Ki 6?
X il mondo 6 solo 1 nome, x me 6 il mondo. Nn dimenticartene mai.
Ankora graffi alla mia auto dimmi quando la smetti? che cosa vuoi da me? nn ti hanno ankora comunicato nulla? o n ti basta neancke q.sto? finiscila!
vale facciamo giov alle 13.00 al solito rist.? fammi sapere tvtanto b
Se 6 ki penso io meglio morta ke c. te! i miei fiori pref.? le rose bianche e q.lle rosa…nn lo sai!!!
Xké continui a frequentare gente marcia! Avevi promesso Xké continui!
Grazie di ttt questi baci! Nn è ke diventerò trpp dolce? Snz parole: sl grazie. 1 megab.one, simi
E chi sarebbe 1 amore tuo…q.lla alla q.le hai scritto? firmati o 6 troppo bastardo e codardo!!
Ma come l’amore nn era 1 altra cosa? mo l’hai trovato coglione chi ti ha incastrato! a me lasciami stare n ti v. cme te lo d.vo scrivere!!!
Oggi ci vediamo, ciccia!! porta q.llo!
Tra 3 gg parto con 2 amiche. vado in Ingh.terra. ci vediamo al ritorno!! tvb tnt bacione!
Come va con lei? Questo w.end ci vediamo??
Scioattola nn ti dimenticherò! 6 la donna + slpcl e imprtnt, Xk nn mi Kami ciao bacione!
Sono – sicura.
La lingua è vivace, dinamica. Cambia con il cambiare della società. Alcune parole cadono in disuso, altre fanno il loro ingresso (specie nell’ultimo secolo, con l’avvento dell’era tecnologica e l’uso degli inglesisimi).
E va bene. Oggi, però, gli sms sono davvero grotteschi.
Usati da tutti (ho visto perfino un settantenne che mandava un messaggio con il cellulare mentre alla posta ritirava la sua pensione), limitano e impoveriscono un linguaggio altrimenti versatile e ricco di possibilità quasi infinite.
Il problema è che i più grandi, come la scrivente, hanno già imparato a usarne le potenzialità, le alchemiche combinazioni di sostantivi a aggentivi, le varianti della sintassi.
I più giovani, invece, sono sottoposti al tiro incrociato di sms che invadono l’etere da sera a mattina. E magari, a scuola, come mi raccontava, depressa, un’amica che insegna italiano al liceo, continuano a usare quello stesso linguaggio mozzato, deforme e sterile.
Del resto siamo nell’era del mordi e fuggi, del fast food economico. E una certa sintesi ci ha impoverito, anche se viene proposta in modo vincente.
Quest’estate il tormentone pubblicitario mostrava come a costo 0 con un semplice No! inviato ripetutamente via sms si potesse perfino interrompere un matrimonio.
Così accade a Muccino Junior che, sulle note di Happy Hour di Ligabue, continua a "messaggiare" (termine orribile ma eloquente) la ragazza incontrata per un nanosecondo sul camion che ha caricato i due giovani autostoppisti, per convolare poi a giusta fuga dopo averla convinta, tartassandola di No a costo Zero (promozione Tim o Vodafone, ho rimosso), a lasciare l’altare per fuggire sulla sua moto.
Molto romantico e lontano, oggi, il ricordo delle lettere inviate dal e al fronte. Certo, le mail ci hanno aiutato, soprattutto se due persone abitano rispettivamente agli estremi del mondo, ma hanno anche mutilato alcune suggestioni.
C’era qualcosa di romantico, un tempo, nel pennino che doveva cercare la giusta inclinazione per trovare la forma della parola, e nello sforzo richiesto per tracciare le frasi sulla carta vibrava anche il suggerimento dell’importanza di quelle stesse parole.
C’era poi il momento di tensione estrema, quello in cui si infilava la carta assorbente tra un foglio e l’altro per trattenere l’inchistro in eccesso attendendo che il resto si fissasse per sempre.
Nell’acrobatica attenzione rivolta alla scrittura era contenuto il significato stesso della sua preziosità. Era una fisicità era densa, carnale.
Ricordo la fatica per imparare a usare il pennino.
Può sembrare che la scrivente sia anziana, e invece ha solo avuto una maestra anacronistica ma geniale che aveva imposto l’uso del pennino e dell’inchiostro. Serviva "per imparare a scrivere bene", sosteneva, e fu sostituito dalla moderna penna biro solo in quinta elementare.
Allora non capivo perché dovessi fare quella faticaccia, con la punta del pennino che si spezzava in due se forzavo troppo, o i fogli disastrati, pieni di pozzanghere di inchiostro che sembravano tante macchie di Rochac (si scrive più o meno così, la memoria in questo momento è fallace) che avrebbero richiesto, se fossero state tali, l’internamento immediato in un manicomio.
Maledivo la mia maestra perchè violentava, pensavo allora, la mia natura pasticciona, eppure molto tempo ho dopo capito l’importanza e il senso di quell’esercizio impegnativo. E oggi le sono grata.
Nella calligrafia, che usa una forma svolazzante oppure greve, parole tondeggianti o schiacciate, piene di ghiribizzi, giravolte, segni grafici estesi o troncati, verticalità oppure orizzontalità, si cela la personalità di chi scrive, come mi insegna un’amica esperta calligrafa.
Nella forma delle nostre parole è dunque racchiusa la nostra individualità psico-emotiva. Affascinante.
Invece oggi esercitiamo la calligrafia solo per firmare…carte burocratiche e assegni.
Il resto è omologato dai caratteri, che siano Arial, Garamond oppure Verdana. Anche questa è globalizzazione.
Certamente le mail sono importanti, lo abbiamo detto. Hanno agevolato la comunicazione, reso possibili risposte "in tempo reale". Eppure abbiamo perso qualcosa.
Ricordo, da ragazzina, il sapore dolce dello scambio epistolare con l’amica del cuore che abitava a Milano. Le sue lettere, animuccia bella, era perfino accompagnate dal suo profumo, con quel pizzico di lesbismo (inteso come erotismo velato) che caratterizza la simbiosi femminile con la confidente preferita, la compagna di ogni nostra avventura, l’Amica.
Poi, più tardi, il brivido davanti all’attesa delle lettere del fidanzatino che abitava a Bologna (sì, sempre distanze, nella mia vita), lo sconcerto davanti alla casella postale vuota intorno alla quale si stringevano i palpiti del mio cuore dolente.
Già, la casella postale, tormento e delizia di quei giorni lontani in cui il postino era atteso come un Messia.
In più le poste italiane, si sa, non hanno mai brillato per efficienza, e molte di quelle attese non significavano certo che l’amore stava sbiadendo. Le mie lettere stavano solo giacendo, dimenticate, in qualche tratta intermedia fra le Marche e l’Emilia.
Com’è caro, oggi, il ricordo di quelle lettere. La vita epistolare conservata nei nostri scatoloni impolverati conserva qualcosa di magico che le mail stampate non possiedono.
Si tratta dell’unicità di quella carta, della forma unica e irripetibile di ogni singola scrittura, della persona evocata, immaginata nell’atto di posare penna e parole su quella carta, cercando di procedere dritta in assenza di righe o quadretti, con l’indice e il medio dolente per il prolungato sforzo.
Nell’atto della scrittura ci si attardava a scegliere la parola giusta, quella che avrebbe reso unici, per noi e per il destinatario, sentimenti e pensieri.
La comodità omologata, oggi, ha raggiunto invece un apice abominevole con gli sms.
Lapidari, grotteschi, troncano le parole per creare frasi brevi, stitiche (cmq nn so se posso venire), a metà tra lingua italiana e matematica (6 andato a scuola? x favore no…siamo in 2 o 3 a cena?).
La legge è quella dei supermercati, prendi 2 paghi 3, risparmia e ottieni lo stesso risultato. Però, porcamiseria, c’è risparmio e risparmio.
Qui non si tratta di risparmio, ma di…scippo autorizzato. Le parole vengono stuprate, deformate, per la solita assenza di tempo che governa il mondo moderno.
Tuttavia sorge un dubbio: cosa succederebbe se si sprecasse qualche secondo in più per scrivere interamente una parola? O per trovare un modo di dire più originale, personalizzato, specie nelle frasette d’amore che si abbattono sui cellulari degli adolescenti?
Solo No? Solo Sì? Poco..
Anni fa uscì un bellissimo libro, raccolto in due volumi pubblicati da Einaudi, che conteneva le epistole d’amore più belle della storia della letteratura (come le lettere tra Sibilla Aleramo e Dino Campana, tanto per fare un esempio).
Ora, sicuramente questi signori avevano una certa dimestichezza con le parole di cui avevano fatto un mestiere, una vocazione. Ma mi domando oggi come e cosa avrebbero scritto usando come mezzo di comunicazione un cellulare.
Non credo, però, si sarebbero piegati alla S-Grammatica dell’Sms.
Non c’è più spazio per il purismo, non ci sono più Accademie della Crusca, d’accordo. E sappiamo tutti che è giusto che un linguaggio si trasformi con il trasformarsi di una società. D’accordo, anche qui.
Ma siamo sicuri che sia proprio necessario devastare così il nostro linguaggio?
Se si deve usare un sms lo si faccia pure, lo faccio anch’io. E anch’io a volte, confesso, se ho molto da fare uso i vari cmq o nn. Però lo faccio solo se davvero necessario, solo se gravata da un’urgenza. E altrove so comunque scrivere in un italiano diverso.
Anzi, in italiano.
Ma alcuni di questi ragazzini, che peraltro non leggono neanche molti libri, come dimostrano le statistiche editoriali, poi finiscono per non avere alternative, e scrivere in un tema in classe "Ke dire della Rivoluzione francese"…
Gli sms inoltre sono farciti di punti esclamativi, chissà perché. Si crede che aggiungano enfasi e forza a quanto viene detto.
Mentre in realtà a volte rendono un messaggio molto più debole.
Lo sapeva bene Carver, il quale diceva che nulla trafigge di più di un punto.
Punto e basta.