Una sera, in un remoto college di provincia, dov’ero capitato in occasione di un giro di conferenze che si era prolungato oltre il previsto, proposi un piccolo quiz; su dieci definizioni del lettore, invitai gli studenti a scegliere quattro risposte che, messe assieme, indicassero i requisiti del buon lettore. Ho smarrito quell’elenco, ma, per quanto ricordo, le definizioni erano più o meno queste. Un buon lettore dovrebbe:
1.appartenere a un club del libro
2. identificarsi con l’eroe o l’eroina
3.concentrarsi sull’aspetto socio-economico
4. preferire una storia con azioni e dialoghi a una che non ne ha
5. aver visto il film tratto dal libro
6. essere un autore in erba
7. avere immaginazione
8. avere memoria
9. avere un dizionario
10. avere un certo senso artistico
Gli studenti si mostrarono in massima parte favorevoli all’identificazione emotiva, all’azione e all’aspetto socioeconomico o storico. Ma, naturalmente, come voi avete intuito, il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico, quel senso che mi propongo di sviluppare in me e negli altri ogni volta che mi si presenta l’occasione.
(Vladimir Nabokov, Lezioni di Letteratura)
E noi, che lettori siamo?
Per quindici anni ho fatto della lettura (e della scrittura) il mio mestiere. Prima una rivista culturale, poi un’agenzia letteraria e una nuova rivista di informazione editoriale, ora una rivista online e uno studio di editoria e comunicazione…
E sempre, in questi anni, ho letto. Consulenze editoriali, editing di romanzi, recensioni…
Mi interrogo da quindici anni sul famoso "buon lettore". Su come dovrebbe essere. E ha ragione lui, ha ragione Nabokov, il buon lettore deve avere immaginazione e disciplina. Usando le parole di Borges, un altro gigante della letteratura, direi che deve essere "algebra e fuoco". Sì, algebra e fuoco. Possedere, cioè, il rigore senza però smarrire il sentimento, la pelle d’anima che sconfina nel mondo, che palpita dondolandosi sulle parole.
Le letture cerebrali, quelle che innamorano solo la mente, non approdano a nulla. Se ne stanno lì, con le loro belle paroline pettinate (odio le parole pettinate), tutte in fila, organizzate come soldatini.
La mente deve essere corrosa, deve incrociare, sulla sua rotta, un grimaldello che ne scardini la fortezza, arroccata intorno alla logica, per introdurre un brivido, quel famoso "brivido alla spina dorsale" di cui parla lo stesso Nabokov.
Senza quel brivido non c’è nessuna buona lettura. Nessun lettore.
Questo non significa votarsi esclusivamente alla pancia, al mondo emozionale. Occorre trovare il cuore, luogo di sintesi e transito del nostro nord e del nostro sud. Occorre farlo anche nella lettura.
La lettura professionale è difficile, impegnativa. Devo scansare i mie gusti, mollare gli ormeggi della mia estetica per navigare acque sconosciute, ignote, tese verso orizzonti che non mi corrispondono. Ma devo farlo, non posso confinarmi nell’orticello privato delle mie inclinazioni.
Cercare di essere oggettivi. Si può essere mai realmente oggettivi, anche davanti a un libro? Ci sarà sempre uno scampolo di proiezione, un residuo persistente che dice di me, che mette me nel giudizio sul testo.
Eppure devo tentare di essere imparziale, come farebbe un giudice. Ma chi sono io per giudicare un libro? Il peso della lettura professionale, dopo anni, vorrebbe liberarsi dei trucchi del mestiere per respirare di nuovo l’ossigeno della libertà. Libertà di scegliere secondo i miei gusti, le mie convenienti o sconvenienti passioni, poco importa.
Forse è per questo che mi sto ritirando dalle consulenze editoriali, che sto concentrando la mia attenzione solo sul giornalismo, mia antica passione, origine e ritorno di ogni perlustrazione.
Forse voglio tornare – e in modo definitivo – a essere una lettrice qualunque. Una lettrice che non è pagata per leggere, che non deve trovare refusi, lavorare sul testo o scrivere una quarta di copertina. Nè deve elaborare una scheda di valutazione infrangendo il sogno di un aspirante scrittore.
Insomma, voglio tornare a leggere accartocciata sul mio divano, con la pioggia che cade dalla finestra, tic tic tic, il gatto accoccolato nell’incavo delle ginocchia, il plaid giallo che gira intorno come una nuova soffice.
Voglio leggere così, in modo sparpagliato, senza obblighi e senza orari. Senza che nessuno mi chieda cosa ho letto, o pretenda un resoconto professionale.
Libri di nuovo clandestini, confidenti privati, depositi di sospiri remoti, battiti d’ala di sincronie improvvise nelle quali un altro mondo entra e confonde il perimetro della realtà.
Leggerli sgranocchiando un dolcetto, ciondolando sul tempo che se ne va senza urgenze.
Sarà stata una buona lettrice, nella mia professione? E sono una buona lettrice nei momenti privati, quelli in cui un romanzo mi spoglia finalmente degli abiti professionali lasciandomi lì, nuda, a rabbrividire in mezzo alla danza delle parole? Sì, ecco, di nuovo, finalmente. Quell’antico e ritrovato piacere segreto che ogni lettore sa, e che non vuole condividere con nessuno.
Accade quando qualche parola trema nel giardino del nostro cuore, abbassandone le difese.
Succede a tutti i buoni lettori. La lettura "di testa" non serve, come inutili sono le ruminazioni di concetti e pensieri. Neanche ci aiuta l’identificazione con il protagonista, che si rivela sempre fallace non appena, una volta cresciuti, i nostri passi non coincidono più con i suoi (ecco che allora nella rilettura avvertiamo un senso di straniamento, una sensazione di imbarazzata cordialità, come con qualcuno che abbiamo un tempo conosciuto ma di cui non rammentiamo neppure il nome).
Ci aiutano invece quegli attimi in cui veniamo scagliati, attraverso le nostre letture, nella vertigine extratemporale in cui galleggiano confini più grandi del nostro, e del mondo che ci contiene, ecco che allora sentiamo quel famoso brivido di cui parla Nabokov.
Essere buoni lettori è un’impresa. Possiamo diventare eruditi, collezionare a memoria, con pappagallesco sapere, i titoli di ogni saggio e romanzo, con tanto di sinossi allegata, oppure annegare nelle emozioni evasive di avventure che pizzicano i sentimenti, attardandosi sul romanticismo con il quale tentiamo di scalare il muro delle nostre giornate.
Ma in questo modo non saremo mai buoni lettori. Nè in privato né nella nostra professione.
Richiedono due atteggiamenti diversi, i libri letti a casa e quelli letti in redazione. Ma hanno anche tanti punti in comune. Si incrociano più volte nei territori della sensibilità, stringendosi attorno al lettore che insegue il filo di ogni parola, tessendone il canovaccio dal quale ci guarda, invisibile, il volto eterno di ogni scrittore.
Ecco, sì. Tutti i lettori del mondo si somigliano in queste segrete armonie. Per ognuno diverse e uguali.
Non so se sono una buona lettrice, ma ci provo e ci ho sempre provato.
Ho scoperto che "il mestiere" deve comunque ogni volta tornare a lezione, frequentando le classi della maestra umiltà.
Nessun lettore, altrimenti. Ma solo suggestioni in odore di presunzione.
Se ricordassimo, ogni volta, che leggere non ci rende automaticamente migliori, aprendo invece solo una porta, una possibilità verso uno scatto della coscienza, sapremmo essere sicuramente, al di là di ogni divertito decalogo, buoni lettori.
Io, da parte mia, continuo a provarci. Goffamente, a volte. Ma insisto.