A VOLTE RITORNANO
Eccomi qui. Niente avatar stavolta: ci metto la faccia. Con un po' di brufoletti estivi dovuti – ehm – a montagne di cioccolata serale che non è proprio il massimo durante il solleone…
Già. La mia faccia.
Mi diverte questo svelamente virtuale in cui per una volta compare la mulinaia che, come mi ha detto la mia cara amica Celeste in un sacrosanto e recente ammonimento, rischiava di trasformare il mulino in uno stagnetto.
Ma a volte stare lontano dalla scrittura fa bene. Il mio è stato un digiuno terapeutico. Passeggiate, sole a dosi omeopatiche, letture, qualche film, molte serate a cena fuori (uno dei miei sport preferiti)
Dovevo riposarmi. E l'ho fatto.
Anche i mulini non riescono sempre a macinare bene. Specie quelli…umani.
E sai come succede, no?
Ti giri indietro e il mare è alle spalle, l'estate è scivolata via come sabbia, come un vento veloce che spinge le nuvole. Il tempo perduto e il tempo ritrovato, il tempo che fu e il tempo che verrà: tutto, d'estate, rallenta per un delizioso momento…
Perciò, si ricomincia.
SOLI E SCRITTURE
Lo so che non sono puntuale come prima, nello scrivere. Un po' perché la mia vita è cambiata, e il mio lavoro mi porta a spostarmi e passare qualche giorno fuori roma tutte le settimane, un po' perchè il caldo cocente di questo periodo ottunde i neuroni e fa passare la voglia di fare molte cose.
Ma la scrittura continua ad abitarmi. Come un pensiero fisso, un ricordo che non ti molla, un amore che il tempo non corrompe.
Solo, sono un po' impegnata a scrivere te fare ante belle cose, creative, ma che nulla hanno a che fare con questo blog.
Ma dentro, sempre, c'è la certezza di un luogo al quale tornare.
Per alcuni è una persona, una casa, un uomo, una chiesa…
Per me è la scrittura (anche se non disdegno affatto i "luoghi" sopra citati!)
E' un'esatte faticosa, con un sole aggressivo e l'umidità che ti bagna i pensieri.
Francamente, sogno un bel temporale estivo, con la pioggia che cade battendo sui vetri e il vento che ti accarezza la pelle e porta via con sé le malinconie.
Ma ogni cosa, letteralmente, a suo tempo.
Non decidiamo noi della natura, malgrado le violenze che continuiamo a perpetrare.
Così ora ci becchiamo queste estati "tropicali", per nulla adatte al nostro bel clima mediterraneo.
Pazienza, non rimane che attendere, con fiducia.
Chi, come me, ama i colori autunnali e i suoi giochi cromatici, l'estate è un tempo accolto ma non particolarmente amato.
Solo la sera, quando il giorno si scuce sui cieli fiamminghi, respiro, serena, sotto le stelle, godendomi le piante del mio terrazzo (due notti fa ho dormito lì, sul lettino prendisole, è meraviglioso dormire sotto il manto stellato e svegliarsi con la magia dell'alba). La sera, d'estate, ha un buon sapore.
Malgrado l'umidità che con le sue mani appiccicose ti tasta ovunque, ti bagna i capelli, ti toglie la forza.
La notte, la notte è sempre bella.
RICORDATI DI TE
Troppo spesso ci dimentichiamo chi siamo. Presi dagli eventi, impegnati a indossare le maschere quotidiane, a passare di film in film, a vincere l'oscar per la nostra migliore interpretazione. Rapiti dalle cose, dalle persone, dalle illusioni, sedotti dal gioco sottile e morboso della danza di maya, che ti strappa a te stesso.
Ogni tanto, ogni tanto ricordarci di noi ci fa bene.
Ma ricordarci di noi "veramente", non di quel "noi" che ci siamo costruiti per piacerci (copia e incolla di personaggi virtuosi, ieratici, buoni, generosi, perfetti) o disprezzarci (eh già, perchè ci piace tanto anche costruire immagini negative, in fondo l'eroe bello e tenebroso, dannato e distruttivo ha il suo fascino, ci piace immaginarci così, scuri come una notte senza luna). Insomma, non di quei personaggi che invariabimente mettiamo davanti.
Ricordarci di noi. Solo di noi. Così come siamo veramente. Nello spazio di una nudità quasi sacra, un'intimità senza sesso, senza parole, fatta di vuoti e di pieni. Di tremori. E pudori.
Lì, in quel luogo, per un attimo possiamo ricordarci di noi. E, finalmente, respirare.
FUORI DAL GREGGE
La vera libertà è solitudine
(E. Junger)
C'era una volta una pecora che, insieme alle altre, viveva in un recinto spazioso ma, ovviamente, circoscritto. La pecora, inquieta, percorreva la staccionata circolare annusando odori nuovi che venivano dallo spazio intorno. Uno spazio, che alle pecore faceva paura. Ma lei sentiva profumo d'erba fresca, freschissima, diversa dalle solite pappe preparate per il suo gregge, e ascoltava rumori soavi di ruscelli freschi, gioiosi. Voleva vedere. Provò a chiamare le altre, a convicere le pecore a uscire fuori, tutte insieme, per un'escursione di gruppo. Ma le altre pecore risposero: "Noooo, noooo" belando disperate "Là fuori c'è il lupo, e tante brutte cose che non conosciamo. Mille pericoli e ostacoli, brutti mostri cattivi". Ma la nostra pecora non si rassegnava e un bel giorno oplà, saltò il recinto e si inoltrò in quelle terre sconosciute. Terre meravigliose, piene di meraviglie. Terre espanse, libere, selvaggiamente scintillanti di infinite promesse. Tutta felice, la pecora conobbe le acque più fresche dalle quali si abbeverò, brucò l'erba più tenera, si appisolò all'ombra di alberi accoglienti sotto un sole nuovo.
Poi tornò nel recinto per raccontare alle altre tutte le belle cose che aveva visto e vissuto. Ma le dettero della pazza. C'era il lupo, fuori, e molte cose brutte, sconosciute. Non era quella la verità. Era una bugiarda. Una folle.
Così iniziarono a isolare la povera pecora pazzerellona, a farla sentire sbagliata.
E lei, lei continuò a vivere i suoi giorni in cattività, finché il ricordo di quell'infinito si fece sempre più flebile.
Un giorno i pastori, vedendola così pallida, malaticcia, priva di vita, le aprirono la porta del recinto per farla uscire, a patto che non rientrasse mai più. Ma lei, lei, spaventata, si rintanò in un cantuccio fissando con occhi rassegnati e atterriti quello spazio infinito che le aveva regalato i momenti più belli della sua vita.
Chiuse gli occhi, tristissima, e si mise a dormire.
Le pecore "nere" vengono sempre ostacolate, spogliate delle loro visioni, dei frutti prolifici derivati dalla ricerca, dallo spostamento dei soliti, vecchi confini.
E così vivono nella solitudine, nell'emarginazione. Non capite, spesso non volute, cercano di mantenere vivo il ricordo degli spazi interiori nei quali hanno assaporato la libertà dell'essere.
Alcune di loro riescono a mantenere gli occhi vigili. E non si arrendono. Cercano, cercano, finché non salteranno di nuovo la staccionata. Altre, invece, non ce la fanno. Si adattano alle misure ristrette della loro cattività. E quando qualcuno apre per loro la porta del recinto che le tiene prigioniere, scelgono di restare nella mediocre quotidianità dei giorni misurabili e consolidati.
Ma, dentro, sanno. E la loro malinconia ogni giorno farà i conti con la memoria della perduta libertà. E, chissà, un giorno forse, tenteranno di saltare ancora.
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