Quando vi trovate davanti a una personalità grande, chiedetevi dove sta il suo dolore
(Léon Bloy)
Sto leggendo Variazioni selvagge e incontro questa citazione di Bloy.
Mi fermo. Come sempre, i grandi scrittori in una riga nascondono l’universo.
Dietro ogni talento, dietro ogni sensibilità, dietro ogni slancio iperbolico dell’intelligenza si annida un dolore.
È lui che scava negli anni, rintanato magari nella notte della coscienza (da dove però lavora, lavora ininterrottamente) oppure appoggiato più in superficie, aggrappato alle scogliere della nostra ragione per essere bagnato, di nuovo, ogni volta che il mare si agita per una delle infinite tempeste che attraversiamo.
Può mordere l’anima con un attacco diretto oppure scegliere la via del serpente, e allora eccolo lì che striscia, nell’ombra e nell’umido, avanzando, silenzioso, fra le pozzanghere che specchiano una memoria scomoda sulla quale potremmo affogare.
Ssst, non fare rumore, non ascoltarlo, è solo un dolore strisciante che non vuole farsi notare, schiacciato fra due sassi mentre tu, ostinato, con quella torcia stai cercando di illuminarlo salvo poi desiderare la fuga non appena avverti la pulsazione del suo sangue freddo, venefico. Non muoverti. Non muoverti. Non muoverti, per carità.
Se stai immobile, se fai finta di essere morto, se congeli il respiro e lo trasformi in cristallo, allora lui si sente al sicuro se ne va, si allontana senza aggredirti con il veleno di quel ricordo.
Oppure puoi decidere di affrontarlo. E allora il serpente comincia a danzare per compiere la sua muta. Ecco allora che la pelle muore mostrando la nudità del tuo dolore, la terribile, insolente, oscena nudità di quella ferita in cui si spezza ogni sigillo residuo.
Ha il colore della notte, il dolore. È un manto scuro privo di stelle su cui però possiamo appoggiare la luna, ricamando il cerchio latteo con dita sottili che reggono il filo della speranza.
E così spunta un piccolo fiore lunare. Tremulo, incerto, cresce nelle nostri notti illuminando la strada che, davanti, ci separa da lui, dal dolore, rendendolo più ovattato, più simile al sogno.
Ma ognuno, ogni "grande" personalità, come dice Bloy, ha un dolore immenso come il suo genio. La scintilla può essere artistica oppure incline alla geometria della ragione, può inseguire sogni e passioni o farsi tensione intellettuale, lama di rasoio che misura l’evidenza di ogni pensiero.
Non importa. Importa capire che lì dietro c’è un grande dolore.
Dove sta? Perfino nel comico più sguaiato e goliardico si nasconde il dramma della sofferenza (penso, adesso, al magnifico e mai dimenticato Vittorio Gassman), perfino quelle notti hanno il loro colore, hanno quel manto privo di stelle.
Chi è invece riuscito ad accendere una fiaccola, in quel buio, ha compreso che se la mutevole Luna ci darà sensibilità e compassione, è con quel fuoco che bruceremo per tutta la vita. Ma bruceremo di vita. Più grande sarà quella fiamma, più il dolore si farà tempra. Sarà gradino e non muro.
Purtroppo l’anima che molto soffre molto impara. Non si tratta di masochismo o moraleggianti e tediosi vademecum religiosi per la "salvezza"- E’ che il dolore ci forgia sul serio. Maestro spietato, tortura e cavillo dei nostri giorni affannati.
Ombra delle notti, febbre che spezza il riposo, assillo che insegue ogni parola e ogni gesto.
Sollevando la tenda della notte l’uomo può accarezzare la Luna mostrandole il fuoco ardente del Sole. E quel fuoco su cui si incendia il dolore sarà anche la forza centrifuga di ogni atto creativo.
Ognuno ha la sua notte. La porta segretamente con sé, nascosta sotto i vestiti, fra i capelli, dietro gli occhi oppure nella bocca serrata.
Se riusciamo a sentire dove sta quel dolore, se riusciamo a percepire la notte, avremo acceso una piccola alba.
In noi e in ogni altro essere umano che ci capita di sfiorare.