Questa immagine è stata scattata da un fotografo al largo della Norvegia. Mamma orsa e il suo cucciolo sono alla deriva, su questo pezzettino di ghiaccio che va sciogliendosi, in mezzo al mare. Probabilmente affogheranno, come sta accadendo sempre più spesso a questi bellissimi animali a cui stiamo togliendo la vita, lentamente ma inesorabilmente.
A me questa foto fa male.
Mi fa male perchè mi sento responsabile. Lo sono io, lo siamo tutti. L’orso bianco è simbolo del riscaldamento del pianeta, che i più ancora si ostinano a minimizzare per non scomodare la bella vita a cui ci siamo abituati.
Beh, colleghiamo l’immagine di questi due orsi ai nostri deodoranti spray, ai siliconi con cui riempiamo le guance e le tette, alle nostre macchinette parcheggiate sotto casa. Colleghiamola ai nostri rifiuti, alle raccolte indifferenziate, ai sacchi di plastica…
Ma ne vale davvero la pena?
Io sono stanca di stare a guardare. Stanca di assistere all’omertà su questo sfascio planetario, stanca di vedere come l’uomo violenta la terra, strapazza la natura, la fa da padrone sul mondo. Stanca di sentire cazzate sulla "normalità" delle anomalie che stiamo vivendo.
A volte una foto, per fortuna, vale più di mille parole.
Questa foto è un bel pugno nello stomaco. E i cazzotti a volte fanno bene.
Peccato che, come sempre, a una pausa emotiva, al pentimento di un nanosecondo, segue un comodo oblio.
Invece siamo responsabili anche noi.
Il riscaldamento del pianeta è dovuto al calore del nostgro torpore.
Svegliamoci, tutti. Svegliamoci adesso. Ma adesso è già tardi.
L’anestesia collettiva che addormenta la nostra coscienza non può essere combattuta solo da pochi, è faccenda di tutti.
Questa foto – almeno per me – rappresenta un culmine, l’urgenza di un’interrogazione, una domanda appesa a una speranza sempre più sottile.
E la domanda è: che vogliamo fare?