L’esperienza è reale; le parole non sono reali: le parole sono degli altri, l’esperienza è solo vostra.
(B.K.S. Iyengar, L’albero dello yoga)
Anche se ho fatto delle parole un mestiere cerco sempre di tenere alta la guardia. Il fatto è che ho visto schiere di intellettuali e filosofi incantare le folle con le loro sapienti parole, allo stesso modo in cui le mani sapienti dell’amante percorrono il deserto della pelle amata deponendovi rugiada fresca di albe umide.
Ma l’esperienza, poi, ha smascherato l’inganno.
Perché niente ti mette davanti a te stesso come la pratica del quotidiano. Quella che verifica ogni intenzione, ogni limite, ogni incoerenza,
E’ qui che franiamo tutti. Chi più chi meno, anche a seconda del grado di spietatezza con cui osiamo guardare noi stessi. Possiamo anche mentire usando nuove parole. In fondo le parole possono essere spade o coperte. Dipende da come le usiamo.
E, soprattutto, dipende dal loro legame intimo con la nostra realtà. Quella che si basa sull’esperienza, su ciò che realmente facciamo, non su ciò che diciamo.
Le parole sono seducenti e birichine. Danno una forma ai pensieri, li vestono con il loro suono.
Per questo occorrono prudenza e attenzione.
A volte è meglio essere diffidenti. Avvicinarle di soppiatto, scrutando continuamente il confine tra la parola parlata e la parola agita, vissuta.
Non a caso nelle religioni si parla di vivere ciò che si legge.
E invece regna una profusione di oratori pieni di belle parole, in ogni campo (basta vedere il circo politico che precede queste elezioni) ma poveri di significato interiorizzato, realmente vissuto.
C’è una pratica impietosa, crudele. Quella che consiste nel verificare ogni giorno la sintonia delle nostre teorie con il nostro fare.
Sì, l’esperienza è reale (malgrado gli inganni del gioco di Maya) perché è li che le frodi vengono estinte.
E tuttavia come è bello dondolarsi sulle parole, farsi confortare, cullarsi nel mare del dire.
Poi, però, poi dobbiamo darci da fare.