Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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UNA STANZA TUTTA PER LEI

 

 

 

Voglio imparare il ricordo

senza il rammarico

ammainando i lutti

ad uno ad uno

senza fretta.

E per il varo di una nuova esistenza

cercherò fondi di serenità

proprio qui

in questa stanza che non mi hanno insegnato

 

Ma se mi arrendo

posso ancora esaudire quella carezza

in cui ripara ogni struggimento

Carezza ancora sconosciuta

non ritrovata.

 

Eppure è questo, adesso, l’istante preciso

per separare i limiti dalle possibilità

ciò che sembrava da ciò che accadeva

il torto dall’espiazione

il nido di passero dal covo della tigre

la sabbia incerta dalle geometrie del deserto

 

Adesso, l’occasione di evadere

senza chiudere gli occhi

il dolore che estingue l’attimo breve

di giorni allenati senza convinzione

 

Se ci riesco, ora, in questa rara

penombra di consapevolezza

potrò andare fra il grano e la neve

con i soliti vestiti addosso

Ma le mie mani

tutte le mie mani

non esiteranno più

davanti ai disegni 

che questa stanza mi insegna.

 

(Aurora Semente – Dove tace il tempo)

 

 

Lo sapeva bene, Virgina Woolf. Conosceva l’importanza di una stanza tutta per sè.

Specialmente per una donna.

È in quella stanza che si scrive, si pensa, si dipinge, si piange. Ci si stiracchia ben bene nel mattino fresco, lavando l’anima e asciugandola al vento che soffia dalle finestre. Si beve una tazza di tè, poi si riprende a lavorare. Lavorare su cosa? Sul giardino interiore.

E il giardino di una donna è faccenda complessa. Per l’uomo si tratta di aiuole potate, esposte alla giusta inclinazione del sole. Ma per lei è diverso. I suoi giardini sono selvatici, sanno di muschio, di ombra che filtra la luce.

A prima vista sembrerebbe il contrario, eppure non è così. Malgrado secoli di culti solari – e di irregimentazione del "secondo sesso", come scriveva Simone De Beauvoir –  il femminino vive nel sottobosco. Inquieto, struggente, ferito da una Luna palpitante che allo stesso tempo è viaggio e zavorra.

 

Scarmigliata, a piedi scalzi, la donna del sottosuolo nasconde i segreti delle pietre preziose.

Ma per trovarle deve avere una stanza tutta per sè. Dove creare ma anche liberare le ombre, sfogarle, domarle.

Le ferite devono essere suturate affinché la donna trovi la strada per collegare i suoi boschi con la superficie solare.

Ci vogliono una stanza, un divano, un tavolo.

E alcuni libri per incendiarsi davanti alle giuste parole.

E matite per colorare i fogli del nostro passato.

E musica per danzare.

E una torcia per far luce nell’ombra.

In quell’ombra, la penetrazione coraggiosa dei territori sconosciuti, remoti, smette di farla essere clandestina a sé stessa.

Finalmente si torna a casa. Il sentiero si illumina di piccole luci che brillano nella notte, costeggiano la strada sassosa che riconduce a casa.

 

Lì, in quella stanza, i misteri del cuore fioriscono.

Sbocciano come fiori candidi inanellati da fumi d’incenso.  

Prima però ci sono stati un ritrovamento e una sepoltura.

Seppellire i morti, ammainare i lutti non è mai facile. Ma è da lì che si parte.

Non esiste l’altrove senza l’adesso, nè il rifugio senza la memoria.

Nella stanza ci si cala dal pozzo o si usa la scala per infilare un dito nel cielo.

Non c’è differenza in quanto non si sale senza prima essere scesi.

La discesa della donna avviene nella sua stanza (che può essere anche all’aperto, senza finestre né porte), così come la risalita con le mani piene di doni preziosi.

 

Questa donna che ha imparato a usare la stanza non potrà più rimanere preda di case altrui. Saprà sempre orientarsi, anche nello sconforto.

Se la tregua di un temporale traccia un arcobaleno nel cielo, allo stesso modo le mani di colei che ha scavato il giardino che sta nella stanza disegneranno bagliori di fuoco che accenderanno ogni stella.

E per ogni stella, sulla terra ci sarà una stanza. Una stanza tutta per lei.