Francesca Pacini
Leggere e scrivere fanno bene alla salute. E non hanno effetti collaterali.

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IL GESTO DI MIO PADRE

 

 

A. morì in un giorno precoce. La sua vita ancora giovane si spezzò e cadde come un ramo in inverno.

A volte i talenti non ti salvano dalla distruzione operata dalle parti infere che, operose, lavorano dissolvendo, corrodendo, mutilando.

Era un bel ragazzo, A. Aveva tutto ciò che sembra necessario: era bello, aveva una famiglia ricca che non gli faceva mancare nulla, era pieno di donne.

Ma il suo dolore, dentro, se lo mangiò pezzo per pezzo. Usò l’eroina per farlo.

La sua vita si schiantò ai bordi di un’autostrada mentre andava a cercarsi una dose.

Conoscevamo da sempre lui e la sua famiglia.

Sapevamo delle lotte infinite di sua madre, eroina contro un’altra eroina, letale. Sapevamo delle sue speranze e delle suoi crolli angosciati. Oscillava come un pendolo, seguendo emersioni e ricadute del figlio. Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac…

Fino allo schianto.

Mio padre le era sempre stato vicino, ne aveva raccolto le lacrime nelle mani a coppa.

Il giorno dei funerali – un giorno senza tempo, come quello di ogni funerale – ci fu la fila per le condoglianze. Facce tristi, sussurri alle orecchie della mamma rimasta sola, strette di mano.

Quando toccò a mio padre, lui fece qualcosa che è per sempre rimasto impresso nella mia memoria.

Si mise davanti a lei. Non le strinse la mano nè le baciò la guancia.

La fissò con occhi disperati e dolci, alzando le sopracciglia a chiesetta sopra un sorriso triste.  Scosse delicatamente la testa sulle spalle sollevate, con le braccia allargate a dimostrare l’impotenza nel dire o nel fare qualunque cosa.

Come se tutto fosse troppo grande per dire o fare qualcosa di davvero sensato.

Come se quel gesto racchiudesse tutto il suo amore e la condivisione di quel dolore.

In quell’attimo, lo amai di un amore profondo. Fece l’unica cosa possibile. Vera. 

Infatti non puoi consolare una madre alla quale la droga ha rubato il figlio. 

 Ma c’era, nei suoi occhi, nel suo sorriso triste mentre la guardava, anche un’intesa profonda, quella di un genitore che sa e che ha condiviso parte di quella battaglia perduta.

Lei ha ricambiato quello sguardo speciale, ha annuito per poi procedere con le strette di mano e i baci sulla guancia che si affollavano e pigiavano dal fondo.

Non ho mai scordato quell’attimo.

Ricordiamo le persone attraverso gesti piccoli, infintesimali. Da subito, ho saputo che quello era uno dei momenti speciali che avrebbe custodito, nel tempo, la memoria di mio padre.