Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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CUORE DI MUCCA

 

 

Diciamocelo subito. Davanti a una bistecca succulenta ti viene proprio l’acquolina in bocca. Specie se si tratta di una bella fiorentina, fatta alla brace, con i pezzetti di sale grosso che incrociano la lingua e salutano il gusto.

Chi scrive ne mangia, di carne. Ne mangia eccome.

Però capita anche che ti accorgi di considerare – per tuo comodo – solamente il pezzo di carne disteso sul piatto, chiamandolo bistecca, lombata, fettina, costata, ecc.

Già già. Però quella è, a tutti gli effetti, una mucca. Anzi, era.

Una mucca che fino a pochi giorni prima se ne stava in un allevamento, mangiava, dormiva.

O magari si tratta di un vitellino, o un maiale, un’anatra, un pollo.

La sostanza non cambia.

Alcuni di noi tendono a non considerare la provenienza del pezzo di carne che stanno mangiando, condito magari con salsine speciali, imbottito di verdurine e formaggi.

Perché a volte, se ci pensi, ti passa davvero la voglia.

Il piatto della tua tavola è solo la destinazione finale di un cadavere fatto a pezzi, in avanzato stato di decomposizione.

Composto infatti da putrescina, cadaverina e altre sostanze. Non solo da proteine, dunque, come ci piace pensare per "farci buon sangue".

Mangiare cadaveri. Mmm, non suona bene.

Mangiare un filetto al profumo di Grand Marnier adagiato su un letto di lattughino e funghi porcini, invece  suona benissimo. Fa un figurone.

E, soprattutto, ci fa dimenticare che quella ciccia era appartenuta a un animale, che nella maggior parte dei casi è vissuto al chiuso, in un allevamento, perimetrato da pochi metri quadrati in cui muoversi, ingozzato di cibo e di ormoni, finché un giorno non è stato issato su un camion insieme ai suoi compagni, trasportato in un mattatoio e macellato.

Dicono che durante questa processione mortale gli animali si rendono conto di ciò che sta accadendo, perché il terrore si trasmette da corpo a corpo, trasformando la mandria da macellare in un’onda di terrore diffuso. Le prime file crollano, abbattute, mentre chi sta dietro comincia a urlare, a sbarrare gli occhi perché capisce, capisce che sta per essere ucciso.

Io la mangio, la carne. Lo ripeto. Perché? Perché sono egoista, vigliacca. Perché penso alla bistecca e non al suo proprietario. Perché altrimenti vivrei solo di pasta e pizza. Perché i legumi mi gonfiano e i dottori dicono che invece le proteine sono essenziali.

Però c’è un libro, che non ho avuto il coraggio di leggere, che consiglio ai più duri di stomaco (o ai vegetariani): Il maiale che cantava alla luna, in cui uno studio dimostra la vita emotiva degli animali da fattoria.

Non ho letto questo libro, ma ho ascoltato la storia di un mio cugino che ha un agriturismo nel Lazio.

Mi ha raccontato del giorno in cui il camion del mattatoio venne a prendere Bianchina, una delle mucche che allevavano. Stava nel prato, Bianchina, e quando ha visto il camion è impazzita dalla paura, ha iniziato a dare cornate su un albero, come se sapesse di non avere più scampo. Continuava a picchiare la testa sul tronco.

I suoi occhi si sono conficcati come due spilli in quelli di mio cugino. Le pupille sbarrate, muggiva disperata.

Ci sono voluti quattro uomini e un’ora di tempo per eseguire la deportazione. Quando se n’è andata, mio cugino è stato attraversato da un brivido.   

Si consolava dicendosi che da loro le mucche vivono bene fino alla fine, pascolano sui prati (che non saranno la pampa argentina, ma sono pur sempre spazi aperti, invidiati dagli altri animali costretti a vivere al chiuso finché non li fanno fuori).

Aveva tenuto una foto di Bianchina, comunque. Me l’ha mostrata. Gli occhi di Bianchina mi fissavano dal cellulare, ho inclinato la testa, impacciata.

Sì, ci fa comodo non pensare che ciò che mangiamo era vivo, prima, e che magari addirittura aveva emozioni e sentimenti, come le ricerche recenti stanno arrivando a dimostrare.

E ci fa comodo ignorare la vita penosa di questi animali.

Lo faccio anche io. Perché se mi fermo a riflettere, se penso a Bianchina e a tutti gli altri animali, allora non tocco più un pezzo di carne. E finora non ho trovato alternative alimentari che vadano bene.

Però penso spesso agli indiani, a quando ringraziavano il bisonte ucciso. Consapevoli che stava avvenendo un sacrificio. Perché la vita è offerta, perché la vita chiede altra vita per so proseguire. Ma almeno rendevano grazie, loro.

Consideravano sacra quella uccisione, onoravano la bestia immolata.

E noi, che siamo così "civili" e "moderni"?

Noi, che facciamo?