La civilità ci insegna come impadronirci delle cose, mentre dovrebbe iniziarci all’arte di privarcene, giacché non v’è libertà né vera vita senza il tirocinio dello spossessamento.
(Cioran, La caduta nel tempo)
Un tirocinio difficile, quello proposto da Cioran (autore che amo irrimediabilmente, malgrado le ferite inferte all’umore ogni volta che lo avvicino. O forse proprio pr quello…).
L’uomo è "ladro", è un "prendi", come dice Anthony Hopkins nel bel film Instinct.
Rubiamo continuamente. Ci impossessiamo di tutto. Nulla sfugge alla nostra vena predatoria, alla rapacità del nostro esistere.
Animali, spazi, oggetti e perfino persone. Tutto, tutto viene preso, conquistato, accaparrato, in un "prendi prendi" epilettico in cui si passa instancabilemente da una conquista a un’altra. Siamo pirati. Rubiamo tesori e assaliamo caravelle, ogni giorno. Ammassati nelle nostre case, i nostri bottini avanzano mentre noi riduciamo il nostro spazio vitale.
Siamo pirati.
Ma dei pirati, ahimé, non abbiamo neppure una vaga ombra del fascino.
Somigliamo piuttosto a dei comuni ladruncoli, anche un po’ vigliacchetti.
Facile, infatti, ammassare. Difficile, invece, operare una redutio.
Perché le cose che ci circondano illudono l’Io con vane promesse, lo seducono, lo invitano in un luna park in cui ogni cosa non può essere goduta per ciò chè ma deve essere posseduta.
Il panorama è bello? Sì, ma è ancora più bello se diventa il mio panorama.
E quel furetto? Lo voglio lo voglio lo voglio, non importa se si tratta di un animale che soffre nell’area claustrofobica di un appartamento: se lo addomestico diventa "mio", se resta libero rimane "suo". Fatto gravissimo.
Stessa cosa per i girasoli ammirati in campagna. Quel girasole lì me lo porto a casa, lo voglio, è il "mio" girasole.
Un po’ come fa il Gollum con il suo anello, il suo tessssooooroooo, e su quella s sibilata striscia il serpente del possesso, scivola e tutto fagocita, senza discriminare la qualità dell’oggetto o dell’esperienza.
Già, perchè ci impossessiamo anche delle esperienze. Tutto ciò che ci circonda deve essere nostro, deve essere ingoiato senza mai essere sputato fuori, rimesso in circolazione (e qui il gioco sapiente delle tre Grazie si inceppa in un "non ritorno" che blocca il restituire rendendoci bulimici e perdenti).
La smania di certi turisti che impazzano nevrastenici con i click clik della macchina fotografica o staccano pezzi di muro (se va bene, altrimenti li imbrattano addirittura per segnare il loro osceno passaggio) scivola sempre su questa sfilza di s. E tutti diventiamo un po’ Gollum.
Il mondo va vissuto, non va "mangiato". Né posseduto.
Tornando alle cose, e al loro magico, perverso potere che le fa diventare la materica estensione di un Io che ci spaventa per la sua evanescenza, è anche importante osservare come perfino i più progressisti di noi sotto molti aspetti sono "conservatori". Sì, conservatori. Conservatori quando non riusciamo a liberarci di nulla, a far spazio al nuovo, tutti attaccati come l’edera i nostri otri vecchi ma pieni.
Gli oggetti ci assediano, ci perseguitano, ci invitano alla schiavitù. maginfica schiavitù. Ripenso alla scena di Matrix in cui un tizio alla solitudine di un’autentica libertà preferisce l’illusoria succulenza di una bella bistecca "plastificata".
Il circo meraviglioso è pieno di luci, di suoni, di odori e di colori. Troppo allettante.
Ma, come dice Cioran, dovremmo imparare l’arte dello spossessamento.
Non a caso nello Zodiaco il segno opposto al Toro, che incarna – fra le altre cose – il principio del possedere – è proprio quello dello Scorpione che simbolicamente con il veleno della sua coda attenta al placido vivere taurino esponendolo alla puntura fatale che spezzerà…l’equilibrio dei falsi possessi.
Non possediamo nulla, noi. Nemmeno la vita. Anche quella, un giorno, dovremo restituire.
Eppure ci ostiniamo a prendere a man bassa tutto ciò che ci circonda, infilandolo nella scatola delle convenienze. Delle sicurezze.
In realtà, più "abbiamo" meno "siamo".
Perché stupirsi, dunque, del fatto che i paesi più ricchi sono anche i paesi più depressi? Quelli più esposti all’infelicità?
Il tanto avere non rende felici. Il tanto "essere", sì. Ma se ci si incammina su quella strada, se si cerca di "essere" bisogna togliersi i veli, un po’ come Salomè nella sua danza. Sul piatto, in questo caso, la testa dell’Io.
Meglio allora coprirsi di tante cose, coprirsi fino a mutilare il respiro. E così, belli immersi nei nostri possessi, speriamo invano di evadere dalla puntura dello scorpione.
Ma quando ci punge, quando questa coda manda all’aria le nostre gozzoviglie fatte di addizioni e affastellamenti, allora sì che dopo il dolore della puntura intravediamo una nuova possibilità.
Del resto lo dicevano anche gli antichi: "trasformare il veleno in medicina".
Non è solo un principio omeopatico. E’ un principio di vita.