Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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Opulenze

"Il troppo stroppia", si dice. Ed è vero. Quando i miei nipotini hanno ricevuto i loro regali a natale, sono affogati in un’oceano di pacchi, pacchetti, pacconi.

E loro strillavano, frenetici, osservando con angoscia il pacco dell’altro, che magari era più grande o vistoso, scartando a velocità supersonica un regalo per buttarlo in un angolo e passare a un altro.

Sono bambini, e sono già fregati dal consumismo. Si staranno godendo i loro doni? Non so. Quando si ha troppo, non si apprezza più nulla.

Certo, siamo tutti più o meno viziati, figli di questa società che sembra portare avanti il tentativo di  farsi perdonare il vuoto attraverso il consumo.

Molti di noi sono figli di quei sessantottini che avevano un sogno e poi lo hanno infilato nelle pantofole di microfibra, mantenendo però la ribellione all’educazione frugale che avevano ricevuto; nel disordine lasciato dai molti buchi che da allora hanno attraversato il tessuto sociale, ci hanno tirato su con un meccanismo compensatorio di soluzioni che non erano riusciti a trovare. Meccanismo che si è incastrato perfettamente con il sistema occidentale produco/consumo/sto bene. Anche io sono figlia di quei genitori. E ho avuto tanto, troppo.

Ma per fortuna ho anche conosciuto gli ultimi sprazzi di un mondo diverso, prima che il Paese dei Balocchi invadesse ogni resistenza.

Ricordo ancora, come fosse oggi, quando io e la mia sorellina abbiamo ricevuto in regalo due bambole che avevamo tanto desiderato.

Eravamo in piazza, durante una fiera di paese, era sera. La bancarella delle bambole era lì, i nostri occhioni sgranati sceglievano trepidanti, attenti a non sbagliare. La mia bambola era vestita di bianco, aveva una cuffietta sopra i capelli castani, apriva e chiudiva gli occhietti. Bellissima, una sposa bambina.

L’ho presa in braccio con delicatezza, fremevo di gioia.

Ecco, questo è un ricordo vivido, lo ricordo come se fosse ieri.

Che ricorderanno invece i miei nipoti e tanti altri bambini? I regali si accatastano, si ammucchiano gli uni con gli altri, ogni natale è tropo abbondante e toglie loro un pizzico di magia.

Dopo l’epilettico momento dei regali, eccoli di nuovo pronti alla prossima attesa, al prossimo regalinoagari domani.

L’industria dei bambini lo sa bene, e sforna giochi sempre più sofiticati: cucine degne di un Gualtiero Marchese, replicanti di neonati da accudire, robot parlanti…

E lo sa bene l’industria natalizia, che ha sempre un occhio di riguardo verso i bambini, quelli che vanno sempre accontenati, anche in tempo di crisi.

Mi viene una strana malinconia quando penso a quel momento, e a tanti altri  momenti simili in tante altre famiglie.

Senza accorgerci, stiamo rubando a questi bambini il tempo futuro della felicità.

Il tempo della magia, dell’attesa, dello stupore.

Mi viene in mente il bambino di Ladri di biciclette (film meraviglioso e terribile) e penso che in fondo è più fortunato. Perchè ha un papà "vero", lui. E’ meglio un papà di una bicicletta. Sempre.

Molti di questi bambini, oggi, hanno invece tutte le loro belle biciclette, tutte in fila, colorate, scintillanti. Ma spesso non hanno nessun papà che insegni loro a togliere le rotelle. Che parli con loro. Che li educhi alla vita.

Così i regali assumono tante funzioni vicarie, e mettono a tacere vuoti e assenze. E il Natale diventa una cartolina, da riempire con i desideri.

E il tempo dell’infanzia diventa la fucina dei nuovi, indefessi consumatori di domani.

Ma a questi bambini rubiamo, senza volerlo, il tempo del sogno.