Mi è sempre piaciuto, fin da bambina, immaginare l’angelo custode.
Ricordo come se fosse adesso, in questo istante preciso, la ricerca spasmodica che facevo. Volevo trovarlo, volevo trovare il mio angelo custode.
Lo cercavo ovunque. Avrò avuto sei anni, in quel tempo bizzarro che scorre fermo, scosso da entusiasmi e tremori.
Il mio chiodo fisso era lui: l’angelo.
La mamma diceva che era il mio custode, che stava sempre con me. Perché non riuscivo a vederlo?
Così, per fregarlo, mentre camminavo all’improvviso giravo di scatto la testa. Prima e destra, poi a sinistra. Niente. Lui non c’era. Era più veloce di me, il birichino. E riusciva sempre a nascondersi.
L’ho cercato invano, l’ho cercato per anni.
Quando sono cresciuta, la mamma mi ha detto che non era poi così sicura dell’esistenza dell’angelo.
Forse era per questo che nella mia famiglia nessuno andava alla messa, la domenica mattina. Perché gli angeli non esistevano.
Sempre in quel periodo scoprii che tutti i regali che radunavo e impacchettavo di giorno, sistemandoli sul davanzale del terrazzino prima di coricarmi, non se li prendeva Dio ma la mamma. Li rimetteva a posto dicendomi che lui li aveva apprezzati, che erano piaciuti. E io ero tutta contenta.
Cosa regalavo? Scatole, bambole, nastri…
Ma non era lui a prenderli, era la mamma.
Così, a un certo punto, ero orfana di un angelo e di un dio.
Poi mi sono allontanata dalla chiesa, crescendo ancora, e dopo qualche strimpellata di chitarra con i boy scout ho deciso che ero troppo peccatrice per proseguire, che Maddalena mi stava più simpatica di Maria e che i ragazzi mi piacevano troppo per evitare incontri ravvicinati. In più la Storia dei libri di scuola additava la chiesa mostrandomi tutti i suoi errori. Fuggi a gambe levate.
Ma dell’angelo birichino ho sempre conservato il nitore di una memoria stabile, sempre presente.
Finchè un giorno, tanti anni dopo, in un momento fragile, uno di quei momenti che sotterrano l’anima e piegano il cuore, all’improvviso ho sentito una carezza invisibile sfiorare la pelle. Sarà stata suggestione, sicuramente, ma ho sentito il mio angelo.
Anche se la finestra era chiusa quel piccolo soffio di vento che premeva piano piano sulla carne si è fatto corpo, presenza, sostegno.
Dire di più non so. Ma in quel momento ho pensato a quante volte, tanti anni prima, avevo provato a fargli tana in tutti i modi. E adesso eccolo lì, non cercato, non richiesto, a bussare sulla mia spalla all’improvviso.
Non lo attendevo, avevo smesso di attenderlo. E lui è invece arrivato.
Birichino. Come sempre.