Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ALTRE STELLE

 

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige, (135)

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova; (138)

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne. (141)

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, (144)

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

(Dante, Divina Commedia, Paradiso XXXIII)

 

L’amor che move il sole e l’altre stelle. A volte penso che sia tutto così complicato e allo stesso tempo terribilmente semplice.

L’amor che move il sole e l’altre stelle. L’unico trucco per capire davvero il mondo.

Tutto è perché è amore. Esiste solo per quello.

E allora ogni vanità, ogni gloria, ogni ambizione e ogni rancore cadono come foglie d’autunno.

In fondo, quando saremo vecchi, che resterà? Forse i soldi che avremo messo da parte? O le case, le scarpe, i vestiti?

Le conquiste professionali su cui ci saremo arrampicati?

Non so. Mi sembra, a volte, che tutti noi ci perdiamo nella svagata effimeratezza di un’illusione.

Perché quando ci guarderemo indietro, resterà solo quello che avremo scambiato.

Perfino adesso, "nel mezzo del cammin della mia vita", se guardo il pezzo di strada percorso finora la memoria forma immagini precise, nitide, minimaliste. Quelle immagini non raccontano di mestieri brillanti e successi  (anche se ci sono stati, eccome), nè evocano soddisfazioni di desideri. Nè si schierano dalla parte dei libri letti, per quanto le soddisfazioni intellettuali siano importanti. Perfino dei viaggi trattengono uno stupore veloce, che scompare con il guizzar della sera.

Le immagini che resistono sono invece piccole. Semplici.  Lievi eppure incisive come una carezza.

Hanno il colore degli occhi del mio cane che correva al mare inseguendo un gabbiano. E il sorriso di un viso antico, amato, remoto e allo stesso tempo ancora vivo nella danza immobile del tempo che si arresta quando per un istante ne rallentiamo la ruota.

Sono una carezza, una mano, un abbraccio. Piccole meraviglie del quotidiano in cui come incenso al cielo vola un ricordo stabile, l’unico che valga la pena di ricordare.

In questi dettagli c’è sempre qualcuno. Un prossimo a volte lontano, altre volte…troppo prossimo. Ma è in quelle relazioni che ho scoperto, e dubitato, del senso della mia esistenza. Lì ho intercettato il passaggio verso un mistero per me troppo grande.

Il successo è cosa effimera. Ecco, infatti, è "successo", participio passato. Accaduto. Ieri.

Invece l’amore non è mai "successo" ma si accade, così, semplicemente. Ora, ieri, sempre. Perché, per quanti sforzi oggi facciamo per inseguire le chimere comode delle nostre illusioni di onnipotenza, di implacabile antropocentrismo, in fondo sappiamo che siamo misera cosa senza quell’amor che move il sole e l’altre stelle.

Ogni moto in cui si incarna la vita è atto d’amore, ed è quell’amore che renderà gravida oppure sterile la nostra vecchiaia.

Dovremmo ricordarcelo più spesso, in questo presente confuso quanto convulso, sempre all’inseguimento di un che senza perché.

Chiudere gli occhi un momento pensando "quando ho vissuto davvero?" mostra ciò che conta realmente. E ci si supisce, magari, del minimalismo dei momenti davvero importanti.

Per il resto del tempo, sfumiamo in questo grande universo ingoiati dalla presunzione della nostra importanza.