Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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CRAVATTE E PRIGIONI

 

Non sapevo che la cravatta in origine era usata dai mongoli per trasportare i prigionieri agganciati ai cavalli.

Ma, a rifletterci bene, la cosa non mi soprende. Anzi, trovo il fatto entusiasmante. Ne abbiamo fatto il simbolo del lavoro, della City londinese, di Wall Stree, del Giappone modello di professionalità e avanguardia. E invece…ha origine da uno strumento per imprigionare!

E infatti siamo tutti prigionieri, oggi, del modello del lavoratore indefesso, con la giacchetta doppio petto o quella "amazzonica", a un petto solo,  e la camicia sartoriale firmata (quando c’è scritto il cognome, poi, è meglio spararsi). E infine c’è lei, la cravatta, a fare da ciliegina sulla torta…vestita.

 In effetti giriamo con un cappio al collo, pagando magari una somma cospicua per averlo pure firmato. Di seta, colorata, a fiori, tinta unita…la cravatta abbellisce la nostra prigione quotidiana, trasformando il cappio al collo in un segno di eleganza e riconoscimento.

Il famoso nodo, poi, una vera "tortura". Bisognerebbe chiamare un marinaio. Almeno per quelle come me quando, ragazzina, a Cambridge circolavo con una cravatta rosa fucsia di pelle (le macchie della gioventù).

Ogni giorno il prigioniero del sistema professionale prima di chiudersi nelle celle- ufficio si lega da solo, e di cavalli, invece di uno, ne usa più di cento (infatti ci va con l’automobile, di solito), consegnadosi spontaneamente.

Il fatto è che più i capi sono capi, più sfoggiano belle cravatte. Beh, per fare di un antico strumento di costrizione un segno distintivo, uno status symbol del dirigente modello, di fantasia ce ne vuole. Poi dicono che i moderni hanno smarrito l’immaginazione…

p.s. a proposito, a Londra e in Giappone  da quest’anno almeno d’estate molte aziende hanno consentito il vestito casual. Si sono accorte che le persone si sentono più a loro agio e serene. Già, chissà perchè…