Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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Spocchie

 

"Come saremmo colti se conoscessimo bene almeno cinque libri", scriveva Flaubert. Conoscere bene vuol dire "conoscere", entrare dentro, far proprio. Invece la cultura spesso diventa cul-tura. Oppure Kultura. La seconda categoria, più infima perfino della prima, raduna spocchiosi del libro che, tra una nevrosi ossessiva e un brivido di onnipotenza, continuano a vivere in un mondo autoreferente in cui lui, il Libro, oggetto sacro, intoccabile, diventa lo scudo per un ego ipertrofico (o ipotrofico, la sostanza non cambia, cambia solo l’approccio) che teme di confrontarsi con il mondo reale.  E poi  non si diventa mica più intelligenti se si legge molto. Si diventa solo più eruditi. Il libro non è il passaporto per il funzionamento dei nostri neuroni, né tantomeno della nostra coscienza. Purtroppo molti, invece, vantano cervelli ineccepibili, menti sopraffine, e con la puzzetta sotto il naso si aggirano nei mondi culturali sentendo quel piccolo piacere persistente, annidato nell’Io, che li fa sentire grandi grandi. Diciamolo subito: solo alcuni nel mondo, e sono pochissimi, ieri come oggi, possono vantare una certa "spocchia". Nabokov, ad esempio.  Le sue "Intransigenze" (leggetelo, è un libro bellissimo) sono note a tutti. Ma era un  genio. Ora, di geni ne nascono pochi, pochissimi. E a un genio alcune intolleranze e vanità sono anche permesse. Ma gli altri, quegli eserciti di para e pseudointellettuali che circolano a piede libero con la loro spocchietta perché "hanno letto", o si occupano di libri, non pensano minimanente a prendersi un po’ in giro. Purtroppo. Perché solo la leggerezza dell’essere, solo l’arte del "cazzeggio" unito alla conoscenza ci dona davvero le ali. Altrimenti la cultura diventa una tomba. Del resto, i veri intellettuali sono già morti da un pezzo.