Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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TI RICORDI DI UN CAMPO DI GRANO?

 

                    

 

Non so se mi ricordo di un campo di grano attraversato insieme a un amore concluso. Non so, caro Lucio. Non mi ricordo.

Di certo mi ricordo – e bene – la stronzata appena esibita dall’ennesima, deprimente puntata di Voyager. (Ho dovuto spegnere la televisione, a un certo punto).

Stavolta il nostro Roberto Giacobbo, Sherlock Holmes dagli interrogativi inquieti e dalle risposte sornione, a metà fra Lapalisse e Gigi Marzullo (con il quale condivide la stessa espressione sagace), "esplora" gli Ufo e i famosi cerchi di grano.

Come sempre, le sue "inchieste" si fermano sempre in superficie,  al riparo sotto l’ombrello di riprese suggestive e delle musichette alla Dario Argento che coprono il vuoto assurdo delle argomentazioni, dei lavori di scavo (sempre interrotti dopo una manciatina di minuti).

Con imbarazzante disinvoltura, Giacobbo ogni volta dà prova del suo risicato quoziente di intelligenza, della sua magistrale approssimazione che propina misteri in salsa New Age e domandone figlie delle interrogazioni e delle risposte di Quelo ("c’è crisi, c’è grande crisi, non sappiamo dove stiamo andiamo").

Già già. Bisogna avere pazienza.

E’ l’era della scienza fai da te, dei documentari-pidocchio che in cinque minuti liquidano alieni e buchi neri, Excalibur e la stella di Venere.

E il bello è che ha una corte di coglioni che lo seguono tutti contenti.

Stasera, dicevamo, per mostrarci l’evidenza degli alieni è addirittura ricorso a un tizio, un presunto esperto di ufo e scrittore (ogni esperto di qualcosa oggi è sempre e comunque anche uno scrittore), che comincia a passare in rassegna una serie di dipinti seicenteschi in cui, a suo avviso, sarebbero rappresentati degli Ufo.

E così un coro angelico, nel cielo, diventa una navicella spaziale solo perché la forma ovale e la luminescenza che la circonda ricordano questo tipo di forma.

Ma ecco che anche le nuvole, smascherate da questo genio di Alien, rivelano la loro intima, vera realtà: di nuovo, sono navicelle spaziali.

E ancora, toh, c’è perfino una sfera rotonda (che nel dipinto rappresenta l’universo, elemento tradizionale in molte raffigurazioni sacrali del tempo) che sarebbe in realtà uno Sputnik.

Giacobbe gongola.

Vabbè. Purtroppo la smania tutta moderna di voler rendere scientifico anche il mistero (un Ufo fa comunque meno paura di un altro tipo…di Rivelazione) stavolta l’ha fatta grossa.

Ha superato i confini. Non quelli terrestri. Quelli della decenza.

Adesso ogni quadro sacro che rappresenta soli, universi, nuvole e cori di angeli (tutti ovviamente accomunati da forme ovali e sferiche) rischia di essere passato al setaccio dagli occhi inquisitori di questi Torquemada a caccia di marziani.

La cosa è talmente ridicola da far passare in secondo piano la faccia comica di Giacobbe che, in mezzo ai campi di grano, sciorina teorie della lunghezza di un nanosecondo.

Chi sarà stato? Chi?

E che nesso ci sarà tra il campo di grano e il coro angelico? Forse la seconda che hai detto? Mah…

L’unico vero Ufo, qui, l’unico oggetto non identificato, è lui. E’ Roberto Giacobbe.

Scusa, Roberto, perché non punti il dito verso le stelle e dici «Et telefono casa?»

Guarda che dalla Rai ti fanno telefonare…