Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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MAL D’IKEA

 

 

 

 

L’Ikeite – malattia del nostro secolo – sta assumendo una forma particolarmente aggressiva, fatta di ceppi virali in grado di contrastare qualcunque vaccino rendendo vano ogni tentativo di immunizzazione.

Colpisce ovunque, da Helsinki a Città del Capo, da Pechino a Caracas.

C’è poco da fare: dopo la Coca Cola e il Mc Donald, è lei a correre con l’olimpionica fiaccola dell’omologazione incendiando gli animi di interi paesi, conquistando i popoli a uno a uno, infilandoli nel suo gigantesco pallottoliere. Oplà. Un altro adpeto.

Sì perché l’Ikea è una malattia che, nei casi di virulenza allucinatoria, prova visioni mistiche dando  vita a una vera religione. La religione Ikea.

Al colosso svedese sono stati dedicati articoli e libri. E tutti hanno dovuto concordare, alla fine, con l’irrevocabilità del fenomeno. Ikea sarà per sempre, nei secoli. Amen.

Qualche dissidente c’è. Io, per esempio.

So di dire qualcosa che va controcorrente ma…l’Ikea non mi piace. Olè.

L’ho detto.

Non mi piace questa grande scatola che agita promesse che sono, di fatto, la versione scandinava del nostro lezioso, stucchevole Mulino Bianco.

Vivi Ikea e sarai felice. Mah.

Certo, si spende poco. Questa è la forza di base di un pensiero economico che conquistato il mondo intero. Il rapporto prezzo-qualità è certamente vantaggioso, tranne qualche eccezione in cui gli oggettini Ikea rivelano la loro fragilità, come nel caso di qualche armadio di segatura che barcolla non appena tenti di aprirne un’anta, o un presunto letto di ferro…il cui ferro pesa meno della piuma di Maat (almeno il letto andrà di filato nell’aldià egizio, scavalcando il coccodrillo. Beh, lo dicevo che l’Ikea è una religione…).

Simbolo della democrazia degli arredi, tutto alla portata di tutti, Ikea è la nuova "rivoluzione francese", anzi svedese, che abbatte i difficili regni dei tavolini luigi XVI o degli armadi impero.

Benissimo, evviva evviva. Ma l’Ikea è anche omologazione, idea progressista che in realtà costruisce un’impero (quello del genio – chapeau – che l’ha inventata).

Un’impero così vasto da far venire i brividi. Oggi, poi, di svedese c’è rimasto poco: la produzione volentieri si sposta anche in Vietnam, in Bulgaria, in India.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di sfruttamento del lavoro minorile e non.

Insomma, un’immagine diversa dalla gaia naturalezza tutta legno e sorrisi che ci propinano.

E poi si tratta di una moda. Invasiva, come tutte le mode.

Non contenti di fare legni, oggi i signori Ikea propongono anche cibi: pesci e biscotti inscatolati, venduti nei negozi-food all’interno dei grandi capannoni Ikea.  C’è anche l’Ikea restaurant, ovviamente. Tutto uguale, in tutto il mondo. Con lo stesso, arcano sapore a New York come a Bruxelles. Un mistero analogo a quello che colpisce gli hamburger dei Mc Donald, che ovunque hanno lo stesso, identico sapore. Non simile, identico. Come se esistesse un enorme manzo Mc Donald, largo quanto il nostro pianeta, i cui pezzi, dopo la macellazione, vengono pazientemente inviati nei vari fast food sparpagliati qua e là sulla terra. Mistero irrisolto, per me.  Forse qualche volta il bislacco ideatore di Vojager, Roberto Giacobbo, invece di incaponirsi con ufo e fantasmi potrebbe rivolgere l’attenzione dei suoi preziosi neuroni alla magia alchemica dei manzi Mc Donald. Del resto, capisco, la plastica propinata ai consumatori "non tira", ci pensa solo quella sfigata di Rai 3 a occuparsi di questa fuffa. ..

Comunque, stesse alchimie anche per i cibi Ikea.

Francamente, preferisco una sana trattoria romana.

Ikea prospera sul prezzo, è questa la sua scommessa vincente. Fa benissimo. E chi vuole spendere tanto per fare casa?? Ma Ikea vince perché compete anche con un altro lusso: il tempo.

Sì, il tempo. Il lusso dei lussi. Quello che oggi quasi nessuno può più permettersi, neanche i ricconi intenti a contare le loro ricchezze.

In una società che corre per produrre fino a schiattare, il tempo è ridotto a uno spazio vuoto, pericoloso e non produttivo, da riempire subito con una serie di operosità, siano anch’esse solo divertimento, solo fare per fare….

Ikea  vince anche perché il tempo perde. E allora basta una giornatona nel grande magazzino per farsi un’intera casa, a costi decenti.

E tuttavia non è vero che per arredare a prezzi convenienti esistono solo l’Ikea, o Mondocovenienza, il suo antagonista italiano.

 Si può fare. Si può mettere su casa a prezzi ragionevoli. Ma per far questo ci occorre il tempo. Cioè quel lusso di cui dicevo, quello spazio per noi che ci ritagliamo epiletticamente fra un impegno forzato e un altro.

Se guardiamo bene, se ci sforziamo di uscire dalle nostre miopie socio-culturali, quelle a cui ci adattiamo per pigrizia e negligenza,  ci accorgiamo che in realtà quel tempo a disposizione lo abbiamo. Non tutto, non subito, ma lo abbiamo.

Ecco che allora possiamo curiosare nel meraviglioso mondo dei rigattieri, possiamo dedicarci a incursioni nei mercatini, passare le mattine scovando i luoghi più ameni in cui troveremo senz’altro qualcosa.

Qualcosa che non gode solo di un buon prezzo. Qualcosa che ha un’anima. Qualcosa di non omologato. Un particolare magari appartenuto a chissà chi.

Mi piace sognare sui proprietari di mobili, tavoli e armadi. Fantastico sulle storie che questi oggetti hanno ascoltato, sui visi sui quali si sono attardati.

Un mobile Ikea  non ha mai avuto una vita precedente.

Ed è sempre uguale a sè stesso: ordinato, preciso, identico a tutti i suoi simili, come nella miglior catena di montaggio.

Un pezzo ideale per Warhol. Ripetuto all’infinito, come in una galleria di specchi.

A me invece piacciono i "diversi". Le cose che hanno un carattere, una personalità.

Non devono necessariamente costare tanto. Basta girare un po’.

A Roma, per esempio, abbiamo la fortuna di avere il mercato di Porta Portese.

Un vero suk denso di labirinti vocianti e accaldati. Un posto dove chi cerca bene viene sempre premiato.

Personalmente, mi sono comprata lì una bella scrivania di legno, con la parte superiore in pelle verde e le cassettiere laterali. L’ho pagata 300 euro.

 Più o meno quanto una delle scrivanie Ikea.

Solo che è "lei", ed è antica, ha un’anima che racconta di cose passate. E l’ho cercata, l’ho scovata perdendomi fra le voci dei rigattieri che ti chiamano da destra a sinistra.

Per carità, a qualcuno possono piacere solo gli oggetti nuovi. Ma, anche qui, Ikea non è l’unica soluzione possibile.

Ma, come dicevo, bisogna cercare, bisogna usare quel tempo così difficile, oggi, da conquistare.

Com’è bello, però, affaticarsi qua e là, andare in giro a cercare mille pezzi diversi, aggirandosi fra mobili antichi e moderni alla ricerca di "quel" carattere, "quella" personalità che risuonerà con la tua. Esattamente con la tua.

Ci sarà voluto più tempo, sarà stato necessario attraversare in lungo e in largo la città per conquistare, ogni volta, un pezzo del nostro arredo.

Ma non è questo il bello, in fondo? Darsi da fare per arrivare.

Il viaggio nell’arredo della nostra casa merita di più di una megavisita Ikea, da cui uscire con le nostre stanzette tutte schedate e pronte per la consegna.

A proposito: chi usa Ikea che sa inferno rappresenti il montaggio dei vari pezzi.

A volte ci vorrebbe davvero un ingegnere. Lo so perché anni fa, con alcune persone, facemmo tutto uno studio con l’arredo Ikea.

Per fortuna ho lasciato lo studio. E ho lasciato l’Ikea, ad eccezione di qualche piccolo pezzo che altrove non sono riuscita a trovare. Come quei deliziosi bonsai a 100 euro…

Casa Ikea o casa mia?

Questo il problema. Ikea è così invadente che la casa finisce per essere…"sua".

A me piace continuare a navigare controcorrente e cercami i singoli pezzi tra rigattieri e mercatini.

Sarò demodè. Poco importa. Se non altro, mi sento più libera dai lacci dell’omologazione.

Oggi tutto deve essere uguale, in serie, facile da trovare, montabile.

Ikea, il regno della casa montabile.

E se invece qualcuno volesse smontare?