Peccato che molti lettori siano persone terrorizzate dalla vita. Molti, non tutti.
Del resto, "leggere" è più facile che "vivere". Provare per credere.
Si parla spesso di religioni e politiche consolatorie, senza pensare che il libro è un magnifico, terribile, refugium peccatorum.
Può diventare, se usato male, uno scudo, una roccaforte, un alibi.
Non a caso molte persone "si scindono" nel rapporto tra vita e lettura-scrittura. Così come molti "intellettuali". Esercitano nobili virtù se isolati e immersi nelle loro carte, franano miseramente sui loro limiti se esposti al crogiuolo del mondo.
Citare le parole di altri, bellissime, commoventi, piene di significato, è interessante se poi però queste stesse parole non vengono trasformate in una litania, da recitare come un rosario.
In Will Hunting – Genio ribelle Robin Williams è uno psichiatra che cerca una breccia nelle sofisticate difese mentali di Matt Damon, ragazzino precoce, onnisciente, che risolve acrobatiche formule di matematica, consuma librerie, cita a memoria i filosofi di ogni tradizione ma non riesce a trovare il coraggio di un confronto reale con il mondo che lo circonda, non riesce a sconfinare in un contatto epidermico con la vita affinché la sua umanità trovi senso e compiutezza.
A un certo punto però Will Hunting va in crisi.
E ci va quando è costretto a interrogarsi su sé stesso. Lo psichiatra colpisce la sua corazza mettendolo davanti all’evidenza del confortante “dialogo con i morti” che non possono interagire.
Chi sono i morti? Sono gli autori classici che Will ama leggere e menzionare, e che diventano un sudario che occulta la vulnerabilità a cui si esporrebbe attraverso un legame concreto con gli altri. In altre parole, a cui si esporrebbe se vivesse la vita.
Dovremmo riflettere un poco su questo aspetto.
Essere vulnerabili non è una macchia, un’onta. Tutt’altro. Però non basta rifugiarsi nei libri. Loro, "i morti" illustri, vivono in noi a patto che riusciamo a trovare risorse anche nelle relazioni "coi vivi", per quanto infimi e miseri possano essere.
Per salire bisogna prima scendere. Ma non piace a nessuno.
Vivere significa sporcarsi le mani rotolando in questa discesa terribile.
Ma alla fine, sporchi di fango e sudore, è forse possibile guardare in su.
Farlo davvero.