Il mondo sta cambiando molto in fretta, Chi è grande non sconfiggerà più chi è piccolo, ma chi è veloce batterà quelli che sono lenti
Rupert Murdoch
Dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Il mondo sta cambiando, e il giornalismo tradizionale è in crisi. Non basta fare i gadget (l’edicola è ormai un bazar dove trovi di tutto, dallo scialle al rossetto, dal libro al dvd): i quotidiani sono attaccati al respiratore e se si stacca quel respiratore (i gadget, appunto) si collassa imemdiatamente. Decresce la pubblicità sulla carta stampata a favore della migrazione su internet, diminuisce il numero dei redattori (tagli drastici in Europa e in America, negli ultimi anni), aumenta la free press.
Vittorio Sabadin ha scritto un libro prezioso, L’ultima copia del New York Times, in cui racconta i cambiamenti drastici che la stampa sta attraversando. E racconta le crisi, le resistenze.
Ma non si può fermare il cambiamento. Dunque è meglio adeguarsi.
Ho vissuto per quindici anni in mezzo alle riviste cartacee. Le ho costruite, insieme ad altri, numero su numero, timone su timone, pezzo su pezzo. Fino a pochissimi anni fa non riuscivo neanche a concepire l’idea che questo mezzo non fosse l’unica soluzione possibile per il giornalismo scritto. E invece oggi dirigo una rivista online, mi diverto a progettare inserti multimediali e soprattutto cerco di integrare gli aspetti tradizionali con quelli più moderni, attuali.
Ho dovuto vincere le mie resistenze. Ma l’ho fatto. E ho capito che la carta stampata non sarà il futuro del giornalismo. Non sarà l’unico futuro, almeno.
Certo, è bellissimo trovare conforto nella solidità della carta, nel suo odore, in quelle distese di parole che si possono toccare, sniffare, accartocciare. Eppure è anche necessario capire che il web potrà affiancargli un giornalismo efficace, magari diverso, sì, ma efficace.
Specie se i quotidiani tradizionali continueranno a chiudere gli occhi, a voler proseguire una linea di fatto già sconfitta.
Aprire il Corriere della Sera in metropolitana è come stendere un lenzuolo matrimoniale sul letto di una formica.
Gli articoli culturali di Repubblica a volte fanno svenire anche il più erudito dei lettori.
E poi la lontananza dalla gente. Tanta. Troppa. Mentre il giornalismo dovrebbe per sua natura essere vicino alle storie fatte di carne, di sangue, di sudore.
Invece continua a ossequiare i padroni, cioè i gruppi politici ed economici che influenzano le linee editoriali con le loro brave pressioni.
Ed ecco che nasce il citizen journalism, ecco che i blogger americani battono i giornalisti nel dare la notizia in tempo reale o nello scovare dettagli sconosciuti (spesso scomodi).
Ci eravamo innamorati, tutti, di tutti gli uomini del Presidente. Ma dobbiamo anche vedere cosa succede davvero, oggi. Dobbiamo vedere la debolezza delle redazioni, i bavagli e le parole schierate.
Forse internet non è il nemico ma è invece carburante per un risveglio, una reazione.
Di certo, così non si va avanti. Un po’ di pepe nel deretano certamente non guasta.
Non bastano, però, le letteronze di Maria Latella che risponde ai lettori nella sua mezza paginetta, quando poi le cronache locali romane sono infestate da settagli su Provincie, regioni, imprenditorie e costruzioni. E la gente? Che succede davvero in città, oltre alle solite, drammatiche notizie di cronaca nera?
Come respira la città? (O come soffoca, dati i livelli di inquinamento). Che si dice? Come si conciliano tutti i colori del mondo in una metropoli che continua a essere così provinciale?
Quanti articoli si potrebbero fare. Ma non vanno bene. Non fanno gli interessi dei politici e degli imprenditori. Quelli della gente, oggi, sono minoritari.
Il giornale è un luogo di potere i cui spazi sono contesi come jene con una carcassa.
Dio mio, e se la carcassa fosse proprio quella del giornalismo?
O meglio, di un certo tipo di giornalismo?
Perché comunque la voglia di raccontare, l’urgenza della notizia, la voglia di dire e di scrivere cosa succede non moriranno. Ma cambieranno forma, probabilmente. Questo sì. E per fortuna