Le grandi angosce dell’animo sono sempre dei cataclismi.
Quando si verificano il sole s’inganna e le stelle si turbano.
Per ogni anima sensibile arriva sempre il giorno in cui il Destino dipinge un’apocalisse di angoscia: come se i cieli e l’universo si rovesciassero sul nostro sconforto.
(Fernando Pessoa, Il Libro dell’inquietudine)
E che cosa succede quando il cielo e l’universo piovono sul nostro sconforto?
Succede che siamo obbligati a misurare i nostri limiti. Non c’è anima sensibile che non conosca l’angoscia, che non verifichi l’assenza di quelle certezze sulle quali costruiamo la nostra vita pericolante.
Eppure è nell’assenza che si procede. Si avanti per vuoti. Quasi mai per pieni.
Non si tratta di un inno al masochismo, come sarebbe facile pensare, nè di scansare la gioia come se si trattasse di un acciacco stagionale (e chi mai lo farebbe?).
Si può però sapere che nell’inverno del nostro scontento (bellissimo titolo di un libro di Steinbeck) germogliano i frutti della maturazione.
Se sappiamo curarli, ovviamente. Riconoscerli, amarli. Altrimenti rimarremo sospesi nel limbo infinito di un vano lamento, di un tedioso rimuginare sulle nostre ansie che non diventeranno mai carburante per il percorso da compiere.
Dall’attrito nasce la scintilla. Solo da lì.