Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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UN CUORE IN INVERNO

 

 

Un cuore in inverno è uno dei più bei film di Claude Sautet.

Un film aspro, dolente, ingombro di malinconia e privazione.

Racconta dell’incapacità di amare di un uomo che preferisce la fuga all’ammissione dell’amore per la compagna del suo amico (sebbene in realtà sia privo di qualunque declinazione dei sentimenti) che ne minaccia la stabilità costruita in modo meccanico, con la perizia di uno stratega impegnato in un gioco di scacchi.

Mossa dopo mossa, pedina dopo pedina, si difende da ogni incrinatura emotiva costruendo una prigione di ghiaccio intorno al suo cuore.

Non c’è nessuno spazio per i giardini della poesia, nella sua sterile vita.

A chi gli domanda perché abbia smesso di suonare il violino accontentandosi di aggiustare gli strumenti degli altri risponde secco: "perché non mi piacevano i suoni che producevo".

Negli anni ho spesso ripensato a quella scena, a quelle parole. In fondo, la vita è tutta una questione di suoni.

Interiore, esterno, il suono ci accompagna sempre.

Rifiutare di ascoltarne l’armonia, la vibrazione sottile su cui si distende l’anima, è un po’ come negare l’amore.

Aggiustare i violini rotti è mestiere, tecnica, misura razionale.

Suonarli richiede invece anche l’abbandono, la partecipazione emotiva, la possibilità di sbagliare.

Eppure non è certo una stecca a fermarci. Si rischia. Quando si suona. Quando si ama.

Il cuore in inverno del protagonista è prigioniero di un sistema razionale, di un gelo dell’anima in cui la speranza chiude le ali.

Ce ne sono tanti, di cuori in inverno. Oggi più che mai, forse.

Persone solitarie che agli uomini, così mutevoli, capricciosi, passibili di delusioni, preferiscono la mortifera immobilità degli oggetti, fatta di materia pesante che scongiura qualunque scricchiolìo della coscienza.

Spesso sono persone molto intelligenti e colte, come il protagonista del film. Ma a che serve tanta intelligenza se non è accompagnata dalla primavera del cuore?

Fa freddo, dentro. Ogni cuore in inverno lo sa. Amare, però, comporterebbe dei rischi, proprio come accade a quei boccioli precoci che, sfrontati e ignari come solo i fanciulli sanno essere, spuntano all’alba della primavera per poi morire durante una gelata improvvisa.

Sì, l’inverno iberna, congela, mantiene. Ma dovremmo avere la forza di gettare via la conservazione delle nostre persunte certezze per tuffarci nel mare caldo dei sentimenti, con le onde scaldate dal sole che vanno e vengono, vanno e vengono, e non tornano mai indietro, come cantavano i Genesis in una canzone, tanto tempo fa.

A proposito di canzoni, ecco che affiora alla mente un pezzo dei Pink Floyd che potrebbe accompagnare in modo perfetto la vita del cuore in inverno. Si tratta di Comfortably numb, canzone struggente in cui il diventare "piacevolmente insensibile" appare come l’unica soluzione alla sofferenza. E’ di una bellezza triste ma dolce, dolce perché quella nave lontana che appare all’orizzonte, nel mare in cui il protagonista diviene insieme alle onde, evoca il guizzo che comunque persiste, malgrado gli inverni.

Piacevolmente insensibile, comfortably numb. Perché tutti siamo feriti. Ognuno ha i suoi doloril, i suoi pesi, le sue sconfitte.

Piacevolmente insensibili.

E invece no. Invece bisogna avere il coraggio di essere "dolorosamente sensibili" e uscire dal letargo dei sentimenti.

La vita chiede coraggio, quello stesso coraggio che ci fa aprire le porte del nostro segreto a un estraneo, con il quale entriamo progressivamente in contatto, come due amanti che si esplorano nell’incertezza dell’alba per poi trovarsi allacciati, confidenti e sicuri al tramonto. Il giorno seguente potrebbe non mantenere la stessa promessa. E il cuore in inverno è atterrito da questa ipotesi, da questa esposizione tremante alla propria vulnerabilità. Meglio difendersi, fuggire, costruite tanti muri di Berlino per sfuggire alla minaccia dei sentimenti.

Eppure qualcuno, tempo fa, disse che l’amore, qualunque forma di amore, è l’unica in grado di traghettarci altrove. In quello spazio siderale, infinito, nel quale forse un giorno cesseranno anche le nostre paure.

Nel frattempo la vita pulsa, ci passa avanti mentre siamo impegnati con i nsotri terrori, le nostre proiezioni, le nostre paure.

E dopo, dopo sarà tardi. Tardi per scommettere. Per amare. Per sfidarsi.

Ho sempre temuto, nella vita, una sola cosa: rimpiangere le cose che non ho fatto.

Perché ogni errore è comunque esperienza, tragitto, mentre la neve sul cuore impedisce ogni battito.

E in questo modo si muore, lentamente, ogni giorno.