Tanti anni fa lessi un’intervista a Gabriel Garcìa Màrquez in cui lui raccontava di sua nonna e del suo timore davanti a qualunque parente prendesse l’aereo.
Ogni volta che questo accadeva, lei accendeva una candela, convinta che la fiamma sarebbe stata in grado di tenere l’aereo sospeso nel cielo.
La trovo una storia bellissima.
Una fiamma piccola, minuscola, all’interno di quattro pareti domestiche, veglia un aereo enorme in rotta verso qualche destinazione lontana.
Non è tanto la fiamma della candela, a farlo.
È la fiamma che brucia nell’amore di una vecchia signora sudamericana, in ansia per quell’aquila metallica che trasporta in alto i suoi cari.
Mistero e meraviglia di quel realismo magico di cui è intessuta l’America Latina.
Ecco così che una piccola candela sostiene da sola più di cento persone.
Nelle brughiere dell’anima vivono gli spazi liberi in cui gli accadimenti si fanno magici.
Garcìa Màrquez lo sa bene. Lo racconta nei suoi romanzi.
Racconta di questo popolo che vive in una sorta di Terra di Mezzo, sospesa fra i mondi, in cui si annodano i fili invisibili che tessono le trame degli universi.
In questi fili si interviene osando.
Non si tratta di superstizione, come è facile credere.
Bisogna invece andare più a fondo, scavare nelle terre dei miti e delle leggende ancestrali.
Lì si conserva l’idea di un intervento sottile nel mondo. Intervento fatto di rito individuale, di preghiera ma soprattutto d’amore.
Quello stesso amore che oggi noi, figli dell’individualismo dell’era moderna, a volte facciamo fatica a sostenere.
Eppure non è difficile. Sostenerelo non è difficile.
Basta la fiamma minuscola di una candela.