Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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Del tempo e di altre questioni meterologiche

 

Oggi, a pranzo, sentivo alcune persone lamentarsi del vento. Di fatto Roma è “ripulita” da un venticello fresco, che fa fare i capricci ai capelli e pizzica piacevolmente la pelle. E che magari entrando dalle finestre scompiglia – birichino – i fogli radunati sul tavolo del nostro studio. Dopo le torride giornate che squagliavano cemento e pensieri mi sembra un bel regalino, questa frescura in cui il caldo non si gonfia di umidità.
Eppure alcune persone si lamentavano del vento. Ingrate. 

Poi ho pensato che, di fronte al tempo, siamo sempre pronti a lamentarci.

Fa caldo.
Fa freddo.
Non si respira, senti che afa!
Accidenti a questo vento.
Uffa, piove.
Non piove mai.
Guarda che tempo grigio.
Ma quand’è che arrivano un po’ di nuvole? Con tutto ‘sto sole…

Già. Non siamo mai soddisfatti del tempo. Vorremmo piegarlo ai nostri desideri, ai nostri bisogni.
E per quanto lui si dia da fare, siamo quasi sempre scontenti.

Ci attardiamo a osservare e giudicare il destino meteorologico delle giornate.
Loro, invece, le giornate, se ne fregano dei nostri commenti.

Le condizioni metereologiche, poi, sono sempre relative. Ciò che male a uno, fa bene all’altro.
Quando piove, per esempio, e corriamo affannati sotto gli ombrelli, incartandoci con le nostre auto nel traffico che all’improvviso si imbizzarrisce, le piante invece si sporgono tutte contente verso quell’acqua provvidenziale.
Pensando alla pioggia, ricordo quella volta in cui decisi di ignorare l’ombrello. Di fatto, a volte sembriamo un po’ isterici davanti a innocenti gocce d’acqua che tutt’al più ci infradiciano qualche vestito. Cominciamo a correre qua e là, impazziti, manco si trattasse dell’uragano Katrina.
Così quel giorno, dicevo, decisi di mollare a casa l’ombrello. E me la godetti tutta, l’acqua che scivolando mi attraversava i capelli impigliandosi in qualche riccio eccessivo, che bagnava i pensieri, inumidiva la pelle. Camminavo così, senza correre, in mezzo a gente frettolosa che galoppava a passo spedito verso la sua abitazione. Sembravo un po’ un’aliena, impegnata in questa buffa moviola prodotta dal mio camminare lento in mezzo a uno scalpiccio epilettico. Un tempo rallentato e un tempo accelerato, uno fatto di testa nuda, l’altro di ombrelli e cappelli, si affrontavano, quel pomeriggio, sul marciapiede.
“Neanche la pioggia ha così piccole mani”, recita una poesia di Tennessee Williams.
Bellissimo verso, mi è sempre piaciuto.
Quel giorno le mani della pioggia mi sfioravano decise e allo stesso tempo delicate.
Fu un momento davvero speciale.
Peccato, però, che lo pagai con un paio di giorni di febbre.
Così "mi imparo" a fare l’eroina dei temporali.
Il fatto è che non siamo più abituati, ci difendiamo in modo forse eccessivo dalla natura, accogliendo invece a braccia aperte quello che ci fa male. Come lo smog delle auto. Come i cellulari. Come il cemento che tutto invade. 

Invece ce la prendiamo con il tempo. E con il governo ladro.

Ride, il tempo. Perché in fondo sa che altrove, non esiste neppure. Come noi.