Il padre non sarà simile ai figli, nè a lui i figli; nè l’ospite all’ospite nè il compagno al compagno nè il fratello sarà caro così come prima lo era. Non verranno onorati i genitori appena invecchiati che saranno, al contrario, rimproverati con dure parole.
Sciagurati! chè degli dèi non hanno timore. Questa stirpe non vorrà ricambiare gli alimenti ai vecchi genitori; il diritto per loro sarà nella forza ed essi si distruggeranno a vicenda le città. Non onoreranno più il giusto, l’uomo leale e neppure il buono, ma daranno maggior onore all’apportatore di male e al violento; la giustizia risiederà nella forza delle mani; non vi sarà più pudore: il malvagio, con perfidi detti, danneggerà l’uomo migliore e v’aggiungerà il giuramento.
(Esiodo, Le opere e i giorni)
Be’, la descrizione di Esiodo è straordinariamente moderna. L’età del ferro, che continua anche ai giorni nostri (quella che gli indiani chiamano kaliyuga) corrisponde esattamente a queste parole. Inquietante, no? All’età dell’oro, governata da Saturno, sarebbe infatti succeduta l’età del ferro, che sarebbe durata molto tempo infliggendo molti dolori alla stirpe dei figli di Zeus. Un’era di conflitti, guerre, malvagità. Quando ho letto Esiodo, sono rimasta ammutolita mentre sul bianco e nero delle parole stampate si innalzavano, e vivevano di vita propria, le immagini colorate dei nostri tempi moderni. A quel tempo, nella civilissima Grecia, radice della nostra civiltà, era impensabile l’ipotesi di non rispettare gli anziani, e tantomeno i genitori. Un brivido, quel giorno, davanti a questa lettura, mi ha percorso la schiena.
Profetico Esiodo, che scriveva dell’era che avrebbe recato con sè molte sciagure.
A volte rileggere gli antichi fa bene. Perché si comprende meglio il presente.
A dire il vero, il presente non può essere compreso in modo compiuto se non si guarda indietro, se non si cercano le origini dei nostri pensieri, le albe della nostra storia.
Oggi, purtroppo, narcotizzati dal progresso a tutti costi, sedotti dalle lusinghe di un tempo capace di procrastinare la vecchiaia e la morte, incantati dalle Sirene del benessere materiale, tendiamo ad archiviare quel mondo antico così remoto, faticoso, pieno – pensiamo – di superstizioni e barbarie.
Lo rinchiudiamo nelle nostre polverose cantine, immemori dei suoi tesori.
Non c’è nulla, oggi, che non sia già stato detto. O scritto.
Comprenderemo appieno la modernità solo se avremo il coraggio di guardare indietro (e cos’è "indietro", poi? e se fosse solo un inganno di un tempo birichino, che finge di procedere in linea retta mentre in realtà forma tanti cerchi concentrici?).
Un’anima sensibile non può non stupirsi davanti al pensiero moderno dei greci.
Ci fa capire quanto, in realtà, siamo…antichi. Ma non lo sappiamo. Non vogliamo saperlo. Non più.
Esiodo è uno dei "padri" a cui devo molto. Mi ha raccontato di queste età, con i loro simboli e miti.
E se guardo oggi, se guardo intorno a me, vedo con nitore i giorni del ferro che ha raccontato.
Li vedo in ogni guerra santa. E in ogni guerra meno santa.
Li vedo in ogni Tommaso ucciso. In ogni Vanessa che si accascia in metropolitana.
In ogni incesto che si consuma nelle pareti di casa. In ogni anziano abbandonato a sé stesso.
In ogni figlio che ammazza il padre per una manciata di soldi. In ogni uomo che massacra il vicino di casa perché la sua televisione fa troppo rumore.
In ogni politico che costruisce il suo feudo. In ogni concorso truccato per far vincere i figli dei professori universitari.
In ogni litigio di condominio.
Li vedo in tutte le indifferenze con cui ogni giorno accogliamo la disperazione degli altri.
Negli sguardi traboccanti odio e timore verso gli sconosciuti. Nel disprezzo per gli stranieri.
Nel menefreghismo che circonda ogni atto del vivere sociale.
Nei malati maltrattati in un letto d’ospedale. Nelle infermiere che lasciano marcire le piaghe da decubito di vecchie troppo faticose da alzare.
In chi muore per una pinza dimenticata nell’intestino durante un’operazione.
Li vedo negli aborti facili. Nei bambini venduti, usati e gettati.
Nelle migliaia di poveri ammassati in ogni angolo del mondo.
Li vedo nell’uomo che gareggia a chi mangia di più mentre qualche ragazzino rovista la spazzatura in cerco di avanzi.
Nella carità che non c’è. E in ogni egoismo che prospera invece in abbondanza.
In ogni sopruso quotidiano. In ogni morto ammazzato senza ragione. Perché se per morire non c’è mai una ragione, andarsene "per caso", per una pallottola destinata a un camorrista, trova ancora meno ragioni.
In ogni mafia, in ogni camorra. In ogni terrorismo, di qualunque bandiera e colore.
Nella Terra morente. Nelle nubi di gas che oscurano il sole. Nelle stelle che non si vedono più.
Nei ghiacci che si sciolgono. Nella mano dell’uomo che non è più ospite ma padrone.
Nella pena di morte. Nella lapidazione di una donna che ha peccato, perché ha amato.
Li vedo, questi giorni del ferro. Li vivo. Li soffro, come tutti. Sono giorni così tisici, così malati. Privi di umanità.
Scomparsa l’etica, tramontato il valore, a noi che resta?
Resta il sogno del ritorno di quell’oro antico in cui il cuore batteva all’unisono l’universo.
Chissà che, facendo veramente silenzio, non si riesca ancora ad ascoltare quel perduto battito.
Un sogno, quello dell’oro. Ma serve a rendere il ferro più sopportabile.
In fondo, senza speranza non ha neanche radice la vita.