Il lavoro creativo è sospeso fra la memoria e l’oblio
Jorge Luis Borges
Ho tre amori, tre passioni letterarie che fanno della memoria un punto cruciale. Nella mia vita di lettrice randagia, disordinata, che annusava nell’aria un autore e lo rincorreva tradendo i precedenti legami, ho sempre mantenuto, negli anni, il fuoco di queste passioni che man mano si è fatto brace, brace eterna. Brillano sempre, un po’ come i lumini in una chiesa.
Chi sono, questi amanti perenni? Sono Borges, Levi e Proust. Inutile, adesso, dilungarsi sui motivi delle loro meraviglie, ma sul tema della memoria hanno spazzato via ogni altro candidato, seppur nobile.
Tutti e tre hanno un rapporto diverso con la memoria.
Proust ne fa la sua ricerca. Estasi e assillo, per lui. Una ricerca “sacra”, in cui il consueto svolgersi del tempo rettilineo, da ieri a oggi verso domani, finisce per assumere una forma circolare, extratemporale, in cui la memoria diventa grimaldello analogico, apertura di un recuperato senso di sé e del mondo che sconfina in uno spazio assente e allo stesso tempo presente, in quella vertigine extratemporale in cui passato e presente si fondono, danzando in un cerchio al di là di ogni umana linea retta.
Per Borges invece la memoria è un luogo ambiguo, come ambigue sono molte situazioni di questa realtà (come gli specchi, ad esempio, “che attraverso la copula moltiplicano l’uomo”). Per lui è il luogo che definisce la colpa e il rimorso; rappresenta anche le radici dell’albero che siamo diventati, radici che sono ingombranti, talvolta amico talvolta nemico, come sapevano bene anche gli antichi greci, con Mnemosine. La memoria aiuta, la memoria opprime.
Il povero Funes viene schiacciato da una memoria invadente, aggressiva, in cui è minacciato dal ricordo di ogni dettaglio che vive, da sempre e fino alla sua morte. Mi fa pensare un po’ alla nostra situazione contemporanea, con gli tsunami quotidiani delle nuove tecnologie e dei mass media che senza sosta propinano informazioni, le sganciano dalle loro bombe, in continuazione, senza pietà. Infestati dal “sapere”, forse un giorno capiremo di non capire niente. E sapremo di non sapere, tornando a una socratica e ben più profonda coscienza. Siamo schiacciati, come il povero Funes, anche se noi, noi riusciamo benissimo a dimenticare cosa non ci fa comodo. In questo caso, la memoria diventa invece necessaria. Anche se è stata trasformata in un qualcosa di retorico: “manteniamo la memoria storica”, “senza memoria non c’è futuro”, “per non dimenticare” ecc. in un bla bla mediatico pieno di parole ma privo di reale coinvolgimento. La retorica della memoria diventa così oggetto di banalità, di ciarle narcisiste in cui ognuno, dal politico all’”intellettuale” (ce ne sono, oggi?) mette in vetrina il suo ego. La nostra non è una società eco-comparibile, ma è certamente ego-compatibile. E ne fa le spese anche il giusto uso della memoria, agitata qua e là come un povero polipo su uno scoglio. "Memoria sì, memoria no", canterebbe il sarcastico Elio nelle sue Storie Tese.
Del resto, siamo abituati a cose che scivolano via, come sabbia fra le dita. Non facciamo in tempo a fermarci per ricordare che subito sopravanzo altre richieste, altre pressioni professionali, sociali, mediatiche…Con la stessa rapidità con cui in Facebook rispondiamo al famoso “Che pensi?” e subito i nostri commenti vengono invasi dal gruppo di amici e conoscenti che a loro volta intervengono. Non c’è spazio per l’uso sapiente della memoria. In Se questo è un uomo Primo Levi si interroga seriamente sugli orrori che la storia sta consegnando all’umanità, e forse lo sa, sa già che alcuni elementi stanno “come d’autunno sugli alberi le foglie” malgrado il tentativo di fissarne per sempre l’esperienza attraverso la memoria scritta. Ma con la memoria uno dei problemi è proprio questo: o ci si fissa troppo su questa, perdendo la lucidità del nuovo, della trasformazione, dell’occasione che viviamo ogni giorno, oppure la si lascia morire, tornare oblio.
In fondo, il presente è esattamente ciò che sta tra passato e futuro, ciò che si regge fra memoria e ignoto. “Il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio”. Esattamente. È ora, in questo istante, tra conosciuto e sconosciuto, tra ciò che è stato e non è più, in attesa di ciò che deve invece ancora accadere, che si moltiplicano le possibilità di una vita intensa, profonda, consapevole. Soprattutto consapevole. Del resto, il ricordo di noi può essere illusorio, fugace come la rugiada al mattino.
Ciò che ricordiamo non è sempre ciò che abbiamo davvero vissuto, lo sapevano bene gli antichi greci e lo sapeva bene anche Freud, che ci ha insegnato le trappole della proiezione e del falso mondo che spesso creiamo e vediamo. Dunque la memoria può essere inganno, ostacolo, pietra d’inciampo. Ancora una volta, tutto dipende dall’uso che ne facciamo. E l’uso, individuale e collettivo, è spesso fragile, traballante, parziale. Come se per non dimenticare…finissimo invece per dimenticare tutto. Come se a volte dimenticassimo ciò che va ricordato e ricordassimo ciò che va dimenticato. Perfetto.
Sappiamo bene come lo stesso ricordo, appeso nei nostri pensieri, diventa colmo degli addobbi che pazientemente gli mettiamo addosso negli anni. Lucine, palle di Natale, angioletti che illuminano le azioni più brutte, i vissuti più dolorosi.
Davvero una maga, in questo caso, la memoria. Abracadabra. Ecco trasformati gli eventi. Bidibibodibibu. Ciò che era bello diventa bruttino, ciò che era brutto diventa bello. L’intollerabile si trasforma nel tollerabile (e viceversa), il sapido in insipido (sempre,anche qui, e viceversa).
I ricordi hanno un limite, oltre il quale diventano un peso che impedisce ogni passo in avanti. La vita non è fissità. La vita è mobile, dinamica, si colora come le foglie d’autunno e po si trasforma, incessantemente. Non lo facciamo forse anche con i rircordi, come abbiamo appena detto?
Ma alcune memorie restano ancorate negli abissi dell’inconscio, in quel mondo grottesco e incantato, terribile e meraviglioso, in cui, come diceva anche Hillman, ogni evento interiore è presente. Laggiù, in quel sottosuolo arcano, il tempo non passa mai. Il presente è l’unico tempo che l’inconscio conosce. Lui non fa differenza tra un trauma accaduto vent’anni prima e l’oggi che stiao vivendoo pensando di vivere). Non si tratta del presente di cui parlano saggi e uomini spirituali. È diversa la sua qualità. Nell’inconscio le ombre ricordano continuamente, è memoria e non libertà di essere in un vero presente.
Certo è che se avessimo una memoria che trattiene tutto, lucidamente, razionalmente, saremmo nei guai.
Ricordando tutto, di fatto Funes finisce per esplodere. La memoria selettiva è necessaria però deve essere sapiente, e fatica a farlo. Dimostrazione lampante, appunto, l’inconscio, che trafuga ricordi e li seppellisce clandestinamente, ricordi che poi diventano le ombre e i fantasmi rimossi che ci perseguitano nostro malgrado, impedendoci di essere liberi e soprattutto interi.
Adoro i guazzabugli notturni dei sogni, che mescolano memoria e fantasia, realtà e licenze, desideri e paure. Sono molto più liberi di noi, non oppressi dai carcerieri che usiamo invece di giorno.
Ricordare può essere bello o mostruoso, la memoria è un oggetto strano, complesso, mobile come un caleidoscopio.
Perché oltre a ricordare dobbiamo conoscere l’essenza del nostro ricordo, della memoria.
Essenza che è spesso alterata, ingannata da ciò che la mente vi depone in seguito.
E si finisce per passare a certi estremi, certe radicalità che mostrano, nella loro iperbole, qualche inciampo nel coretto uso della memoria, come nel caso degli ebrei – sempre legati all’Olocausto che spesso finisce per giustificare ogni pretesa in una sorta di “assoluzione dovuta”, e di quello del branco di folli, ultimo, in tempi recenti, un certo professore universitario, che ribalta il concetto negando addirittura la realtà di quello scempio. Ecco che la memoria può diventare un totem intoccabile di cui ci si fa troppo scudo, a volte, o una polvere che copre ogni evento.
In mezzo, c’è la saggezza. C’è il conservare il passato sapendo che il mondo dei mutamenti ci porta ogni giorno anche nuovi confini, nuove realtà, ci bagna in acque che non appartengono mai allo stesso fiume. Come un equilibrista sul filo, dovremmo camminare con attenzione tra memoria e futuro, tra ciò che sono stati i mattoni delle nostre credenze e la possibilità di costruire nuove abitazioni, tra il noto e l’ignoto. Tra ciò che eravamo e ciò che saremo. In mezzo, il presente. Ed è così difficile, abitare questo presente. Ci chiede di essere liberi. E noi, liberi davvero, non lo siamo mai.