QUALE VERITA’?
Sono stanca, stanca, stanca. Stanca delle verità assolute propinate a ogni latitudine. Stanca dei greggi che utilizzano queste verità per ripararsi sotto l'ombrello del buon pastore di turno, che le condurrà al macello, macello verso il quale si dirigeranno allegramente, cantando le canzocine, come tanti bambini che si tengono per mano mentre corrono verso il parco giochi.
Ma sono anche stanca delle camaleontiche e false virtù di chi indossa abiti morali, etici, e si veste con il sorrisino del Buddha per nascondere a sé stesso e agli altri la sua meschinità.
Ognuno va in giro affermando la Verità. Verità. Verità. Quale verità?
Verità su di noi, sul mondo che ci circonda, sulle galassie che non conosciamo , sul fine ultimo dell'universo.
Quanti castelli (chiusi a chiave e senza ponte levatoio) innalzanti il vessilo dell'Assoluto. Eh già, la relativitù, fa male. Il dubbio, costa. Costa pezzi di psiche e di anima.
Preferiamo fare i Pinocchi, e cuocere le nostre certezze nel brodino artificiale piuttosto che cucinarle alla luce di una fiamma ardente che annulla e trasforma.
Mi guardo intorno, e vedo persone arroccate su una moltitudine di posizioni. Le difendono come si trattasse dell'aria stessa che respirano.
E vedo una recita immane, gigante, In cui ci si finge amici per competere meglio e controllare l'altro, ci si dichiara "buoni" mentre vorremmo sventrare la nemica che sottrae l'attenzione di chi veneriamo, si inventano mille scuse per vivere la vita che ci piace e non quella che ci meriteremmo. Ci atteggia da "maestri" per coprire la nostra paura…di non essere primi. E anche scuse, certo, una miriade di scuse per non andare avanti (avanti, indietro, che importa? ciò che conta è il moto …che ti riporta a te).
Ma dobbiamo sembrare buoni. E sentirci migliori dell'altro, sempre. Perché se per caso sfiorassimo la fragilità che ci distingue, allora crolleremmo sotto il peso delle nostre incertezze. Peccato. Sarebbe un sano crollare.
E invece manteniamo in vita la nostra bella Verità Assoluta, che in realtà è una piccola, sghemba, malaticcia, Verità di Comodo. E guai a chi ce la tocca.
Così uccidiamo, regolarmente, il nsotro grillo parlante. Lo soffochiamo, col cuscino, la notte. Lo acciacchiamo sul muro di giorno. E lui, ostinato, risorge. E torna a turbare i nostri sonni.
Ma la nostra verità non sopporta contraddizioni, alternative, ambiguità.
Ho sempre pensato che più le persone sono "composte" fuori più sono caotiche dentro, più mantengono un aplomb…svizzero, più hanno il terrore di guardare le frane interiori. Così come chi grida, urla, si scompone come una cittadella sul mare alle prese con un uragano, teme quella voce interiore, la voce del grillo che gli ricorda la sua infinita paura.
Ma davvero, quale, quale verità?
A me piace di pensare di procedere a piedi nudi, sotto una pioggerella sottile, con una candela che cerca di fare luce nel buio immenso dell'esistenza. Sì perchè esistere è anche cercare, cercare quella sincerità che ogni giorno si sfugge. Non si trova nelle etichette religiose, per me, e nemmeno in quelle politiche. Nè, tantomeno, negli Assoluti ordinatissimi dell'anarchia. Non si trova nei catechismi di ogni sorta e provenienza. Non si trova negli "ismi".
Conoscenza è solitudine. Quella solitudine spietata che ti accompagna come un rimorso, un dolore mai sopito, un'assenza.
Sapendo che in ogni istante, ciò che crediamo, per quanto "ripulito" e onesto ci sembri, possa crollare.
E allora dobbiamo cominciare di nuovo, con nuovi mattoni. Senza paura. Difficilissimo farlo. Ci si blocca la schiena, ci sudano le mani, si impiglia nella luna il sonno.
Ci servono "l'algebra e il fuoco", per dirla con Borges. E Dio sa quanto è difficile trovare quel fuoco.
Nel frattempo, possiamo accettare i nostri mostri, provando a umiliare le carenze, le bugie, gli assoluti fannulloni che abbiamo allevato.
Ognuno lo fa come può. Chi è molto sensibile vivrà sulla pelle ogni scossone, sarà urtato e sbattuto qua e là, fino a sembrare pazzo a chi "si contiene". E' quanto è toccato ai grandi poeti di ieri e di oggi. La poesia aiuta il mondo. ma non basta. L'Acqua serve, ma serve anche il Fuoco. E un po' di rigore. Di algebra.
Da qualche parte, bisogna iniziare. Magari cercando di ridurre il nostro sterminato nasone.
BILICO
Troppo di sinistra per essere di destra
Troppo di destra per essere di sinistra
Troppo gerarchica per essere anarchica
Troppo anarchica per essere gerarchica
Troppo zingara per essere “principessa”
Troppo “principessa” per essere zingara
Troppo tradizionalista per essere progressista
Troppo progressista per essere tradizionalista
Troppo “anima” per essere “cozza”
Troppo “cozza” per essere “anima”
Troppo malinconica per essere solare
Troppo solitaria per la coppia
Troppo "coppiettaria" per la solitudone
Troppo solare per essere malinconica
Troppo antica per essere moderna
Troppo moderna per essere antica
Troppo nomade per essere stanziale
Troppo stanziale per essere nomade
Troppo stanca per essere entusiasta
Troppo entusiasta per essere stanca
Troppo vecchia per essere giovane
Troppo giovane per essere vecchia
Fra cielo e terra, vivo sospesa come un orizzonte
MAGIA DEGLI SPECCHI
Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini.
Jorge Luis Borges
“Specchio specchio delle mie brame”, diceva la Regina di Biancaneve, la Neve Bianca, pura, non contaminata dalle passioni.
Quelle che, invece, animavano la Regina, simbolo dell’ombra, del potere, dei vizi che contraggono la nostra tensione verso la virtù.
E lo specchio?
Lo specchio è l’elemento magico, la porta verso altre dimensioni, oppure, se non si effettua il passaggio, la superficie nella quale rimbalziamo, e che ci rimanda, invertita, la nostra immagine.
Narciso si specchia nell’acqua e si innamora. La Regina si specchia e si adombra. Noi, ogni giorno, ci specchiamo e cerchiamo conferme, o disattese, sull’immagine attraverso la quale ci porgiamo al mondo.
Ma quale mondo? Quale immagine?
Specchiarsi è un rito celebrato da sempre, dall’alba del tempo, dalla prima notte di stelle.
E se la donna incarna la voluttà del piacere riflesso, della bellezza fissata su quella superficie che però, appunto, è solo una superficie. E dentro, e dietro, che c’è?
C’è Alice con le sue meraviglie. Ci sono i demoni e i fantasmi.
Le streghe e gli orchi. Ma lì, in un angolo, vibra anche la luce per le stelle, la porta per paradisi lontani di cui quelli terrestri sono solo omologia, riflesso.
Specchiarsi è importante. Lo facciamo ogni giorno, al bagno, quando ci svegliamo. Osserviamo il nostro volto, ne accompagniamo, con lo sguardo, la rete che il tempo tesse vicino alla bocca, negli occhi, fra le sopracciglia. Ci compiacciamo della bellezza, o ci rattristiamo per ciò che riteniamo poco aggraziato, poco avvenente, poco piacevole.
E’ il primo gesto del mattino.
Cerchiamo noi stessi. Reduci dall’impalpabile mondo notturno attraversato dai sogni, abbiamo bisogno di ricordarci chi siamo. Anzi, chi sembriamo.
Già, perché non è detto che siano sempre la stessa persona. Non è detto affatto.
Quando ero ragazzina, usavo lo specchio come una streghilla incosciente.
Cercavo altri volti che man mano affioravano, ci giocavo, li facevo scomparire e riapparire. Li sovrapponevo.
Scherzavo con un "fuoco" magico di cui non avevo nessuna consapevolezza.
Più avanti, studiando il simbolismo dei miti, avrei capito – con un brivido – la portata della soglia sulla quale mi trastullavo.
Si può passare oltre. E non tornare indietro. Prigionieri in mondi arcani che stanno…un poì più in là, rispetto alla materia.
Ma anche qui, anche nel nostro mondo che sempre diviene, lo specchio è indispensabile. Ostacolo e mezzo, gradino e inciampo.
Ci serve, lo specchio. Ci aiuta a conoscerci. Ma è una conoscenza riflessa; dovremmo invece andare “dentro”, penetrare l’immagine per cercare la sostanza, l’essenza dell’essere irreducibile che vive dentro di noi, quello che non viene scalfito dal tempo, quello sostenuto dai fili argentati dell’anima.
Ma ri-flettere è anche maturare consapevolezze, piegarsi al di là delle apparenze.
Lo sanno bene quei fortunati,rarissimi amanti che hanno avuto la ventura di specchiarsi uno nell'altro, di sconfinare, di perdersi in un tempo senza tempo.
Hanno sentito la loro potenza amplificarsi, rimbalzare, fondersi. Diventare dono, fontana e fuoco.
Negli occhi di chi amiamo possiamo trovare la porta.
Non a caso si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima.
Lo sono, lo sono eccome.
Sono ingressi pern il giardino delle meraviglie.
Ma, come in ogni magia che si rispetti, l'errore diventa fatale. E allora lo specchio si rompe per sempre.
Lo cercheremo in altri occhi, in altri specchi, in altre porte che però rimarranno sbarrate senza la forza di quelle particolari corrispondenze.
E anche questa, se dolorosa, è conoscenza.
Come quando, da piccoli, impariamo la separazione dallo specchio materno. Impariamo a contare i nostri confini, li misuriamo con le nostre piccole dita, saggiamo la distanza fra noi e lei. Una distanza che ci spaventa, sembra incolmabile, sembra aprire abissi che inghiottono il nostro bisogno di cose finite, di destini sincroni, uniti per sempre.
Invece quei destini si separeranno, avranno futuri diversi, e diverse narrazioni.
Da piccoli impariamo il gioco degli specchi.
Un neonato è una piccola Luna, acqua pura, incontaminata, sulla cui superficie ogni evento si imprime come un'icrespatura.
I suoi occhi vivono nei grandi occhi materni attraverso i quali tutto riflettono e assorbono, come una spugna.
E' in quegli occhi che impara sé stesso. E' lì che apprende l'arte della corrispondenza, della sintonia.
Ci sono specchi ovunque, al di fuori di noi.
Persone, cose e situazioni ci dicono di noi e del nostro mondo.
Non è sempre piacevole, certo. Quando le immagini parlano delle nostre ombre, dei nostri irrisolti limiti, vorremmo infrangere quegli specchi, mandare in pezzi le impronte sparse della nostra ignoranza.
Invece dobbiamo pulire, lucidare.
Sempre.
Il mondo è uno specchio a volte pietoso, altre inclemente. Ma ci aiuta a sapere chi siamo.
Negli altri incrociamo le nostre fragilità, la nostra forza, la realtà di ciò che siamo il sogno di ciò che forse non saremo mai.
Già, l’uso dello specchio è fondamentale.
Ma mentre lo specchio “fisico” è semplice da gestire, nello specchio del mondo ci si perde come in una foresta: i suoi intrecci confondo, smarriscono, deviano, dilatano.
Ci vogliono saggezza e discernimento, in questo caso.
L’immagine può sanare o avvelenare, dipende dall’uso che ne facciamo.
Come Narciso, affoghiamo nell’innamoramento che increspa la superficie delle cose, oppure andiamo più avanti, giù, immersi profondamente nella nostra coscienza.
Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
La più bella, anche se dolorosa, è sempre la verità.
NATURE SNATURATE
Peccato. Sono uscita dalla sala di Oceani3d in preda a una rabbia incontenibile.
Ma come si fa, come si fa a rovinare un documentario meraviglioso con quei tre coglionazzi di Aldo, Giovanni e Giacomo che impazzano devastando il film con il loro patetico commentario.
Non era una pubblicità della Wind, questa. Non si trattava di abbindolare qualche ragazzino con l'ennesimo trucchetto "risparmi oggi-spendi domani".
Non c'era bisogno di goliardie, cazzate, e altre amenità votate a una comicità sempre uguale e, diciamocelo, abbastanza "pezzente".
Il bellissimo documentario costato sette anni di lavori e riprese aveva diritto al rispetto, quel rispetto che, come sempre, ci manca.
Ma il pasticcio, guarda caso, è tutto italiano. La versione originale ha una sola voce narrante che commenta i mar profondi in cui vivono tartarughe, squali, foche, pesci stranissimi come la "ballerina spagnola".
Immagini mozzafiato, che fanno commuovere per la loro bellezza (confesso che la dimensione 3 D aggiunge un tocco magico, ma la magia è comunque…già presente, in dose massiccia).
Invece eccoli, i tre "pirla" che mettono su un siparietto mentre con le loro voci stridule fanno battute da sbadiglio rovinando la bellezza di animali e paesaggi.
Di fronte al magico, misterioso canto delle balene loroc osa fanno? Ci parlano sopra.
"e poi ci hanno raccontato che in Francia e in Inghilterra i bambini in sala si erano tutti addormentati … quindi ci voleva una ventata d'aria fresca". Dicono, per difendersi, i tre teppisti.
"In realtà la nostra vera intenzione" – ha scherzato Aldo – "era fare il doppiaggio sott'acqua, ma non avevamo abbastanza fiato….".. Ecco, appunto: perché non sono annegati???
In giorni così delicati come questi, giorni di marea nera, di ennesimo stupro della natura, il fare selvaggio che ha inquinato perfino un documentario mi irrita, mi innervosisce, mi fa pensare che l'uomo è sempre più stupido di quanto abbiamo sospettato un attimo prima.
E molto, molto più egocentrico.
Non c'è nessun bisogno di mettersi in mezzo: la natura parla da sola, parla quel linguaggio meraviglioso, incantato, fatto di misteri e stupori.
Già, ma lo stupore non è più il benvenuto, in un mondo fatto di diascalie che tutto spiega, tutto rende perimetrato, misurabile, replicabile, come i quadri di Andy Warhol.
Eccoci sempre in mezzo, come un prezzemolo. Urticante, sconsiderato. E, soprattutto, egocentrico.
La natura è perfetta…anche senza il nostro cicaleccio.
I momenti più belli, nel film, sono stati quelli in cui i tre, forse per deglutire, hanno taciuto qualche secondo.
Il silenzio, l'immenso silenzio del blu, interrotto solo dal fluttuare dell'acqua, era magnifico. Era sacro. Era un quadro vivente che apre la bocca lasciandola sospesa, come un tappeto volante.
Non roviniamo anche questo. Per favore. Non roviniamolo.
PAROLE IN VOLO
Ho sempre amato Virginia Woolf. L'ho amata in ogni sua parola, concetto, espressione. Ne ho amato il tremolìo, la forza, il volo.
Mi ha consegnato numerosi tesori, fra cui le sue pagine sulle parole. Le conservo sempre nel cuore, come un segreto.
Mi piace condividere, qui, un brano meraviglioso in cui vibra, sensuale e malinconica, penetrante e tagliente, la Virginia fatta di pelle e di testa, in un reciproco scambio fatto di tante "battaglie" senza vinti né vincitori.
“Sono le parole le vere colpevoli. Sono fra le cose più indisciplinate, più
libere, più irresponsabili e più riluttanti a lasciarsi insegnare. Certo,
possiamo sempre prenderle, suddividerle e metterle in ordine
alfabetico nei dizionari. Ma le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. Se ne volete una prova, pensate a quante volte, nei momenti di maggiore emozione, vi capita di non trovarne nessuna quando più ne
avreste bisogno. Eppure il dizionario esiste; e lì, a vostra disposizione, ci sono mezzo milione di parole tutte in ordine alfabetico. Ma potete davvero usarle?
No, perché le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. (…) La questione è solo quella di trovare le parole giuste e di metterle nell'ordine
giusto. Ma non possiamo farlo perché esse non vivono nei dizionari, vivono nella mente. E come vivono nella mente? Nei modi più strani, non molto
diversamente dagli esseri umani; vagando qua e là, innamorandosi e accoppiandosi. È indubbio che siano molto meno limitate di noi dalle convenzioni e dai cerimoniali. Parole regali possono permettersi di accoppiarsi con le più comuni. Parole inglesi sposano parole francesi, tedesche, indiane, e dicolore se gli salta in mente di farlo. (…) Per questo, imporre regole a tali impenitenti vagabonde è del tutto inutile. Le poche regole di grammatica e diortografia esistenti sono le uniche restrizioni che potremmo imporre loro.
Al massimo possiamo dire loro – man mano che le spiamo dal profondolimite della caverna scura e male illuminata in cui vivono – che sembranopreferire la gente che sente e che pensa prima di usarle, ma non deve essere gente che sente e pensa a loro, ma a qualcosa di diverso. Perché sono moltosensibili, e si sentono facilmente a disagio. Non amano che si discuta della loro purezza o della loro impurità. (…) E non amano essere sollevate inpunta di penna ed esaminate una per una. Restano sempre unite in frasi, in paragrafi, e a volte per intere pagine di fila. Odiano essere utili; odiano dover far soldi; odiano andare in giro a tenere conferenze. In breve, odiano qualsiasi cosa impongaloro un unico significato, o che le immobilizzi in un'unica posa, perché cambiare fa parte della loro natura. E forse è proprio questa la loro caratteristica più sorprendente: il bisogno di cambiare."
Pagina 17 di 83