Il 4 ottobre Shaun Dikes si suicida, buttandosi dal piano superiore di un parcheggio a Derby, in Inghilterra.
Ha solo diciassette anni, Shaun.
Diciassette anni che si sfracellano su un marciapiede. Troppo pochi per morire, troppi per volare via come un angelo immune alle ferite.
Una vita brucia in un attimo, come un fuoco d’artificio. E a volte, a volte ci sono dei cretini che ti aiutano ad accendere la scintilla fatale.
Non era solo, quel giorno. Sotto di lui, mentre i poliziotti tentavano faticosamente di dissuaderlo, tra la folla di curiosi (laddove c’è odore di morte, chissà perché, si raduna la morbosità collettiva) alcune voci incitavano il salto nel vuoto, ostacolando il salvataggio.
"Dai, buttati, vediamo se rimbalzi!". "Dai, che ti faccio un video".
Imbecilli. Delinquenti. Scarti dell’evoluzione umana.
E lui lo ha fatto. Si è lanciato come un angelo caduto dal cielo. Ma non aveva le ali, Shaun. Solo carne, e ossa frantumate nell’impatto con il suolo.
E loro, quegli omuncoli, quei ragazzetti privi di una coscienza fuggita chissà dove, hanno ripreso, con un brivido sulla pelle, il volo della morte.
L’hanno perfino diffuso su internet.
E così un diciassettenne se ne va in un giorno qualunque incitato da gente qualunque, facce mai viste che però avevano la voce dei suoi demoni, quelli che lo perseguitavano, lo deprimevano, lo spingevano giù, verso abissi neri di notti senza luna. Le creature del suo sottosuolo avevano vestito abiti umani, quel giorno, presentandosi alla sua Samarcanda.
E’ così che finisci, oggi. Diventi carne da macello, comparsa per un video sinistro che spettacolarizza la morte, una morte che non siamo più abituati a temere, a onorare, a rispettare.
Nel mondo dei video, di internet e della telefonia la vita e la morte hanno la stessa sostanza. Non importa, non fa differenza.
E a me fa schifo, questo mondo così "moderno". Mi fanno vomitare quelli che stanno facendo piazza pulita di ogni umana decenza, che vivono come se fosse tutto un gioco, un reality dove saranno Famosi nelle loro isole quotidiane, squallide, fatte di bocconi di esistenza rubati ad altri, di voyerismo gratuito, di parole e gesti orfani dell’intelletto.Grigiori scambiati per perle, anestesie cerebrali che corrono sul filo del virtuale.
Non è virtuale, la morte. Anche se la diffondi su internet e lì non puzza, non manda odori nauseabondi, non macchia di sangue chi la sfiora, non ha la consistenza delle tre dimensioni.
Non ci sono solo i crimini neri, ci sono anche quelli che nascono dall’indifferenza, dalla volgarità, dalla superficie scivolosa dove nulla si ferma, mette radici.
Quel giorno Shaun è stato ucciso premendo il grilletto della stupidità. Non ci voleva molto, per una creatura fragile, depressa, fare l’ultimo passo verso il salto mortale, quello senza ritorno. Un piccolo passo avanti. Una voce. Ancora un passo. E tutte quelle facce laggiù, che aspettavano che lui facesse l’eroe, che si immolasse per la loro barbarie. I cellulari sollevati in alto, come calici durante un brindisi. Cin cin, Shaun. Chiudi gli occhi. Ci sei. Cin cin.