Lo so, lo so. Il divo è uscito già tempo fa.
Ma io l’ho visto solo ieri sera, in una insopportabile serata estiva immersa in una Roma goffa e accaldata, attraversata dalle afose nevrastenie dei suoi cittadini.
Al cinema, almeno, c’era l’aria condizionata.
E subito, all’inizio del film, ho scordato calure, stanchezze, ventilatori, sudori…
Il divo è un film meraviglioso, semplicemente.
Non era facile raccontare Andreotti, non era facile farlo senza retorica, banalità, didascalismi.
E invece ci riesce, Paolo Sorrentino. Eccome se ci riesce.
Il film funziona perché racconta una storia, la rende viva, pompa sangue nelle sue vene.
Meravigliosa la magia della rincorsa fra suggestione e realtà, fra finzione e documento.
Ci sono scarti, rallentamenti, accelerazioni e virate in un pulsare sempre ritmato che mostra il talento di una regia di razza.
Il film spesso suggerisce ma non definisce, mantenendo sempre un piacevole equilibrio.
E mentre riviamo le ombre d’Italia, mentre ripassiamo, ancora una volta, stragi e omicidi, giochi di potere e mistificazioni, possiamo anche accorgerci che il "potere del fatto" può essere magnificamente sorretto dal potere del racconto.
Non è da tutti, saper raccontare qualcosa.
Al cinema come nella letteratura.
Lui lo sa fare. E sa anche scegliere bene i suoi attori. Servillo è perfetto. Assolutamente perfetto. Non inciampa in una facile interpretazione di Andreotti, con la gobbetta e la parola sempre pronta, ma scava nel personaggio, cerca di visitarne i demoni e di passeggiare con i suoi angeli (già, perchè anche lui, anche il nostro Giulio, come tutti noi, si trova sull’orlo di due tensioni dell’essere, di due direzioni inverse),vaga nei sotterranei per interpretare la personalità più discussa della nostra politica, il vero "signore degli anelli" nella nostra repubblica.
Ma se la demonizzazione è una facile tentazione, regista e attore preferiscono tenersi distanti. Preferiscono raccontare l’oscurità senza dimenticare di accendere anche la luce.
Io sono rimasta incantata. Rapita. Servillo entra nel personaggio e lo fa suo (è Andreotti a diventare suo, non il contrario), e riesce a emanare lo stesso carisma, a rappresentare lo stesso labirinto di specchi in cui l’immagine di Andreotti si mostra, si nasconde, gioca a rimpiattino con la Storia.
Se qualcuno avesse perso il film, dovrebbe andarlo a vedere.
Di nuovo, ieri sera, ho pensato a quanto coraggio ci vuole nel raccontare una storia che è anche Storia.
E ho pensato che quello della narrazione rimane uno degli arcani più affascinanti dell’uomo. O ce l’hai o non ce l’hai. Non è democratico, il talento della narrazione.
E’ un talento che non si può comprare, né studiare, né barattare.
E meno male.