Prendo spunto dagli ultimi commenti sul post precedente per parlare di un argomento a me carissimo: il cioccolato.
Tentazione, delizia, croce e godimento. Sono una cioccolatara convinta, almeno quanto Nanni Moretti (lo ricordate con la sua immensa Sacher?).
E, come tutti i cioccolatari convinti, ne adoro le declinazioni più classiche (Sacher, Tiramisu, Salame al cioccolato) ma ammicco anche agli esotismi (pasta al cioccolato).
Chiaro: il cioccolato fa bene all’animo. Lo tira su, lo solleva dalle quotidiane tristezze depositandolo su un Olimpo fatto di celestiali sapori.
E chissenefrega dei famosi "brufoli&ciccia": ne vale la pena. Ne vale davvero la pena.
Quell’istante di estasi, di beatitudine è il nostro riscatto.
Libera endorfine, combatte depressione e ansia.
Del resto, quando si pecca, bisogna peccare bene. Lo sa bene chi pranza o cena con me: quando si arriva al dolce, inutile ogni appello a tortine di mele o pere, mousse di crema, crostatine o gelati. Io finisco sempre per scegliere il dolce al cioccolato. Meglio ancora se accompagnato da un mare di panna.
Lo so, sono come quei bambini golosi che pasticciano con le loro manine e si infilano pezzi di cioccolata nel naso.
Ma non me ne vergogno.
E, come dicevo, se bisogna peccare, bisogna peccare "bene". Non vorremmo fare la fine degli ignavi di dantesca memoria? Se si prende il dolce, che dolce sia. E non c’è tentazione più…dolce, appunto, di quelle oasi di cioccolato.
Non aspetto il Natale, per questo.
Pecco spesso, pecco in continuazione.
Finirò nel girone dei cioccolati-dannati.
Sento già le fiamme dell’inferno, che tuttavia squagliano i pezzi di cioccolato rendendolo ancora più cremoso…