L’altra sera ho visto un documentario sulla storia dei musher, gli uomini che guidano le slitte trainate dai cani. Il termine risale, secondo la tradizione, all’epoca dei primi cacciatori di pellicce francesi nelle foreste del Canada settentrionale, i famosi trappeurs, che incitavano i cani alla partenza gridando: “March!”. Gli inglesi, dopo aver imposto la loro dominazione sul Canada nel 1763, storpiarono questo comando in “mush”, da cui deriva musher.
Un musher raccontava la storia del suo rapporto con i cani, del legame speciale, arcaico, magico, sottile, che collega insieme questi destini fatti di neve e di sguardi.
L’uomo e l’animale collaborano, si scambiano informazioni, suggerimenti, preoccupazioni, entusiasmi.
I cani non vanno lasciati soli, mai. Non appena il musher smette di partecipare attivamente al traino della slitta (deve sempre aiutare spingendo avanti la slitta con una gamba) o si ferma senza ragione ecco che loro, preoccupati, girano indietro la testa e formano un punto interrogativo muto, inquieto, sollecito. "Dai, allora! Che fai? Che succede?" sembrano dire con i loro occhioni di ghiaccio e di muschio.
L’uomo e il cane, insieme nella solitudine di una natura straordinaria ma anche aspra, indomita, pericolosa.
Ripenso alle storie meravigliose di Jack London, a quelle pagine indimeticate sul rapporto tra l’uomo e quella Natura a volte ostile a volte amica, compagna di sentieri selvaggi e solitari in cui l’anima si distende sulla neve mentre l’Ego resta imprigionato sul perimetro di un’orma fragile, sottoposta a una piccola, rapidissima esistenza cancellata dai primi fiocchi di neve.
I cani. I cani compagni, i cani amici, fratelli, confidenti.
Quel rapporto antico, poggiato sulle albe remote di una storia d’amicizia e di solidarietà, qui vive la sfida di traversate scandite da albe e tramonti, da notti fredde in cui il battito di un cuore di cane cade dolcemente, come una foglia in autunno, sul respiro dell’uomo, così come il battito di un cuore d’uomo soffia calore sui sensi festosi del cane che lo accoglie.
E insieme, in silenzio, si sta nudi davanti a una natura fatta di stelle e di nevi.
Quando la slitta sta per partire i cani si lanciano in ululati gioiosi, frementi per l’imminente partenza. Andare, andare. Per loro si tratta di andare, avanti, sempre avanti, in un tragitto che è meta.
Dovremmo imparare da questo andare in cui viaggio e meta coincidono.
Senza attaccamenti, godendosi il paesaggio che man mano si incrocia.
Mi ha ricordato, il documentario, il mio smisurato amore per Zanna Bianca e per quei richiami della foresta, richiami selvaggi, potenti, che nella mia infanzia spostavano la soglia della mia immaginazione portandomi in quelle terre lontane, fra quegli uomini capaci di empietà ma anche di compassione, così bestie e così angeli, così divisi tra l’inferno e il cielo.
E loro, gli animali. Sfruttati o amati.
E lui, il cane. Il cane delle nevi, dei ghiacci, delle lande deserte.
Il cane che aspetta l’uomo, aspetta sempre che torni anche quando se ne va lasciando da parte ogni speranza.
C’è da fare, in quei posti.
C’è da essere insieme per vivere la solidarietà che schiude le porte della dolcezza sciogliendo la neve interiore.
Solo una fiamma d’amore squaglia la neve e dissolve ogni freddo.