L’avatar è la nostra rappresentazione virtuale, l’immagine che ci scegliamo per "apparire" sul web.
Dando vita a una vera e propria fenomenologia.
C’è chi sceglie immagini umane e chi preferisce invece figure animali. Altri ricorrono invece volentieri ai cartoni animati. E poi c’è chi si appella invece a eroi, a figure che appartengono alla storia del cinema, ad attrici e attori che hanno fatto la nostra storia.
Altri invece scelgono di usare la loro immagine reale, postando una foto in cui a volte si preferisce inserire un dettaglio (un occhio, un sorriso, un tre quarti alla Gruber…) oppure si opta per un mezzobusto.
Dettagli significativi, indizi del nostro modo di rappresentarci.
Ma cosa affidiamo al nostro avatar?
Ho spesso pensato alla scelta bizzarra, ma anche "filosofica", della parola avatar con cui nelle tradizioni spirituali si indicano gli esseri celesti che si incarnano sulla terra, scegliendo la manifestazione per soccorrere gli uomini impigliati nelle loro involuzioni egoiche.
Mmh. Dunque un avatar è un "maestro", un illuminato, un essere speciale che viaggia su questa terra senza appartenergli. Fico. E’ come tutti vorremmo essere.
Io faccio parte di quel manipolo di pazzoidi che pensa che nulla sia a caso, in questo mondo. Che tutto sia simbolo e segno, inserito in una trama che collega linee verticali e orizzontali per raccontarci sempre qualcosa…
E in questo contesto anche la parola avatar ha un significato preciso, in una contestualizzazione non casuale.
Sul web possiamo inventarci la nostra identità, sfuggendo al grigiore di una vita "impiegatizia" in cui a volte ci sentiamo, magari, un po’ Fantozzi.
Una vita lontana dalle sfavillanti ribalte del cinema, dai luccichini di quel reame di vip che si agita tra nord a sud, tra un Lapo e un Briatore, dai modelli "Milano da bere" di moda e pubblicità.
E spesso anche lontana dalle nostre idee e idealizzazioni (vorrei essere come il Budda, oppure come Oriana Fallaci, o come Furio Colombo. Magari perfino come Berlusconi. Beh, facciamo Bondi, aggiustiamo un po’ il tiro…).
I nostri "miti" personali ci danno un’occasione: quella di avvicinarli un po’ attraverso la scelta dell’avatar.
Avatar che non sono sempre rassicuranti (teschi, pistole, manette) o che non alludono sempre a figure "positive" (penso all’Imperatore nero, ad esempio).
In questo caso si vestono i panni del simpatico agit prop, si provoca, si stuzzica, si stimola ammiccando a Pierino la peste.
Comunque sia, la scelta dell’avatar parla di noi. Ma parla di come siamo o di come vorremmo essere?
Già. Bella domanda.
Ch siamo, noi, sul web?
Quanto la realtà virtuale ci permette una "manifestazione" (tanto per rimanere nella terminologia antica legata all’avatar della tradizione) o quanto ci permette di nasconderci, di giocare a rimpiattino, di mandare avanti il personaggio che vorremmo essere ma che non siamo?
Personalmente credo che il mondo delle nuove tecnologie sia in pari modo pieno di possibilità quanto di insidie.
Lo uso, ci lavoro, ne scopro le infinite meraviglie e possibilità. Però mi interrogo, mi chiedo anche quanta finzione consenta.
Come alla maggior parte di noi, mi è capitato di conoscere personalmente i "proprietari" di alcuni avatar, i demiurghi che li mettono in moto facendoli "rotolare" di blog in blog, di sito in sito…
Alcuni corrispondevano all’immagine che avevano dato. C’era una coincidenza fra come si rappresentavano pubblicamente in Rete e come erano.
Un avatar spumeggiante, ironico, era l’estensione di un tizio spiritoso, allegro, estroverso.
Viceversa, dietro un avatar “lunare”, notturno, c’era una persona umbratile, difficile, che viveva piegata in sé stessa, esposta alla luce riflessa degli altri.
Spesso ci sono noti gli avatar di nostri amici e conoscenti, e possiamo ammirarli scorazzare come noi fra siti e blog.
Sicuramente avremo notato quando coincidono e quando invece si scindono, quasi schizofrenicamente. Alcuni sono veri esempi borderline.
Interessante. Ci vorrebbe una vera letteratura da avatar. Uno studio socio-antropologico.
La seconda identità si affianca alla prima secondo un gioco di specchi o differenze.
Sul web si può “barare” bene anche se a volte la scrittura tradisce i vizi caratteristici che ci trasciniamo dietro: spuntano qua e là, come funghetti velenosi.
Vero è, però, che il magico teatro virtuale accoglie e inscena le nostre rappresentazioni. E le nostre finzioni.
A me fa sempre piacere quando l’avatar e il suo proprietario si sovrappongono in modo schietto, verace. C’è un sapore di verità che nel gioco di maya del web risulta raro.
Ma è anche vero che l’occasione di vederci e farci vedere per come vorremmo essere è troppp ghiotta. Va lasciata libera di galoppare. A briglia sciolta.
Del resto, occorre anche pensare a quanto già l’identità reale sia una maschera (a cui richiama l’etimologia del termine “persona”, fra l’altro). Anzi, una, cento, mille maschere.
Maschere con cui ci difendiamo da noi stessi e dal mondo, schierando come su un campo di calcio i nostri giocatori, piazzando attentamente gli attaccanti, i difensori e i portieri.
Figuriamoci cosa appiccichiamo al nostro avatar, del quale addirittura possiamo scegliere l’immagine.
Scateniamo, qui, la nostra fantasia liberando frustrazioni e bisogni, inventandoci, come su Second Life, che di fatto rappresenta solo il culmine del nostro doppio che come un Golem ha già preso da tempo una vita autonoma sul web, una seconda occasione per “essere” e per farci vedere dal mondo.
Se noi siamo i demiurghi dell’avatar, allora ci domandiamo, davanti all’atto della creazione: avatar a nostra immagine e somiglianza o avatar a nostra immagine e differenza? Domandona. E la risposta? Busta A o busta B? Beh, io direi che valgono entrambi, in alcuni casi si ha perfino un mix fascinoso.
Del resto, perché in un mondo reale animato da maschere e personaggi il nostro doppio virtuale dovrebbe essere più veritiero?
Invece dovrebbe, a mio avviso. O almeno potrebbe.
Perché alla fine siamo sempre noi. Con le nostre bellezze e le nostre mondezze.
Provarci anche sul mondo che corre bel web è una bella scommessa.
Al di là della faccia da avatar, quella che conta è la nostra…