Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preeso sul serio e rispettato dalla propria madre. Deve poter disporre della madre nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei. Un’immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova…a patto che la madre guardi davvero quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie paure e attese, i progetti che imbastice per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sè stesso, ma le esigtenze della amdre. Rimarrà allora senza specchio e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo.
(Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé)
Il saggio di Alice Miller è spietato. Davvero. Racconta di tutti i bambini che mulinano al vento talenti precoci per compensare la dilaniante ferita dell’anima rimasta sospesa - e priva di suture - negli occhi fuggiaschi di una mamma troppo occupata.
Di fatto, quante volte siamo presenti mentre parliamo con qualcuno? I nostri occhi fissano quelli dell’interlocutore mentre in realtà vediamo sfilare davanti a noi la lista delle nostre quotidiane costernazioni, o gli appuntamenti mancati, o quelli da fare. O pensiamo, semplicemente, al colore del rossetto che indosseremo stasera (meglio il 43 di Dior oppure il 17 di Lancome?).
Continuamente non siamo dove dovremmo essere. Ma in quei mesi, in quegli istanti, la nostra assenza di madre diverrà vuoto, abisso, voragine.
Il bambino che rimane da solo, con il suo specchio rotto, ne cercherà sempre un altro. Ma non c’è specchio adulto che possa rimandare la sicurezza e l’amore trepidante di quella primavera interrotta.
Il ramo si spezza, il bocciolo precipita, l’autunno affretta i suoi passi.