Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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MAGIA DEGLI SPECCHI

 

Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini. 
Jorge Luis Borges
 
 
“Specchio specchio delle mie brame”, diceva la Regina di Biancaneve, la Neve Bianca, pura, non contaminata dalle passioni.
Quelle che, invece, animavano la Regina, simbolo dell’ombra, del potere, dei vizi che contraggono la nostra tensione verso la virtù.
 
E lo specchio?
Lo specchio è l’elemento magico, la porta verso altre dimensioni, oppure, se non si effettua il passaggio, la superficie nella quale rimbalziamo, e che ci rimanda, invertita, la nostra immagine.
 
Narciso si specchia nell’acqua e si innamora. La Regina si specchia e si adombra. Noi, ogni giorno, ci specchiamo e cerchiamo conferme, o disattese, sull’immagine attraverso la quale ci porgiamo al mondo.
 
Ma quale mondo? Quale immagine?
 
Specchiarsi è un rito celebrato da sempre, dall’alba del tempo, dalla prima notte di stelle.
E se la donna incarna la voluttà del piacere riflesso, della bellezza fissata su quella superficie che però, appunto, è solo una superficie. E dentro, e dietro, che c’è?
C’è Alice con le sue meraviglie. Ci sono i demoni e i fantasmi.
Le streghe e gli orchi. Ma lì, in un angolo, vibra anche la luce per le stelle, la porta per paradisi lontani di cui quelli terrestri sono solo omologia, riflesso.
 
Specchiarsi è importante. Lo facciamo ogni giorno, al bagno, quando ci svegliamo. Osserviamo il nostro volto, ne accompagniamo, con lo sguardo, la rete che il tempo tesse vicino alla bocca, negli occhi, fra le sopracciglia. Ci compiacciamo della bellezza, o ci rattristiamo per ciò che riteniamo poco aggraziato, poco avvenente, poco piacevole.
 
E’ il primo gesto del  mattino.
Cerchiamo noi stessi. Reduci dall’impalpabile mondo notturno attraversato dai sogni, abbiamo bisogno di ricordarci chi siamo. Anzi, chi sembriamo.
Già, perché non è detto che siano sempre la stessa persona. Non è detto affatto.

Quando ero ragazzina, usavo lo specchio come una streghilla incosciente.
Cercavo altri volti che man mano affioravano, ci giocavo, li facevo scomparire e riapparire. Li sovrapponevo. 
Scherzavo con un "fuoco" magico di cui non avevo nessuna consapevolezza.
Più avanti, studiando il simbolismo dei miti, avrei capito – con un brivido – la portata della soglia sulla quale mi trastullavo.

Si può passare oltre. E non tornare indietro. Prigionieri in mondi arcani che stanno…un poì più in là, rispetto alla materia. 

Ma anche qui, anche nel nostro mondo che sempre diviene, lo specchio è indispensabile. Ostacolo e mezzo, gradino e inciampo.

 
Ci serve, lo specchio. Ci aiuta a conoscerci.  Ma è una conoscenza riflessa; dovremmo invece andare “dentro”, penetrare l’immagine per cercare la sostanza, l’essenza dell’essere irreducibile che vive dentro di noi, quello che non viene scalfito dal tempo, quello sostenuto dai fili argentati dell’anima.
 
 
Ma ri-flettere è anche maturare consapevolezze, piegarsi al di là delle apparenze.

Lo sanno bene quei fortunati,rarissimi amanti che hanno avuto la ventura di specchiarsi uno nell'altro, di sconfinare, di perdersi in un tempo senza tempo.
Hanno sentito la loro potenza amplificarsi, rimbalzare, fondersi. Diventare dono, fontana e fuoco.
Negli occhi di chi amiamo possiamo trovare la porta.
Non a caso si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima.
Lo sono, lo sono eccome.
Sono ingressi pern il giardino delle meraviglie.

Ma, come in ogni magia che si rispetti, l'errore diventa fatale. E allora lo specchio si rompe per sempre.
Lo cercheremo in altri occhi, in altri specchi, in altre porte che però rimarranno sbarrate senza la forza di quelle particolari corrispondenze.
E anche questa, se dolorosa, è conoscenza. 

Come quando, da piccoli, impariamo la separazione dallo specchio materno. Impariamo a contare i nostri confini, li misuriamo con le nostre piccole dita, saggiamo la distanza fra noi e lei. Una distanza che ci spaventa, sembra incolmabile, sembra aprire abissi che inghiottono il nostro bisogno di cose finite, di destini sincroni, uniti per sempre.
Invece quei destini si separeranno, avranno futuri diversi, e diverse narrazioni. 

Da piccoli impariamo il gioco degli specchi.

Un neonato è una piccola Luna, acqua pura, incontaminata, sulla cui superficie ogni evento si imprime come un'icrespatura. 
I suoi occhi vivono nei grandi occhi materni attraverso i quali tutto riflettono e assorbono, come una spugna. 
E' in quegli occhi che impara sé stesso. E' lì che apprende l'arte della corrispondenza, della sintonia.

 
Ci sono specchi ovunque, al di fuori di noi.
Persone, cose e situazioni ci dicono di noi e del nostro mondo.
Non è sempre piacevole, certo. Quando le immagini parlano delle nostre ombre, dei nostri irrisolti limiti, vorremmo infrangere quegli specchi, mandare in pezzi le impronte sparse della nostra ignoranza.
Invece dobbiamo pulire, lucidare.
Sempre.
 
Il mondo è uno specchio a volte pietoso, altre inclemente. Ma ci aiuta a sapere chi siamo.
Negli altri incrociamo le nostre fragilità, la nostra forza, la realtà di ciò che siamo il sogno di ciò che forse non saremo mai.
 
 
Già, l’uso dello specchio è fondamentale.
Ma mentre lo specchio “fisico” è semplice da gestire, nello specchio del mondo ci si perde come in una foresta: i suoi intrecci confondo, smarriscono, deviano, dilatano.
Ci vogliono saggezza e discernimento, in questo caso.
 
L’immagine può sanare o avvelenare, dipende dall’uso che ne facciamo.
Come Narciso, affoghiamo nell’innamoramento che increspa la superficie delle cose, oppure andiamo più avanti, giù, immersi profondamente nella nostra coscienza.
 
Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
La più bella, anche se dolorosa, è sempre la verità.

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