AMORI
Ogni tanto Mathilde sogna un uomo al quale chiedere: puoi amarmi? Con tutta la fatica di vivere che si porta dietro, la forza e la fragilità. Un uomo che conosca la vertigine, la paura, la gioia. Che non abbia paura delle lacrime dietro il suo sorriso né del suo sorriso fra le lacrime. Un uomo che sappia." (Le ore sotterranee, D. De Vigan)
SACRA CONOSCENZA
Bellissimo, il film Agora che narra vita e morte di Ipazia di Alessandra, la filosofa che studiava le stelle e i pianeti e insegnava nella scuola alessandrina.
Bello davvero.
Mi ha sempre affascinato, la figura di questa donna bellissima e coltissima, diventata così "pericolosa" da meritare la morte per mano dei parabolani.
Il film narra di un tempo delicato, dell'incrocio tra paganesimo, cristianesimo ed ebraismo, e di una delicata convivenza.
C'è solo un dettaglio, ma un dettaglio importante. Ipazia non era una scienziata laica, come alcuni (Margherita Hack compresa) vorrebbero farla apparire. Non è una martire della scienza ma della filosofia, cioè dell'amore per la conoscenza. E la conoscenza, a quel tempo, non prescindeva dal sacro, dall'inserimento dell'uomo in un contesto divino. Mi dispiace per la signora Hack, forse una delle persone più "religiose" che abbia mai incontrato, una vera sacerdotessa dell'ateismo, una papessa laica che mostra le stesse ottusità delle chiusure che vuole combattere. Mi dispiace per lei, ma Ipazia NOn era atea.
A quel tempo la scienza era un tutt'uno con la filosofia, l'astronomia…Gli dèi e l'uomo non si erano separati, e l'uomo studiava il cosmo con stupore e ammirazione. Ammirazione per quel mondo divino regolato da leggi misteriose che man mano imparava a conoscere. Leggi sacre, come il sacro cerchio che governava quei moti celesti che l'uomo, di notte, osservava immerso in un mare di stelle.
Ipazia muore perché non vuol diventare cristiana, muore perchè difende la sua libertà di fronte a una forzata conversione. Ma Ipazia non è atea. Crede nel moto delle stelle, crede negli astri, crede nella filosofia. Ma la filosofia e la scienza erano, per l'uomo antico, testimonianza dell'amore divino.
Non possiamo, non dobbiamo scordare questo particolare.
La scienza di ieri non è la scienza di oggi. Oggi abbiamo settorializzato ogni conoscenza, diviso il mondo in specializzazioni, perdendo la visione d'insieme (un po' come una gamba che non conosce più il corpo che la ospita, e cammina in modo…un po' cieco).
D'accordo, abbiamo deciso di fare così. Ma, per favore, cerchiamo di rispettare il pensiero antico da cui tanto abbiamo imparato.
Se facessimo di Ipazia una martire atea, una martire laica, la uccideremmo due volte.
E non se lo merita.
QUALE VERITA’?
Sono stanca, stanca, stanca. Stanca delle verità assolute propinate a ogni latitudine. Stanca dei greggi che utilizzano queste verità per ripararsi sotto l'ombrello del buon pastore di turno, che le condurrà al macello, macello verso il quale si dirigeranno allegramente, cantando le canzocine, come tanti bambini che si tengono per mano mentre corrono verso il parco giochi.
Ma sono anche stanca delle camaleontiche e false virtù di chi indossa abiti morali, etici, e si veste con il sorrisino del Buddha per nascondere a sé stesso e agli altri la sua meschinità.
Ognuno va in giro affermando la Verità. Verità. Verità. Quale verità?
Verità su di noi, sul mondo che ci circonda, sulle galassie che non conosciamo , sul fine ultimo dell'universo.
Quanti castelli (chiusi a chiave e senza ponte levatoio) innalzanti il vessilo dell'Assoluto. Eh già, la relativitù, fa male. Il dubbio, costa. Costa pezzi di psiche e di anima.
Preferiamo fare i Pinocchi, e cuocere le nostre certezze nel brodino artificiale piuttosto che cucinarle alla luce di una fiamma ardente che annulla e trasforma.
Mi guardo intorno, e vedo persone arroccate su una moltitudine di posizioni. Le difendono come si trattasse dell'aria stessa che respirano.
E vedo una recita immane, gigante, In cui ci si finge amici per competere meglio e controllare l'altro, ci si dichiara "buoni" mentre vorremmo sventrare la nemica che sottrae l'attenzione di chi veneriamo, si inventano mille scuse per vivere la vita che ci piace e non quella che ci meriteremmo. Ci atteggia da "maestri" per coprire la nostra paura…di non essere primi. E anche scuse, certo, una miriade di scuse per non andare avanti (avanti, indietro, che importa? ciò che conta è il moto …che ti riporta a te).
Ma dobbiamo sembrare buoni. E sentirci migliori dell'altro, sempre. Perché se per caso sfiorassimo la fragilità che ci distingue, allora crolleremmo sotto il peso delle nostre incertezze. Peccato. Sarebbe un sano crollare.
E invece manteniamo in vita la nostra bella Verità Assoluta, che in realtà è una piccola, sghemba, malaticcia, Verità di Comodo. E guai a chi ce la tocca.
Così uccidiamo, regolarmente, il nsotro grillo parlante. Lo soffochiamo, col cuscino, la notte. Lo acciacchiamo sul muro di giorno. E lui, ostinato, risorge. E torna a turbare i nostri sonni.
Ma la nostra verità non sopporta contraddizioni, alternative, ambiguità.
Ho sempre pensato che più le persone sono "composte" fuori più sono caotiche dentro, più mantengono un aplomb…svizzero, più hanno il terrore di guardare le frane interiori. Così come chi grida, urla, si scompone come una cittadella sul mare alle prese con un uragano, teme quella voce interiore, la voce del grillo che gli ricorda la sua infinita paura.
Ma davvero, quale, quale verità?
A me piace di pensare di procedere a piedi nudi, sotto una pioggerella sottile, con una candela che cerca di fare luce nel buio immenso dell'esistenza. Sì perchè esistere è anche cercare, cercare quella sincerità che ogni giorno si sfugge. Non si trova nelle etichette religiose, per me, e nemmeno in quelle politiche. Nè, tantomeno, negli Assoluti ordinatissimi dell'anarchia. Non si trova nei catechismi di ogni sorta e provenienza. Non si trova negli "ismi".
Conoscenza è solitudine. Quella solitudine spietata che ti accompagna come un rimorso, un dolore mai sopito, un'assenza.
Sapendo che in ogni istante, ciò che crediamo, per quanto "ripulito" e onesto ci sembri, possa crollare.
E allora dobbiamo cominciare di nuovo, con nuovi mattoni. Senza paura. Difficilissimo farlo. Ci si blocca la schiena, ci sudano le mani, si impiglia nella luna il sonno.
Ci servono "l'algebra e il fuoco", per dirla con Borges. E Dio sa quanto è difficile trovare quel fuoco.
Nel frattempo, possiamo accettare i nostri mostri, provando a umiliare le carenze, le bugie, gli assoluti fannulloni che abbiamo allevato.
Ognuno lo fa come può. Chi è molto sensibile vivrà sulla pelle ogni scossone, sarà urtato e sbattuto qua e là, fino a sembrare pazzo a chi "si contiene". E' quanto è toccato ai grandi poeti di ieri e di oggi. La poesia aiuta il mondo. ma non basta. L'Acqua serve, ma serve anche il Fuoco. E un po' di rigore. Di algebra.
Da qualche parte, bisogna iniziare. Magari cercando di ridurre il nostro sterminato nasone.
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