Anakin
Sebbene il mio lavoro abbia a che fare con le parole e con la lingua italiana, non riesco a non rimanere affascinata da un altro linguaggio "straniero", che può essere studiato solo empiricamente. Né corsi, né tesi di laurea. Il gattese richiede solo attenzione, empatia, curiosità.
Intanto, diciamolo subito: a differenza dei cani, i gatti non passano mai inosservati. O li si ama, o li odia. Li si può anche "odiare moderatamente", passando attraverso varie sfumature. Ma, sempre, suscitano reazioni forti.
Perchè il gatto è il meno domestico degli animali domestici. Non potremo mai "possederlo", e per fortuna. Non ti dirà mai, un gatto, "Guarda, sei il mio padrone e ti amo incondizionatamente, fa’ di me ciò che vuoi". Questo amore devozionale appartiene al mondo dei cani.
I gatti, loro, fanno quello che vogliono, eppure nella loro amabile "indifferenza" ci amano molto. Sono solo creature libere, libere davvero.
Ma si affezionano, hanno un mondo emotivo. Ci sono storie di gatti straziati dal dolore per l’assenza dei loro "padroni" (più coinquilini, che padroni), di gatti che si sono buttati dalla finestra per seguire il "gattone" umano precipitato di sotto.
Quindi la leggenda del gatto egoista e indifferente, solitario per eccellenza, va sfatato.
Studiando il loro linguaggio si scoprono molte cose. Quando è felice, il gatto drizza la coda formando una specie di punto interrogativo alla fine. E quando è felice? Non solo quando mangia, ma anche quando ci vede, a meno che non siamo stati assenti per giorni (allora, offeso, ci ignora).
Quando un gatto è in imbarazzo, magari perchè puntando lo scaffale e spiccando il balzo è caduto, si lecca con finta indifferenza, come se non fosse accaduto nulla.
Quando ci osserva, socchiude gli occhi in segno di amicizia. E, soprattutto, esprime la sua gioia facendo le fusa. Alcune ricerche hanno mostrato che i gatti fanno le fusa solo in presenza di altri, uomini o gatti che siano, dunque si tratta di un potente strumento di comunicazione. Poi, da bravi paraventi, fanno le fusa e strizzano gli occhi anche quando vogliono mangiare (ma chi di noi quando vuole ottenere qualcosa non esercita qualche sublime arte manipolatoria? siamo sinceri…).
Quando invece tirano fuori la lingua sono nervosetti, come quando muovono la coda in modo un po’ nevrastenico, da destra a sinistra, da sinistra a destra.
Ma la faccenda straordinaria, magica, misteriosa, sta nel loro potere di sentire i nostri stati interiori. Non è raro che quando stiamo male il gatto lo percepisca, e si accoccoli esattemente sulla zona dolente del corpo. Se si tratta di un malessere interiore, ci si avvicina partecipando con fusa e leccate (le fusa abbassano la nostra pressione sanguigna, esercitando, secondo me, una serie di vari miracoli).
Conoscere i loro linguaggi ci aiuta a conoscere meglio noi stessi. Sempre presenti, immersi nell’attimo, oscillano da stati di rilassamento a stati di allerta con estrema facilità. In questo, non finiscono mai di stupirmi. In equilibrio fra gli opposti, sanno godersi il momento in modo molto…zen.
Nella nostra società asfittica, epilettica, ricca di patologie varie, il linguaggio misterioso e allo stesso tempo semplice del gatto è un toccasana.
Ieri sera, distesa sul letto con i due mici che vivono con me, mi godevo il temporale. Tutti e tre guardavamo fuori dalla finestra, godendoci reciproche manifestazioni di affetto. Poi, all’improvviso, Anakin è balzato giù e se ne è andato. Ho provato a implorargli di rimanere, ma mi ha guardato appena e ha cambiato stanza. Lui, semplicemente, non aveva più voglia di stare lì. I gatti sono fatti così. E li trovo meravigliosi.