La filosofia moderna, instaurando la superstizione dell’Io, ne ha fatto la molla dei nostri drammi e il perno delle nsotre inquietudini.
A nulla serve rimpiangere il riposo nell’indistinzione, il sogno neutro dell’esistenza senza qualità; ci siamo voluti soggetti, e ogni soggetto è rottura con la quiete dell’Unità .
(E.M.Cioran, La tentazione di esistere)
Cioran. Magnifico. Implacabile. Come un vicolo cieco che spezza la nostra fuga.
Non c’è umiliazione più grande, per l’uomo, della messa in ridicolo del suo Io. Lui lo fa. Da filosofo, da pensatore, da scrittore.
Il suo libro è una vertigine in cui si avverte, continuamente, il tormento dell’assenza. Perché non è affatto detto che una tensione verso l’infinito produca un senso di compimento, o di pace.
E tuttavia da questo tormento, da questa ostile, imgombrante, dolente inquietudine, si accendono, nel silenzio della notte, le piccole stelle del nostro cielo interiore.
Non c’è ricerca senza dolore. Nè movimento senza assenza di quiete.
Lui lo sa. Lo sa fin troppo bene. E combatte questo mondo "unificato nel grossolano e nel terribile". Non dà risposte, però. Grazie a Dio non lo fa.
Il dolore di esistere è tortura comunicata attraverso le parole. Parole arrotate, contudenti, corrosive.
La metafisica è una tensione, una freccia scoccata che non raggiunge mai il suo bersaglio ma che, partita, non tornerà indietro.
Chi cerca conforto non legga Cioran. Mai. Ma chi invece non si spaventa dell’abisso senza risposte, e ricette, può inseguire, nelle pagine, il moto di un’anima tradotta in linguaggio (spesso irriverente, ironico perfino su sè stesso) che non si fa mai certezza eppure sa, sì lo sa, che la sua tentazione di esistere non è davvero di questa Terra.