Ambrogio Fogar
Fin da piccolo il mare mi dava un brivido lungo la schiena. Forse era il sogno, la voglia di sfidare l’ignoto come i grandi navigatori che attraversavano l’oceano con i velieri piegati dal vento. Divoravo ogni romanzo con la speranza di vivere la stessa avventura: ce l’avrei fatta da solo, mi dicevo, con le mie forze. Perché avventura è mettersi alla prova, esplorare i limiti estremi della volontà e del cuore. L’avventura è corpo e spirito, braccia e gambe., ma anche luoghi impervi, sconosciuti, simbolici. Capo Horn, per esempio. La convergenza tra Atlantico e Pacifico, dove i gorghi delle correnti si alzano sferzati dal vento è il luogo dove puoi imparare a governare la paura. Davanti a quel promontorio di roccia nera e invisibile, nella notte, ci sei tu e il destino che ti guarda in faccia. Se passi, capisci dove può arrivare il tuo limite. (…). Dopo quella notte maledetta nel deserto del Turkmenistan riesco persino a sorridere e a scacciare la disperazione. Sono diventato come un neonato che non ha nessuna autonomia, ma che ha la conoscenza della vita. Se mi chiedono "Come stai"? rispondo così: sto come uno che ha la mosca al naso e non riesce a scacciarla via
(Ambrogio Fogar, Controvento)
La storia di Fogar mi ha sempre commosso e affascinato. Perché non ha mollato. Non ha mollato mai, neanche quando, costretto su una sedia a rotelle, misurava il soffitto della sua stanza che copriva i cieli stellati che gli avevano fatto da coperta nelle notti solitarie delle sue navigazioni.
Se l’è cercata, verrebbe da dire.
Sì. Se l’è cercata.
Ma ci sono persone che non se la cercano mai.
Di Fogar ho ammirato il coraggio folle che solo alcuni uomini possiedono, quello che ti fa dire sono incoscienti, spiritati, abitati da qualche demone inquieto.
Eppure queste migrazioni estreme, radicali, sfrontate, sono un luogo di sfida e confronto in cui soli, davanti alla Natura, ascoltiamo il nostro respiro.
Certo, si può anche viaggiare dentro e solcare altri mari, navigare negli oceani interiori fino alla soglia dell’abisso cosmico.
Ma di questi avventurieri, di questi capitani coraggiosi che non sono solo letteratura ammiro la ricerca della sottrazione, lo spogliarsi dei vestiti comodi che il progresso e le abitudini ci hanno cucito addosso. Il gusto della sfida titanica può nascondere ombre (ma chi non le ha?) che si mescolano però alle luci di albe dimenticate dal tempo, che un contatto selvaggio con la natura può far ritrovare intatte nella loro essenza.
Fogar ha pagato. Ma non si è pentito. E con lo stesso coraggio dei suoi viaggi ha anche affrontato il percorso più difficile, quello della memoria nell’immobilità.
C’è qualcosa di notturno e allo stesso tempo solare, in quest’uomo che voleva "prendere la vita a manciate", qualcosa che sfugge alla ragione che conserva il limite, il perimetro sicuro della sopravvivenza.
Se l’è cercata. Sì. Ma sarebbe tornato indietro, e avrebbe rifatto tutto.
Questo, il vero coraggio finale.