti e inutili estensioni metropolitane.
Una visione apocalittica?
Forse.
Ma io vedo questo pianeta morire, ogni giorno di più. E anche il nostro osannato sistema occidentale si rende conto che ci sono ferite difficili da sanare, se ne rende conto quando tocca davvero il cuore del suo funzionamento, e in questo senso dirò, non tutto il maleviene per nuocere, abbiamo bisogno di una profonda, seria interrogazione. Non basta prenderci in giro con la raccolta differenziata o le eco-proteste, con le macchine elettriche o i deodoranti senza spray, dobbiamo andare oltre e vedere che senza una rivoluzione globale, una conversione di intenti e situazioni la deriva è già qui, adesso.
Un pezzo importante ha cominciato a franare. Forse è ora che qualcuno si accorga della situazione reale.
La Borsa è diventata una specie di Golem autonomo che ha preso piede governando paesi e persone.
Ma io, alla Borsa, preferisco la Vita.
SE QUESTO E’ UN RAGAZZO
Il 4 ottobre Shaun Dikes si suicida, buttandosi dal piano superiore di un parcheggio a Derby, in Inghilterra.
Ha solo diciassette anni, Shaun.
Diciassette anni che si sfracellano su un marciapiede. Troppo pochi per morire, troppi per volare via come un angelo immune alle ferite.
Una vita brucia in un attimo, come un fuoco d’artificio. E a volte, a volte ci sono dei cretini che ti aiutano ad accendere la scintilla fatale.
Non era solo, quel giorno. Sotto di lui, mentre i poliziotti tentavano faticosamente di dissuaderlo, tra la folla di curiosi (laddove c’è odore di morte, chissà perché, si raduna la morbosità collettiva) alcune voci incitavano il salto nel vuoto, ostacolando il salvataggio.
"Dai, buttati, vediamo se rimbalzi!". "Dai, che ti faccio un video".
Imbecilli. Delinquenti. Scarti dell’evoluzione umana.
E lui lo ha fatto. Si è lanciato come un angelo caduto dal cielo. Ma non aveva le ali, Shaun. Solo carne, e ossa frantumate nell’impatto con il suolo.
E loro, quegli omuncoli, quei ragazzetti privi di una coscienza fuggita chissà dove, hanno ripreso, con un brivido sulla pelle, il volo della morte.
L’hanno perfino diffuso su internet.
E così un diciassettenne se ne va in un giorno qualunque incitato da gente qualunque, facce mai viste che però avevano la voce dei suoi demoni, quelli che lo perseguitavano, lo deprimevano, lo spingevano giù, verso abissi neri di notti senza luna. Le creature del suo sottosuolo avevano vestito abiti umani, quel giorno, presentandosi alla sua Samarcanda.
E’ così che finisci, oggi. Diventi carne da macello, comparsa per un video sinistro che spettacolarizza la morte, una morte che non siamo più abituati a temere, a onorare, a rispettare.
Nel mondo dei video, di internet e della telefonia la vita e la morte hanno la stessa sostanza. Non importa, non fa differenza.
E a me fa schifo, questo mondo così "moderno". Mi fanno vomitare quelli che stanno facendo piazza pulita di ogni umana decenza, che vivono come se fosse tutto un gioco, un reality dove saranno Famosi nelle loro isole quotidiane, squallide, fatte di bocconi di esistenza rubati ad altri, di voyerismo gratuito, di parole e gesti orfani dell’intelletto.Grigiori scambiati per perle, anestesie cerebrali che corrono sul filo del virtuale.
Non è virtuale, la morte. Anche se la diffondi su internet e lì non puzza, non manda odori nauseabondi, non macchia di sangue chi la sfiora, non ha la consistenza delle tre dimensioni.
Non ci sono solo i crimini neri, ci sono anche quelli che nascono dall’indifferenza, dalla volgarità, dalla superficie scivolosa dove nulla si ferma, mette radici.
Quel giorno Shaun è stato ucciso premendo il grilletto della stupidità. Non ci voleva molto, per una creatura fragile, depressa, fare l’ultimo passo verso il salto mortale, quello senza ritorno. Un piccolo passo avanti. Una voce. Ancora un passo. E tutte quelle facce laggiù, che aspettavano che lui facesse l’eroe, che si immolasse per la loro barbarie. I cellulari sollevati in alto, come calici durante un brindisi. Cin cin, Shaun. Chiudi gli occhi. Ci sei. Cin cin.
CON TORSIONI
Voilà. Mi sono fatta male praticando yoga. La settimana scorsa ho esagerato con i ponti, quegli stessi, famosi ponti che tutti facevamo da piccoli ma che abbiamo smesso insieme alla mobilità tipica dell’infanzia. Solo che io non sono più tanto piccola, ho quarant’anni suonati.
E dunque è richiesta una certa "attenzione". E invece mi sono infiammata la zona lombo-sacrale per…esagerazioni.
Stavo riflettendo, stamani, su come lo yoga insegni a rispettare i propri limiti. E’ una pratica che richiede pazienza e prudenza, due virtù a me sconosciute.
Dunque la lezione vera, per me, sarà non fare i miei esercizi quotidiani per almeno una settimana.
A volte la non pratica è più importante della pratica, se sappiamo imparare (cosa che, per quanto mi riguarda, avviene sempre fra mille inciampi).
Mi capita, qui sul blog, di ricorrere allo yoga perché per me è simbolo di molte cose.
Insegna a respirare, a radicarsi sul terreno per poi cercare di tendere verso il cielo, quel cielo a volte così immemore della nostra presenza, persi come siamo fra le faccende dle mondo. Insegna anche a conoscere il rapporto fra la mente e il corpo (un rapporto spesso conflittuale), a cercare il Sé fra gli ostacoli dei nostri Io (veri e propri condomini, con tanto di costruzioni abusive, per tornare all’ultimo post).
Imparare a conoscere i limiti è uno dei fondamenti.
Io, invece, ho tentato di superarli, ebbra delle mie capacità di mobilizzare la schiena che, per protesta, si è fermata.
Cercherò di farne tesoro.
La vera pratica dello yoga, per me, non è tanto quella con la mia maestra, dalla quale certamente imparo e assimilo, ma è quella che faccio a casa, la sera, da sola.
Io con me stessa.
E’ un momento di libertà, uno spazio interiore che si fa anche fisico. E’ quella "stanza tutta per sé" di cui parlava la Woolf.
Nella posizione del guerriero misuro la mia resistenza, nella candela i piedi puntano il cielo, in shirshasana inverto la solita visione del mondo, con la posizione del cane cerco di estendermi stiracchiando non solo i muscoli ma tutta me stessa, nella mia coscienza del corpo.
Insomma, è il mio luogo, il mio appuntamento quotidiano alla ricerca di un’unione che trascenda le solite frammentazioni dell’essere.
Ed è vero, il fisico è solo un trampolino, un arcobaleno lanciato su un mondo man mano più sottile.
Ma ci vuole tanto impegno e, come dicevo, tanta prudenza.
Ora me ne sto qui, acciaccata e dolorante, a riflettere sul mio buttarmi, sempre, incapace di valutare i rischi.
Bella, questa lezione.
TERRAZZA CON SVISTA
Sì, fra poco trasloco. Cambio casa. Finalmente avrò una terrazza. E finalmente i miei due gatti saranno felici di smettere i panni della mummia imbalsamata, se ne staranno con la testa sotto il cielo aperto e cacceranno lucertole (che io baratterò in cambio dei crocchini. Non riesco a vedere i gatti quando torturano gli animaletti che beccano in giro, lo so ma è più forte di me..).
Ebbene, vista l’area significativa di questo terrazzo, comincio a sognare come arredarlo. Tante piante (e un irrigatore automatico) e magari anche un gazebino, o una tenda. Oppure un bel pergolato di legno, perché no?
In fondo Roma è piena di balconi e terrazzi arredati in modo delizioso. La maggior parte è coperta (fateci caso, io da due mesi circolo con il naso all’insu) da verandine o tettoie in legno.
Anche io, anche io!
Ma vengo subito bloccata da persone competenti (zio architetto, amico ingegnere edile, ecc.) che mi dicono di stare attenta: oggi non è permesso fare quasi nulla per rendere il terrazzo vivibile.
Allora vado al mio Municipio, dove un funzionario edile rovescia tutti i miei sogni dicendomi – con un sorrisetto sadico – che non si può mettere nulla ad accezione di una tenda con appoggio laterale, solo sui sui muri. Dunque per forza di cose una tendina interdentale. Nessuno "scheletro" può finire a terra – mi dice – nessun tetto di nessun materiale può coprire il cielo.
O meglio sì, si può fare chiedendo una variazione prospetti alla DIA (non chiedetemi di più, è già tanto per una disordinata come me!) per la quale occorre avere un permesso rilasciato dalla maggioranza assoluta dei condomini. Tutti devono optare per il sì. E’ come pretendere di far girare la terra al contrario.
Me ne vado via, sconsolata.
Poi oggi, girando su internet per vedere un po’ che di dice a Roma a proposito di verande e altre costruzioni (anche minimal) mi imbatto nel sito del comune che – toh – invita all’abuso.
Cito testualmente:
L’ARREDAMENTO
Ecco alcuni consigli per l’arredamento dei vostri terrazzi o giardini:
- diversificate le zone, creando un’area conversazione, magari anche un angolo per poter mangiare all’aperto, e una zona più verde, che vi ripari da sguardi indiscreti, migliorando il paesaggio;
- create una copertura mobile, facilmente smontabile e di pratica manutenzione, per proteggervi sia dall’eccessivo soleggiamento diurno sia dall’umidità serale;
- potete scegliere tra arredi in legno, in ferro battuto, in ghisa, in midollino, in giunco intrecciato. Corredate il tutto con cuscini asportabili e lavabili;
- create un ripostiglio per gli attrezzi da giardino, e soprattutto provvedete a proteggere l’arredo esterno durante il lungo inverno.
IL GIARDINO D’INVERNO
Se avete un balcone potete adattarlo a ‘giardino d’inverno’: uno spazio vetrato piacevole da vivere. Scegliete, però, il lato sud della casa in modo che la veranda possa essere un riparo dal clima esterno, integrando il sistema di riscaldamento della casa.
Sarà uno spazio ideale per le piante che amano il caldo, la luce e l’umidità e per quelle che necessitano di un ricovero invernale per continuare a fiorire.
dovete comunque prevedere, nella progettazione della veranda, le aperture per l’areazione dell’ambiente, onde evitare il formarsi di condensa.
Se avete un giardino, potete costruire una serra che, addossata ad una parete della casa. può ampliarne lo spazio abitabile in alcuni periodi dell’anno (serra ‘di appoggio’). Oppure potete optare per la classica serra ‘a capanna’, se lo spazio a disposizione lo consente.
Il materiale da utilizzare per la struttura può essere il legno, il ferro o l’alluminio.
Fantastico. Il Comune smentisce il Comune.
Leggendo sul sito, senza informarsi altrove, uno viene…arrestato. Ci sono, elencati, tutti gli abusi, ma proprio tutti.
La cosa ha del sovrannaturale.
E’ talmente ridicola. La solita figura dei pecioni. Non c’è niente da fare, le istituzioni amano tanto fare le cose alla carlona.
Ma che il sito del Comune arrivi a disinformare istigando addirittura i cittadini alle violazioni edilizie mi pare un po’ troppo.
Che faccio? Mi stampo la pagina e se qualcuno mi dice un giorno di tirare giù il mio gazebino di legno la brandisco come un’arma??
Bah. E ancora bah.
Il vero abuso, qui, è quello di chi occupa posti pubblici per fare e dire cazzate…
LE PAROLE TRA NOI NOIOSE
Lavorando con le parole capita – giocoforza – di riflettere sul loro uso e abuso.
Sembrano vagamente migliorati i tempi del funesto "attimino", tormentone dalle svariate applicazioni ("è un attimino scomodo", "sono un attimino stanca", "vorrei riflettere un attimino", ecc.). Anche se incombe sempre sulle nostre teste, come la nuvoletta di fantozziana memoria.
Purtroppo è sempre in voga il "teatrino", spalmato sulla politica come burro su una fetta di pane.
E "scendiamo sempre in campo", tutti, in ogni occasione.
Poi ci sono le mode gergali. Oggi va molto il famoso "Ci sta".
Fino a quindici anni fa non si usava.
Personalmente, lo trovo orripilante.
"Sei andato a casa perché avevi voglia di andartene? Ci sta".
Ci sta? Non ci sto io, mi sa…
No, decisamente non mi piace. La trovo una brutta espressione.
Soprattutto, non mi piace l’abuso di parole e modi di dire.
In questa direzione, assistiamo all’inflazione delle "ottimizzazioni" e delle "attivazioni"...
"Stiamo ottimizzando i risultati". Ottimo.
"Mi sto attivando". Come? Con una pila Duracell?
Insomma, che lagna…
NONNINE D’ASSALTO
Me ne stavo – abbastanza stressata a dire il vero – nella mia brava fila al supermercato, con il carrellino, desolato, che ospitava quelle cosette tipiche che ti compri quando non hai né tempo né voglia di cucinare (That’s amore Findus, stracchino, bresaola, lattuga imbustata e già lavata).
A un certo punto mi giro e compare lei, la vecchietta che scalza tutti facendo lo slalom, sgomitando e affermandosi con una grinta che neanche le Veline con il loro stacchetto di coscia… Sculettava anche lei, la nonnina, passando avanti a tutti, allegramente.
“Grazie grazie, vedo che lei ha meno roba”. Ma non era mica vero. E si ingobbiva ancora di più, la furbacchiona. Che secondo me godeva di una salute migliore della mia. Infatti è andata via trotterellando dopo essere passata davanti a tutti, considerandolo un dato di fatto, semplicemente.
Ora, riconosco il diritto di anzianità, figuriamoci. Ma almeno l’educazione…
Sempre più spesso, in giro, mi capita di vedere queste nonnine d’assalto che, vere figlie della contemporaneità, hanno imparato i trucchetti dell’individualismo, della maleducazione e dell’egoismo.
Un’altra, alla posta, la settimana scorsa si è intrufolata, quatta quatta, fra le persone che aspettavano e zac!, all’improvviso è piombata con fare rapace sul bancone senza che nessuno potesse realizzare l’accerchiamento.
Colpiti e affondati, tutti noi, i cretini che stavano lì da almeno un’ora.
Se le persone anziane pretendono rispetto, devono anche essere capaci di offrirlo.
E invece sempre più spesso diventano ostili, selvagge.
Alla faccia della saggezza.
Vero, si sono dovute adeguare a questo triste mondo di quotidiana lotta metropolitana.
Ma non sopporto sentir parlare della maleducazione giovanile quando poi mi rendo conto di quanto siano massicce le arroganze senili.
Anche se non sono tutte ciccia e brufoli, pure le vecchiette sanno passare avanti, fregarsene de prossimo e usare i trucchetti.
Comunque la prossima volta, per far presto al supermercato, mi tingo i capelli di grigio…
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