Avviso ai blogger del mulino e ai naviganti. Cronaca di un pomeriggio sbloggato
Purtroppo sono stati cancellati i commenti dei due ultimi interventi, L’affare Terzani e il terzianismo e Cosa ci porteremo dietro. Peccato, eravate intervenuti con pensieri preziosi. Mi dispiace, cari Petula, D’Ascenso, Lady Viviana, Gabry e tutti gli altri. Se vi va di inserire di nuovo qualche riflessione siete invitati a farlo, visto che Terzani meritava bene quel piccolo dibattito su casi mediatici e spiritualità. Il fatto è che oggi sono stata punita dopo aver postato il commento che parlava – guarda caso – degli "attaccamenti" che abbiamo tutti, e citava perfino…i blog. Poco dopo, infatti, mi accorgo che gli ultimi due interventi sono finiti…in fondo al sito, tutti spostati a sinistra. Chiamo disperata Federico, il webmaster, che si trova in prossimità dell’aeroporto di Ciampino ed è in partenza per un tour Spagna-Portogallo. Tre settimane. Evviva. Come faccio? L’angoscia mi assale, ecco, manco a farlo apposta, dopo aver scritto sulla leggerezza di Terzani nel momento in cui si "spossessa" delle cose, dopo aver sottolineato che l’importante è altrove, non in ciò che abbiamo, non nelle nostre schiavitù quotidiane a cui diamo tanto valore. Ma davanti all’ipotesi del blog impallato per tre settimane la situazione cambia, mi assale l’ansia e trafelata corro nel piccolo internet café (l’unico) della cittadina di provincia nella quale mi trovo in vacanza. Non facciamo nomi. Senigallia. Ma esisteranno i webmaster pure qui? E non saranno a fare i tuffi al mare, prima che l’alga urticante dalla Liguria doppi il tacco dello stivale e arrivi sul nostro Adriatico che è già una pozzanghera? Invece mi danno il numero di uno studio che fa giornali on line (bene, bene, pure io! almeno parliamo la stessa lingua, che quella esclusiva dei webmaster, con tutte quelle pronunce in html mmh, mi spaventano sempre) mentre l’ansia supera il livello 3 di guardia. Codice rosso. Mi faccio accompagnare in macchina strappando mia sorella dalla sua lettura (che per caso mi possa perdere a Senigallia? però non ho tempo per cercare quella via, ho troppa fretta di scoprire se il blog rimarrà oscenamente impallato per un mese) e mi catapulto nel suddetto studio dove l’amabile Michele comincia a smanettare su codici, template, div e quant’altro sotto il mio sguardo di "mamma" apprensiva. Fuori l’uragano Katrina spezza all’improvviso il sole ma non è nulla rispetto al ciclone che ho dentro: blog bloccato? E poi Federico prima di andare a fare l’ìspanico ha avanzato l’ipotesi di un problema serio che chiederebbe il trasloco del blog. Manco a pensarci. Oggi risolvo, dovessi stare qui tutta la notte. All’improvviso mi vedo così ridicola. Così poco aderente a quanto postato poc’anzi. Già, gli spossessamenti, la futilità di oggetti e affini e poi eccomi qui, in pratica in preda a un attacco di panico per blog fuori uso… mi va in tilt l’editor del post e il cervello lo segue a ruota staccando le connessioni. Una macchina e una persona bloccate. Mamma mia. Che imbecille. Ma poi mi viene da ridere pensando a quanto avevo scritto prima. E ci credo davvero. Ma siamo piccoli, e siamo fragili. E basta un nulla, basta il ruttino di una cicala per travolgerci come uragani. E mandare all’aria tutto quanto abbiamo filosoficamente pensato. Dolcetto o scherzetto. Siamo fatti così. E dentro di me sorrido alla mia nullità, a quell’Io così affranto per il suo BLOG e le conseguenze internettiane…Ma qualcuno ha pena di me e fa sì che Michele, dopo aver smanettato più di un’ora per risolvere il problema (e ce l’ha fatta, ma abbiamo perso tutti i commenti di agosto) alla mia domanda su quanto devo sborsare risponde "niente". Niente, dico. Vuole solo essere segnalato, e io lo faccio volentieri. Dunque a Senigallia esiste un piccolo angelo custode per gli smarriti di splinder, si chiama Michele Pinto (
Qui e là
Eppure, in un certo senso, scrivere è un esercizio terapeutico, una proiezione di desideri inappagati, un surrogato della vita non vissuta e delle azioni non compiute. E per l’ispirazione faccio ricorso alla proposta di Baudelaire nei Diari intimi di "uno studio della grande malattia, l’orrore della propria cosa". Pochi sono al sicuro dalla virulenza di questa infezione, quella forza che ci fa cenno di avvicinarci all’ignoto. Spostarsi elettrizza, restare paralizza. Perché nel simbolo del Viaggio si ritrova il nostro principale dilemma. Dove sta la felicità? Perché il Qui è così insopportabile? Perché il Là è così invitante? Ma perché il Là è più sopportabile del Qui? "Cos’è questa strana malattia" si lamentava Petrarca con il suo giovane segretario, "questa mania di dormire ogni notte in un letto diverso?"
Bruce Chatwin, dai taccuini lasciati alla Bodleyan Library di Oxford.
Il declino della noia
Sarà banale, ma spesso i bambini insegnano. Io penso di essere cresciuto nella costante intimità con uno scenario preciso: la noia. Non ero più sfigato di altri, era per tutti così. La noia era una componente naturale del tempo che passava. Era un habitat, previsto e apprezzato. Benjamin, ancora lui: la noia è l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza. Bello. E il mondo in cui siamo cresciuti al pensava proprio così. Adesso prendete un bambino di oggi e cercate la noia, nella sua vita. Misurate la sensazione di noia che scatta in lui non appena gli rallentate intorno il mondo.
(Alessandro Baricco, i barbari, La Repubblica del 28 luglio 2006)
Vero. Ha ragione, Baricco. Non sempre simpatico, condivisibile, ma sicuramente incisivo e graffiante, quando ci si mette. Perché oggi non ci annoiamo più? Abbiamo perso purtroppo il senso "sacro dell’ozio", quel dolce far niente che cullava però anche la profondità dei pensieri che casualmente affioravano sostando con lo sguardo su nuvole o monti. Chi non fa nulla non produce, questo è il problema. E se non si produce, non si è. Ecco allora che anche i bambini, oggi, devono allenarsi al "fare" frastornando i neuroni con videogiochi e tv. Attenzione al silenzio e alle sue minacce. Così, eccoli lì sempre indaffarati in un mondo rumoroso, a non dormire senza la tv accesa sul cartone animato o sul telefilm condito da mostri orripilanti (com’era bello, invece, Capitan Harlock) e principesse moderne che in realtà somigliano alle suocere dei nostri incubi. Questi bambini non si grattano più la pancia indagando con occhi curiosi il mondo circostante. Peccato. Peccato perché da adulti somiglieranno a noi, avranno le nostre stesse nevrosi. Vivere è diventato un tic, alla fine. Per tutti.
Esseri umani di valore
Einstein diceva: "Non cercate di diventare esseri umani di successo, ma di valore". Purtroppo invece, lo sappiamo tutti, oggi si cerca soprattutto il successo. Così abbiamo molte persone di successo che magari non sono di valore, e persone di valore che nella vita non hanno alcun successo. Ma il successo è fragile, e all’ascesa può seguire il declino. Quando invece sei una persona di valore – e costruisci la tua vita su questo principio – lo rimani per sempre. Senza magari avere successo, ma che importa?
Dell’amore e del dolore
Da un’intervista di Bill Moyers a Joseph Campbell:
B.M. – É certamente vero che, nella vita, l’inferno più grande che si può conoscere è quello della separazione dall’amato. Ecco perché ci piace il mito persiano. Satana è l’amante di Dio.
J.C. – Ed è stato separato da Dio, fatto che costituisce il grande dolore di Satana.
B.M. – C’è un’altra storia persiana sui primi genitori.
J.C. – Ed è molto bella, davvero. All’inzio essi erano una sola cosa e crescevano come una pianta. Ma poi si separarono e divennero due, e misero al mondo dei figli. Ed amarono a tal punto i loro figli che se li mangiarono. Dio pensò: "Non si può andare avanti così". Così ridusse drasticamente la forza dell’amore parentale, così i genitori non si mangiarono più i figli.
B.M. – Di che cosa parlava questo mito?…
J.C. – Ho sentito gente dire dei propri bambini: "É così piccolo e delizioso che potrei mangiarmelo.
B.M. – Il potere dell’amore?
J.C. – Il potere dell’amore.
J.C. – Una volta ho visto un quadro che rappresentava una bocca spalancata che sembrava inghiottire tutto, e dentro di lei c’era un cuore. Questo è il tipo d’amore che ti divora, è il tipo d’amore che le madri devono imparare a ridurre. B.M. – Dio, insegnami a lasciare andare.
J.C. C’erano in India piccoli rituali per aiutare le madri a lasciare andare i loro figli. Il guru, la guida spirtuale della famiglia, arriva e chiede alla amdre di dargli ciòc he ha di più prezioso. E dev’essere qualcosa di gran valore, un gioiello o qualcosa del genere. E così continuano questi esercizi nei quali la madre dopvrebbe imparare a rinunciare a ciò che ha di più prezioso. E alla fine, dovrebbe rinunciare al figlio.
B.M. Così, goia e dolore convivono sempre nell’amore?
J.C. – Sì. L’amore è il punto focale della vita e dato che la vita è dolorosa, anche l’amore lo è. E più forte è l’amore, più forte è il dolore.
B.M. – Ma l’amore sopporta tutto.
J.C. – L’amore stesso è dolore. Si potrebbe dire che è il dolore di essere veramente vivi.
(Joseph Campbell, Il potere del mito)
Figli dell’epoca
Siamo figli dell’epoca,
l’epoca è politica.
Tutte le tue, nostre, vostre
faccende diurne, notturne
sono faccende politiche.
Che ti piaccia o no,
i tuoi geni hanno un passato politico,
la tua pelle ha una sfumatura politica,
i tuoi occhi un aspetto politico.
Ciò di cui parli ha una risonanza,
ciò di cui taci ha una valenza
in un modo o nell’altro politica.
Perfino per campi, per boschi
fai passi politici
su uno sfondo politico.
Anche le poesie apolitiche sono politiche,
e in alto brilla la luna,
cosa non più lunare.
Essere o non essere, questo è il problema.
Quale problema, rispondi sul tema.
Problema politico.
Non devi neppure essere una creatura umana
per acquistare un significato politico.
Basta che tu sia petrolio,
mangime arricchito o materiale riciclabile.
O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma si è disputato per mesi:
se negoziare sulla vita e la morte
intorno a uno rotondo o quadrato.
Intanto la gente moriva,
gli animali crepavano,
le case bruciavano
e i campi inselvatichivano
come nelle epoche remote
e meno politiche.
Szymborska, Gente sul ponte
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