Quando torniamo a casa dopo un lungo viaggio, il passato rimbalza sulle pareti della memoria e trascina con sé pensieri arruffati, scomposti, in cui la memoria depone i suoi giochi.
Difficile non pensare a Proust, alla sua instancabile Ricerca di quell’attimo eterno sul quale il tempo si immola e viene bruciato l’incenso celeste.
La memoria è inganno, ci lega a un passato che magari vorremmo dimenticare ma che torna, sempre, come fa l’alba di un nuovo giorno.
Sospesi sui fili del tempo, danziamo la danza del ricordo che mai smettemmo di amare, o di quello che odiammo fino al ripudio. Ed è qui che il ricordo affila la lama e colpisce in modo subdolo, imprevisto.
Tornare a casa, alle proprie radici, può essere a volte dolente. Perché smaschera ciò che fummo e ciò che ci illudiamo di essere. Ma allo stesso tempo ci imbroglia sovrapponendo la radice al ramo che invece siamo riusciti a far crescere dentro e fuori di noi.
Eppure quella radice deve essere lasciata andare, e conservata nel sottosuolo, dove è giusto che stia, nella terra umida che custodisce le origini del nostro vivere. adesso siamo altrove, siamo il ramo che si protende nel cielo per cercare la luce.
Voltarsi indietro può essere necessario ma allo stesso tempo rischiamo di finire come la moglie di Lot, trasformati in una statua di sale.
Altre volte, invece, ci serve per fare un salto in avanti. Come l’atleta che prende la rincorsa, come l’oscillazione che precede lo scatto.
Rivedere le figure che abbiamo amato e odiato, fare i conti con i crogiuoli della nostra esistenza significa cercare proprio quello scatto.
A volte le radici ci proteggono come un comodo maglione di lana in un giorno d’inverno. Ma il nostro albero deve salire, avanzare insieme alle nuvole nei giorni di vento.
Penso allo sciamano che si arrampica proprio sull’albero per guardare oltre.
Solo in cima, infatti, avremo una visione d’insieme.
Se ci annodiamo intorno alle nostre radici non guarderemo mai i disegni della nostra esistenza.
“Sono solo una matita nelle mani di Dio”, disse una volta Teresa di Calcutta.
Già, siamo tutti matite e pennelli. E tuttavia a volte ci ostiniamo a rimanere nella tavolozza.
Ma lì, lì i colori aspettano di riempire gli spazi.