La ferita di Istanbul
Una riflessione un po' diversa. Perchè Istanbul è una ferita di una ferita più grande, che non ha "nemici" specifici ma che riguarda noi tutti. Finché non lo capiremo, vivremo ovunque sotto assedio.
Un assedio creato dal mondo intero.
http://www.lamiaistanbul.com/19-blog/cultura/84-la-ferita-di-istanbul.html
Il nuovo numero della Stanza di Virginia
Online il nuovo numero della Stanza di Virginia!
Come sempre, un grazie a tutti quelli che ci aiutano con i loro preziosi contributi.
Francesca Pacini
Il pessimo giornalismo
Un esempio di pessimo giornalismo firmato da Magdi Cristiano Allam.
Un titolo ironico legato a una tragedia è" qualcosa che rispecchia la profonda ignoranza, la superficialità, il consumismo mediatico dei nostri tempi. I giochi di parole sono i benvenuti, nei titoli. ma non in casi delicati e drammatici come questo.
Del resto, che aspettarsi da certi giornali e giornalisti?
Che rovinano il lavoro di altri che, in silenzio, senza meno clamore, cercano di raccontare il mondo è la società.
Lo spazio già esiguo si riduce ancora per chi ha scelto un modo diverso di fare giornalismo.
La fotografia scelta per il libro inchiesta (inchiesta? siamo sicuri?) rivela un gusto pessimo quanto il titolo del libro. Mi mancano i giornalisti veri, i libri seri, i giornali che scavano nella realtà senza cercare il consenso circense ottenuto con il ricorso a strategie da baraccone.
Purtroppo, oggi, il declino del buon giornalismo è un dato di fatto.
Tiziano Terzani, quando ricordare fa bene
Lo so anche io, che la penna di Oriana Fallaci, narrativamente, ha un talento che Terzani non possedeva nella stessa misura. Ma mentre si rileggono, oggi, gli scritti di Oriana, a me piace invece rileggere, la sera, le Lettere contro la guerra, perché trovo tracce di un pensiero che continuo ad amare e che cerca di vedere anche al di là. Detesto il "terzanesimo", ma reputo che Terzani abbia fatto della sua vita e del suo pensiero un bel cammino.
Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l'etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me capita che, come ora, ogni volta che ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell'Islam o degli immigrati che vi si sono installati. Non sono loro che hanno fatto di Firenze una città bottegaia, prostituta al turismo! E' successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perchè i musulmani si atteando in piazza del uomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno alla stazione. E' così perché anche Firene si è "globalizzata", perché non ha resistito all'assalto di quella forza che, fino a ieri, parea irresistibile: la forza del mercato.
Nel giro di due anni da una bella strada del centro, via Tornabuoni, in cui fin da ragazzo mi piaceva andare a spasso, sono scomparsi una libreria storica, un veccio bar, una tradizionalissima farmacia e un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda.
Credimi, anche io non mi ci ritrovo più.
Per questo sto anchìio ritirato, in una sorta di baita nell'Himalayua indiana dinanze alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì amestose e immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermamenti come tutto nell'universo.
La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornare a prendere lezione.
Tornaci anche tu.
Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più.
Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia.
Ti saluto, oriana, e ti auguro di tutto cuore di trovare la pace. perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.
(Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra)
Su Oriana Fallaci
Avevo scritto queste righe nel 2006. E, ancora oggi, mi ci ritrovo. Anche se sono cresciuta e, adesso, temo ancora di più le radicalizzazioni di ogni pensiero, da ogni provenienza. Sarà perchè ho cambiato pensiero molte volte, e paradossalmente sono rimasta sempre fedele a me stessa. Perchè si cambia, se si cresce, se si vive, e quindi anche un pensiero deve per forza mutare, o quantomeno aprirsi al benvenuto rovello del dubbio.
2006: Una donna
Da domani sentiremo molto parlare, e scrivere, su Oriana Fallaci.
Benissimo. Giusto. Se ne va una voce importante che, nel bene e nel male, ha segnato il pensiero occidentale negli ultimi cinque anni, dopo l’11 settembre.
Oriana ci aveva abituato alle sue invettive, la sua vena polemica già negli anni giovanili emergeva con prepotenza, si infilava in quel mondo maschile che lei, sigaretta alla borsa e zaino in spalla, sfidava nei suoi reportage, nelle sue incursioni nelle zone di guerra.
Ci ha regalato pezzi di storia del Vietnam, quei pezzi "veri" dei reporter che, lontani dalle comodità del computer, con il taccuino giravano, indagavano, frugavano nelle vite delle persone per catturarne pezzetti di una realtà da ricomporre (la Fallaci in un’intervista disse che il giornalista vive la storia in diretta, ed è lui stesso a scriverla in tempo reale).
Ci ha regalato un libro indimenticabile, Oriana, forse l’unico vero libro pieno d’amore che abbia mai scritto. Un uomo rimane la testimonianza più alta non solo della sua scrittura ma anche della sua capacità di vibrare nelle sfumature dei sentimenti, braccandoli senza tregua come un lupo con un coniglio ferito.
Poi però negli ultimi anni il tumore aveva forse scavato nella rabbia. Rabbia contro il mondo, contro il sistema di potere, contro ogni manifestazione di barbarie che, a suo avviso, resisteva in oriente al flusso civile della occidentalizzazione.
"Ho visto Bin Laden ed era il demonio".
Affermazioni estremiste, radicali, senza possibilità di appello. Senza punto interrogativo, senza aggancio per la discussione.
Sicuramente nutrite da un paese in cui la bandiera nazionale sventola in ogni casa, dal vivere nell’anima di quel continente che divide il mondo, oggi più di ieri.
Stasera a cena un amico mi parlava del suo coraggio nel dire cose scomode, e nel portarle avanti fino alla fine.
Pur non condividendole, non in pieno almeno, ho dovuto ammettere che aveva ragione.
Sicuramente è stata una donna "con le palle". Troppe, forse. Però non scordiamoci che a volte può esserci un certo compiacimento nell’essere scomodi.
Oriana ci ha lasciato libri preziosi, e una critica feroce sull’Islam e sulle dinamiche internazionali.
Peccato che, da domani, si scatenerà l’epitaffio post-mortem, pieno di enfasi, di mitizzazioni. Come sempre, la morte ci sottrae dai perimetri angusti della carne e ci trasporta nell’Olimpo degli dèi.
Da lassù, da quel mondo impalpabile in cui la carne si è fatta soffio, brezza notturna, silenzio, i resti mortali vengono lasciati agli umani perché li addobbino con le loro parole.
E così il morto diventa sempre un po’ "speciale". Soprattutto se è un morto famoso, un morto che ha contribuito a scrivere la Storia.
Ma di lei mi piace pensare che non era solo l’Oriana che verrà celebrata, discussa, che di nuovo scatenerà fazioni e reazioni.
Mi piace pensare che era Una donna. Una donna.
Editoria e lavoro. Si può sperare?
L'ultimo editoriale che ho pubblicato tratta di un problema serio in una Italia che non lavora quasi più.
I sogni sono ancora possibili.
Ma sono sempre più faticosi. Ecco il link:
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