Non c’è giornalismo possibile fuori dalla relazione con altri esseri umani. La relazione con gli altri è l’elemento imprescindibile del nostro lavoro. Nella nostra professione è indispensabile avere qualche nozione di psicologia, sapere come rivolgerci agli altri, come trattare con loro e comprenderli.
Credo che per fare del giornalismo si debba essere innanzitutto delgi uomini buoni, o delle donne buone: dei buoni esseri umani. Le persone cattive non possono essere dei bravi giornalisti. Se si è una persona si può tentare di capire gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi, le loro difficoltà, le loro tragedie. E diventare immediatamente, fin dal primo momento, parte del loro destino.
(Ryszard Kapuscinki,Il cinico non è adatto a questo mestiere)
Per fortuna, ogni tanto, qualche idealista contesta l’idea che chi voglia lavorare le giornalismo debba per forza essere cinico. Se è per questo, oggi questo mondo chiede a tutti di essere cinici. Sembra diventato necessario alla quotidiana sopravvivenza.
Ma ci si può ribellare.
La penna di Kapuscinki non ha scritto solo riflessioni, ha raccontato, raccontato di un mondo che lui cercava di capire, trattendendolo sulla sua penna dopo averne smontato i pezzi, dopo aver cercato la gente.
E dice, a mio avviso, una cosa bellissima. Gli esseri umani non sono solo notizie, se si ha il coraggio di far "parte del loro destino". E ce ne vuole tanto, a volte, di coraggio.
In fondo essere cinici è più semplice. Il pelo sullo stomaco aiuta a digerire la realtà che, se vissuta in modo sensibile, può chiederci empatia, comprensione, compassione. E, accidenti, generosità.
Sarà che non sono mai riuscita ad averlo, questo benedetto pelo sullo stomaco. La mia pelle, lì, è bianca e fragile. Così fragile che a volte mi spaventa. Sarà forse per questo che mi sono tenuta alla larga dai grandi quotidiani e dai settimanali, preferendo un giornalismo dietro le quinte, fatto di cultura e di nicchie. Non so.
Ma so che Kapuscinski ha ragione. So che il bravo giornalista è anche quello che sa incontrare sul serio altri esseri umani. E a chi dice che questa sembra una visione arturiana, un’immagine onirica, un po’ come Camelot, rispondo che ci vuole molto coraggio, a volte, per sostenere questa diversità.
Perchè perbacco è vero, è vero che la maggior parte dei giornalisti sono cinici. Ma questo significa forse che la "fisiologia" di questo mestiere esiga il cinismo?
Allora è anche vero che tutti i nostri politici fanno più o meno schifo, ma questo non significa che il bravo politico non debba essere un generoso filosofo (nel senso più nobile e meno teorico della parola), come suggeriva Platone.
Non è un mestiere (che volentieri diventa una casta) a dettare il comportamento, sono gli esseri umani. Solo gli esseri umani. Quindi, ogni giornalista può decidere come vuole essere.
Può scegliere.
Il problema, temo, è più esteso. Il cinismo ha invaso la nostra vita, l’ha resa pesante, ombrosa, priva di gioia.
L’altro giorno ho guardato distrattamente i fiori di un’aiuola. Era sera, camminavo di fretta. Mi sono fermata a guardarli. Erano bellissimi, con i loro colori e i loro profumi messi lì, come un regalo, un regalo offerto a chiunque voglia apprezzarlo. Non vogliono niente, loro, ma stanno lì. Testimoniano la bellezza. Sembra così stupido, il cinismo, in questi momenti. Ecco, se un fiore fosse intervistato risponderebbe semplicemente: "Esisto. Seguo i mutamenti senza nulla pretendere. Conosco la Bellezza e l’Armonia. Del resto, perdonate, non mi intendo".
Ma ci vorrebbe un giornalista sensibile per intervistarlo.
Gli altri, gli altri non lo vedrebbero neppure.