L’altro giorno, a casa mia, un amico mi rimproverava la posizione sghemba dei libri ammucchiati su scaffali ormai invasi, troppo stretti, come un golfino infeltrito.
"Sono creature – mi ha detto – hanno bisogno di stare dritte".
Una frase bellissima. Vera, probabilmente. Solo che ognuno, i libri, li vive a modo suo.
Proprio perchè sono vivi, febbricitanti, i volumi della mia libreria condividono il disordine che anima la mia esistenza. Sono ammucchiati, sparpagliati, eppure non naufragano via in cerca di bussola. Semplicemente respirano il mio modo di essere, all’unisono con l’anarchico ordine (può sembrare assurdo, ma non lo è) in cui ogni cosa che si smarrisce viene trovata. Sì, insomma, come in un gigantesco frattale. Li ho amati, annusati (da quando ero piccola infilo le mie narici in ogni libro, con voluttà e persistenza), segnati; ne ho piegato le orecchie (ma ne ho assorbito la capacità di sentire), accarezzato il dorso come si fa con un amante dopo l’amore, disegnato il profilo nello scaffale. Alcuni hanno buoni vicini di casa, vanno d’accordo, altri si trovano un po’ spaesati, in compagnia di alcuni titoli con i quali non hanno nulla in comune (ma alla fine si rilassano e convivono, lo fanno meglio di quanto riusciamo a fare noi). Mi guardano dalla libreria, mi invitano a repentine riletture, a ricerche esasperate davanti a un romanzo scomparso, a piccole soste con gli occhi che innestano il carburante della memoria. Altri attendono di essere letti. Così, con pazienza. Sanno che prima o poi accadrà. E se non accade, va bene lo stesso. Sono meno ansiosi di noi, loro.
Ma non sono soldatini, i miei libri. Non sono intruppati in reparti. E neppure per autore. O per collana.
Stanno lì, randagi. Si spostano soffiati dal vento dei miei umori, che ora ne mette in evidenza alcuni, ora altri. Ma sono sempre accuditi. Perfino quando qualcuno di loro finisce con il dorso girato (ancora più prezioso il suo ritrovamento).
La mappa della mia libreria è casuale, come il tiro di un dado. Ma allo stesso tempo rivela tracce precise, ondulazioni tra passato e presente che scavano un’ansa nel tempo, cullandosi in uno spazio lontano. E’ stropicciata. Sì. Somiglia più a una strada sterrata che a una via di cemento. Ma il suo essere selvaggia, il suo rifiutare l’addomesticamento di spazi e percorsi, è anche lo spazio di libertà in cui la vita si abbandona a sé stessa.
Certo, a volte sono costretta a lunghe ricerche. Ma ne vale la pena. I libri privilegiati, invece, godono di uno spazio particolare, accanto al divano, impilati senza un perché ma con un quando. Quando li leggerà? Ora, presto, domani. Più tardi. Non importa. Importa cercare.
E capire che ogni libreria ha le sue mappe e i suoi tesori.
Bisogna rispettare chi fa dei libri una reliquia, accudendoli come anziani all’ospizio (in effetti alcuni di loro sono molto vecchi), ma allo stesso tempo capire che si possono anche vivere così come si fa, a volte, con la vita: spargendoli intorno e dentro di noi, strusciandoci fisicamente la nostra esperienza, che li strapazza insieme alle rughe che compiono i nostri giorni.
Si possono bere e mangiare, i libri. Hanno suoni, odori e sapori.
Dalla libreria assistono, immobili, al nostro affaccendarci di formiche intorno alla tavola apparecchiata dei nostri giorni.
Eppure si muovono, dentro e fuori, dentro e fuori, tic tac, come le lancette di un orologio. Ed è la memoria a conservare nella testa e nel cuore i doni più belli che ci hanno fatto.
Molti di noi sognano i titoli che rileggeranno in vecchiaia. Mi sono ripromessa di rileggere Proust, ad esempio. Tutto, di nuovo. E poi anche un po’ di Borges, di Calvino, di Woolf.
Quanti appuntamenti mancati, in alcuni libri che non ho avuto o voluto leggere. Ma sono come le occasioni perdute, come quei famosi treni che passano. E poi chissà, a volte la vita ti rimette davanti una situazione, il treno ripassa, forse si ferma. Anzi sono io ad abbassare il passaggio a livello fermandomi, con la valigia del tempo, davanti allo scaffale in cui quel famoso libro mai letto mi stava aspettando.
Ma molti ancora vorranno essere letti.
So che forse non ne avrò il tempo, e tuttavia la consapevolezza non corrode il gioiello del sogno.
Ognuno di noi conosce i segreti della sua libreria. Sa quali libri sono stati importanti, come i grandi amori, quelli rari, quelli che il cuore conserva con un sussurro; e sa quali invece sono stati solo comparse, intersezioni veloci, fugaci, che hanno lasciato un pallido segno.
Ci sono i libri mai finiti (perché non si deve finire un libro, il rapporto è libero, è anche uno scavo interrotto), quelli invece su cui gli occhi si sono attardati più volte, quasi sbiadendo – come per magia di costanza – i colori della copertina.
Le posizioni che assumono nella nostra biblioteca sono percorsi, direzioni dell’anima, indicatori del rapporto con il loro lettore.
I miei, lo ripeto, vivono una vita scarmigliata. Un po’ come me. Ma sanno di essere lì, alla rinfusa, pronti però a ogni nuova avventura, a ogni spostamento dettato dal caso o dall’intenzione.
Ogni lettore possiede la mappa della sua libreria. É una faccenda personale.
L’importante sono i tesori ai quali la mappa conduce. E quei tesori non stanno comunque nei libri, ma nel respiro allargato della nostra coscienza.